Jordyn

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Fin da bambina mi sono sempre sentita come se la mia nascita avesse compromesso la vita dei miei genitori. Come se fossi venuta al mondo senza avvisare, "fuori programma" diceva mia madre quando ero ancora piccola. Poi, naturalmente, per non passare come una persona cattiva, aggiungeva: "si ma, un regalo fuori programma". Prima ci credevo, quando si è bambini si crede a tutto. Non ci pensavo neanche così tanto. Crescendo, però, questa frase che lei mi ripeteva, si costruì un posticino nella mia testa dove sarebbe rimasta per sempre. Rimase lì. A volte esce dal suo bell'appartamento a due piani che si era costruita nel mio cervello ed esegue il suo lavoro ripetendomi: "fuori programma" "fuori programma" "fuori programma". Tre volte, la sentivo sempre tre volte. Sempre tre perché è il numero giusto per fartelo restare in testa, per assicurarti che non lo dimenticherai. Tre, sempre tre, solo tre.

Nel periodo della mia infanzia, mi sentivo diversa in confronto alle altre bambine.

Provavo a giocare insieme a loro con le bambole o con il servizio di tazzine in plastica, ma mi divertivano molto di più le piste da corsa con le macchinine o i giocattoli dei supereroi. Ma c'era una bambina, di nome Agatha, che era solita mischiare i giochi dei maschi con i giochi di noi femmine. Per esempio prendeva il giocattolo di Superman e lo faceva sposare con la sua bambola e insieme sconfiggevano criminali come Il Signor Gelatina del mio amico Willy. Aveva la capacità di unire il gruppo delle ragazze con quello dei ragazzi, di far divertire tutti e di riempire quell'aula di una grande armonia. La stimavo, la stimo tanto. Adoravo la sua compagnia.

Mi ricordo che una volta una mia amica disegnò un grande cuore rosso su un foglio e lo regalò a un bambino per poi dargli un bacio sulla guancia. Pensai: "di sicuro gli vuole molto bene". Feci lo stesso con Agatha. Quando le consegnai il disegno mi rispose:

-ma noi non stiamo insieme. Hannah e Christian si invece. Dallo a David che è carino- disse lei restituendomi il disegno.

-ma a me non piace David- le risposi io.

-e chi ti piace? Ricky?- mi domandò lei. Io scossi la testa, poi le diedi un bacio sulla guancia. Agatha mi guardò in modo strano, dopodiché riprese a colorare il suo album come se non fosse successo nulla. Eravamo piccoli, è chiaro che Hannah e Chris non stessero davvero insieme e che fosse solo una di quelle cottarelle che si hanno da bambini. Il problema è che la mia cottarella infantile durò fino ai diciassette anni. Da quella volta Agatha incominciò a non giocare troppo spesso con me. Non che mi ignorasse totalmente ma iniziò a mantenere le distanze.

Eravamo insieme anche alle elementari, alle medie e cominciammo anche il liceo insieme. Caso vuole che i nostri genitori ci iscrivessero sempre nelle stesse scuole. E così per anni la vidi passare nei corridoi, chiudere il suo armadietto, pranzare in mensa...e ogni anno diventava più carina. Al liceo soprattutto. La mia cottarella infantile stava durando troppo. Conobbi molte altre ragazze tra tutte le lezioni che frequentai durante gli anni a scuola, ma continuavo ad amare solo Agatha.

Non lo dissi mai a nessuno. Un giorno mi svegliai con un desiderio assurdo di dirglielo. Volevo che sapesse cosa provassi per lei. A pranzo, in mensa, la cercai tra i tavoli, e appena la vidi mi avvicinai a lei.

-Aghata, ti posso parlare?- le chiesi. Lei annuì masticando il suo panino. Mi sedetti.

-ti ricordi il disegno? Il disegno che ti avevo fatto quando eravamo bambine. Ti avevo disegnato un cuore rosso su un foglio rosa. Tu mi risposi che dovevo darlo a un bambino, ed io ti dissi che mi piacevi- le ricordai io.

-come fai a ricordarti un episodio di così tanto tempo fa? Comunque eri una bambina piccola, eravamo tutti piccoli e non sapevamo cosa fosse l'amore- mi rispose lei.

Psichiatria All'InfernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora