30. Puzzle.

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Due novembre.
Non vedevo Noah da quasi due mesi, ma avevo ormai da tempo terminato le lacrime.
Prendevo le pillole quotidianamente, spesso anche più della dose prestabilita, ma non importava.
Avevo rivisto Paige, ci incontrammo in un bar e prendemmo qualcosa da bere insieme.
Mi raccontò di tutto quello che stava succedendo con Felix in quel periodo, di come si sentisse e di quanto lo amasse.
Aveva un accenno di occhiaie, ma non le feci alcuna domanda a riguardo.
Sembrava un po' stanca, ma era davvero felice. Le luccicavano gli occhi, specialmente mentre parlava di Felix.

Avevo parlato con Cameron, che mi aveva raccontato di come procedesse la sua relazione con Lucas.
Mi aveva detto che qualche settimana prima avevano incontrato suo padre e che lui avesse fatto finta di non riconoscerlo.
Cameron era distrutto, disse Lucas, ma iniziava già a riprendersi.
Mi scusai per quella volta in cui corsi a casa sua piangendo senza prima chiedergli come stesse, ma lui ridacchiò contento e rispose che non fosse necessario chiedere scusa.
Raccontai a Cameron degli incontri con Jude, senza accennare a Noah.

Quella mattina, invece, avrei dovuto incontrare Alyssa.
Dopo varie telefonate, riuscii finalmente a rintracciarla e fissammo un appuntamento al nostro bar preferito.
Si trovava in un viale stretto e scuro, poco distante da casa mia e lo frequentavamo da quando eravamo più piccole.

Arrivai lì con dieci minuti d'anticipo e, notando lei non ci fosse ancora, decisi di accomodarmi comunque e prendermi qualche attimo per guardarmi attorno.
Il bar in questione si chiamava "Diamond" e le luci soffuse gli conferivano un'atmosfera accogliente.
I tavoli erano circa una decina, tutti rotondi e in legno scuro dove vi erano abbinate delle sedie del medesimo colore.
Su ogni tavolo era posto un piccolo menù dov'erano scritte tutte le bevande e i tipi di aperitivi che era possibile ordinare lì.
Il bancone ricopriva un'intera parete; anch'esso in legno scuro, portava sul muro svariate fotografie di vecchie rockstar incorniciate d'oro.
Alla gestione della cassa c'era Trevor, un ragazzo di venticinque anni con lunghi capelli scuri legati in un codino e gli occhi di un verde acceso.
Conoscevo Trevor da quando avevo solo dieci anni, mi aveva praticamente vista crescere e, ogni qual volta mettessi piede in quel locale, aveva sempre qualche nuovo drink da farmi provare e testare.

«Scusa il ritardo» proruppe Alyssa occupando il posto di fronte al mio.
Aveva un aspetto splendido come al solito: i capelli rossi ricadevano morbidi sulla sua schiena lasciata scoperta dal top blu che indossava, mentre neanche un accenno di occhiaie scuriva i suoi occhioni vispi.
Le accennai un sorriso.

«Non preoccuparti, non sono qui da molto» chiamai Stacy, la cameriera nonché fidanzata di Trevor. A differenza del suo ragazzo, Stacy aveva i capelli biondi rasati, gli occhi scuri e molti piercing sul naso e sulle orecchie.
Ordinammo due birre e qualche stuzzichino da sgranocchiare nell'attesa.

«Beh, come procede?» chiesi mentre Stacy stappava le due bottiglie verdi.

«Abbastanza bene» fece spallucce, portando una sigaretta tra le labbra prima di offrirne una anche a me.
«Sono stata un po' fuori città e non mi ha proprio sfiorata l'idea di utilizzare il telefono» giustificò così la sua assenza.
Io rimasi in silenzio a sorseggiare la mia birra, facendo un tiro di tanto in tanto.

«Ho trascorso questi mesi a Manhattan. Sono andata a trovare mia madre» arricciò il naso, spegnendo la sigaretta nel posacenere.

«Da sola?» sollevai un sopracciglio, prendendo un tiro dalla sigaretta che tenevo stretta tra le dita. Conoscevo bene Alyssa, sapevo quando mi mentiva e in quel momento c'era qualcosa che mi nascondeva.

«Meredith si è offerta di accompagnarmi, dice che non voleva andassi da sola» rispose distrattamente, bevendo un sorso di birra.

«Meredith?» assunsi un'espressione confusa.
«Dici quella ragazza che ci hai fatto conoscere al parco?» sbuffai fuori un po' di fumo, senza distogliere lo sguardo dagli occhi magnetici di Alyssa.

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