Go now

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We've already said 'Goodbye'.
Since you've got to go
Oh you had better go now.
Go now. Go now. Go now
Before you see me cry.
I don't want you to tell me
Just what you intend to do now.
'Cause how many times do I have to tell you
Darling, darling,
I'm still in love
With you now?
[Go now|Moody Blues]


Si erano già detti addio.
Con ogni gesto, con ogni occhiata scambiata - preoccupata e no -, perché sapevano che avrebbero potuto morire in qualunque momento, in qualunque situazione. Questo era ciò che portava vivere con poche regole, in una parte selvaggia e con ben pochi scrupoli della società.
Ma il vedere il corpo morto di Abbacchio, steso su quella roccia, in una posa dormiente, il sangue che colava dalla ferita aperta, era stata la conferma della cruda realtà che avevano evitato - fortunatamente - per anni. La cruda realtà in cui avevano deciso di vivere e di come volesse dire essere costantemente a braccetto con la morte.
E non poté evitare di sentire il vuoto dentro di lui, in quel corpo morto.

«Se io me ne andassi... Tu cosa faresti?» la voce melanconica di Abbacchio accarezzò l'udito di Buccellati, accompagnata dal lento movimento della mano sulla schiena.
Bruno non rispose subito, ma dischiuse gli occhi, rivelandone il blu puro che li caratterizzava.
Era una di quelle sere in cui sentivano il futuro inevitabile pesargli addosso, a cui trovavano soluzione solo con il contatto fisico. Ma non sempre funzionava. Lo sguardo di Abbacchio diventava perso e lontano, e Buccellati non poteva far altro che stargli a fianco, memore di cosa vuol dire vedere la morte ad un palmo dal naso.
«Probabilmente cercherei vendetta.» rispose Bruno, portando le mani sotto la guancia, appoggiandole a loro volte sul petto di Abbacchio. «Come ho fatto con mio padre.»
Leone annuì, lo sguardo tornò assente, lontano, perso nei recessi dei suoi pensieri.
«E se invece fossi io a morire? Tu cosa faresti?» chiese Buccellati, dopo uno di quei lunghi silenzi riflessivi, che caratterizzavano quel tipo di serate.
«Mi vendicherei. Ma morirei nel farlo.» rispose Abbacchio, e la mano si ferma sulla schiena del più giovane.
«Leone!» scattò Bruno, tirando su il busto, poggiando le mani ai fianchi del compagno. «Quante volte ti ho detto che la morte non è la soluzione?»
«Tante.» mormorò l'ex-poliziotto, piegando il capo di lato per evitare lo sguardo accusatorio.
«Devi smetterla di cercarla in questa maniera!»
Fu il turno di Leone di scattare seduto.
«Parla quello che è diventato parte di Passione solo perché ha paura di morire!» sputò, velenosamente, e vide il dolore dipingersi sul volto di Buccellati.
Si passò una mano sul volto, con un sospiro che doveva servire a calmarsi, ma suonò esasperato.
«Scusa. Non volevo.»
«Lo so.»
Bruno non alzò lo sguardo mentre parlava, continuando a guardare le lenzuola ma non vedendole realmente.
«Dovremmo smetterla di preoccuparci così tanto.»
«Dopo le ferite dell'altro giorno? Direi proprio di no.»
Lo sguardo di Leone cadde sui bendaggi che gli avvolgevano il petto, frutto di un proiettile che era arrivato un po' troppo vicino a dove non doveva arrivare. Sospirò nuovamente.
«Hai ragione. Ma vuol dire vivere con una zavorra. E io so cosa vuol dire vivere con una zavorra.» Buccellati si decise ad alzare gli occhi, ed incontrò quelli giallo-viola di Abbacchio, al ricordo di come il compagno avesse passato gli anni prima di unirsi alla sua squadra.
«Leone...» chiamò, allungando una mano verso la guancia del più vecchio.
«No, Bruno. Non posso dimenticarlo.» rispose Abbacchio scostandosi dal tocco leggero. «Ma se smettessimo di preoccuparci costantemente del fatto che dobbiamo morire, sarebbe più leggero. Per entrambi.»
«Viverci a contatto ogni giorno non aiuta. Darla non aiuta.» osservò Buccellati, assottigliando lo sguardo.
«È una parte di te ormai, Bruno. Come respirare, o pensare. Non puoi averne paura.»
In uno dei suoi rari momenti in cui mostrava l'affetto con il contatto fisico, Leone poggiò la mano sul braccio del più giovane, a rassicurarlo.
Buccellati annuì, anche se rimaneva ancora confuso - ma almeno quella specie di nodo all'altezza dello stomaco che provava ogni se n'era andato.

Abbacchio l'aveva fatta sembrare così semplice la morte, ma non gli aveva spiegato cosa volesse dire provarla sulla pelle per qualcuno di così caro. Certo, aveva vissuto quella di suo padre, ma l'effetto era stato totalmente diverso rispetto a quello che stava provando al momento - quella di suo padre se l'era aspettata, poco alla volta aveva visto i segni del suo arrivo e quando era arrivata era stato come un soffio di vento, un semplice fatto accaduto.
Si sentiva lacerato, senza forze. Voleva solo poggiare il capo su un cuscino e chiudere gli occhi, dimenticare tutto.
Ma non poteva. Non a quel punto.
In quel viaggio - corto, per lui - da quella spiaggia sarda a Roma, Buccellati aveva capito cosa Leone ci trovasse di affascinante nell'obliterazione completa dei propri pensieri da parte del vino. Di come tutto diventasse silenzioso e quieto, lasciando del caos precedente un vago ricordo. E per un attimo ne fu stregato, pensando che potrebbe essere stata una soluzione.
Ma gli tornarono in mente le urla che negavano la verità di Narancia, il labbro morsicato a sangue, le lacrime represse, il fatto che lui, il suo corpo, fosse morto. La promessa fatta a Giorno, di come fosse ancora responsabile del destino di quattro persone, del Boss che li aspettava per ucciderli. Per cui mise la bottiglia da parte e si alzò, tornando ad essere la figura paterna del gruppo, su cui appoggiarsi nei momenti di bisogno.
Nonostante volesse piangere lacrime amare e salate.
Nonostante quante volte volesse dire di aver amato e amare Leone Abbacchio.

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