Un profondo sospiro accompagnó il suo corpo lasciato cadere sul letto. Era appena tornato nella sua suite, dopo aver riempito la pancia con dell'ottimo cibo durante la cena insieme ai colleghi e si sentiva maledettamente pesante.
Nulla - però -che una doccia calda non possa risolvere, pensò alzandosi a fatica e dirigendosi verso il bagno.
Era sfinito; per tutta la mattina e le prime ore del pomeriggio aveva girato delle scene emotivamente stancanti, destabilizzanti più del solito e non vedeva l'ora di mettersi a sedere, liberare la mente e l'animo bevendo un po' di birra e godendo di una sigaretta.
Nonostante Dublino quella sera proponesse un tepore straordinariamente gradevole per una qualunque sera di marzo ed il cielo fosse totalmente costellato, aveva gentilmente declinato l'invito di un'uscita al pub. Anche perché, sapeva bene come sarebbe finita: gli altri avrebbero alzato troppo il gomito trascinando anche lui, raggiungendo così uno stato di catalessi perenne dovuto all'alcool; invece, nonostante l'indomani avesse avuto la giornata libera e avrebbe potuto permettersi di poltrire tutta la mattina e farsi passare la sbornia, aveva deciso di essere produttivo ed andare a correre fuori città, per scaricare un po' i nervi e la stanchezza che si portava dietro da mesi.
Fare l'attore non era mai stato facile, lui lo sapeva, ma nessuno gli aveva mai detto che impersonificare uno storpio, quello storpio, sarebbe stato tanto complicato.
Non era lo sforzo fisico a sfiancarlo quanto il coinvolgimento emotivo.
Ivar figlio di Ragnar era un tumulto di emozioni, un uragano in costante movimento, una tempesta senza fine e per quanto provasse a rimanere neutrale e distante, lui veniva risucchiato dalla rabbia, dal dolore e dalla frustrazione di colui che interpretava ormai da anni.
Alex Høgh Andersen era diventato - inevitabilmente - un tutt'uno con Ivar il Senz'ossa.Era appena passata la mezzanotte e, dopo l'ultimo tiro di sigaretta e l'ultimo sorso di Heineken ghiacciata, decise di spogliarsi e mettersi a letto per godere, finalmente, di un riposo più che meritato. Non spense la luce ma ne diminuì solo l'intensità: non aveva mai sopportato il buio. Si infilò sotto il piumone profumato, sdraiandosi per metà, lasciando scoperto il petto e poggiando la schiena nuda al muro.
Il silenzio padroneggiava tutto intorno, infondendogli una piacevole sensazione di quiete e serenità che lo cullava inducendogli il sonno.
Stava per chiudere gli occhi quando, nella penombra della sua stanza d'albergo, scorse una figura femminile muoversi sinuosamente verso di lui mentre sussurrava qualcosa in una lingua straniera.
Rimase interdetto e, immobile, la fissò percorrendo ogni minimo angolo del suo corpo con lo sguardo.
Capelli lunghi e leggermente ondulati color della pece, felini occhi castani e labbra grandi e piene. Seno piccolo ma alto e sodo, fianchi accentuati e lunghe gambe magre e toniche.
No, i colori non corrispondevano a quelli del nord Europa e non era certamente danese come lui; non aveva dubbi: era una bellezza mediterranea, Italica.
Era inoltre, oltre che bellissima, totalmente nuda; indossava soltanto una lunga collana dorata ornata di perle che le ricadeva sul ventre, oscillando ad ogni passo e puntando il gioiello all'ombelico.
Il cuore cominciò ad aumentare il ritmo dei sui battiti ed il petto ad alzarsi e abbassarsi visivamente, pareva avesse il fiatone proprio come a fine di una corsa forsennata.
Ancora immobile, prese un bel respiro e affrontò la straniera rimanendo il più calmo possibile.Occhi negli occhi. Il nocciola ambrato che affonda nell'azzurro ghiaccio.
Silenzio. Tremori. Respiri accennati.
Passi sinuosi e lenti, eleganti, che percorrono la via della decisione.
Muscoli in tensione, labbra morse ed inumidite.
Menti nervose e cuori scalpitanti.
Sorrisi accennati e maliziosi.-Who are you?
Osò per prima lui, accomodandosi meglio sul materasso in lattice.
-Does it matter?
La possenza danese fissava la delicatezza italiana che avanzava passo dopo passo in sua direzione, fiera e senza un accenno di esitazione.
-Why are you here?
-You see me. I'm standing before you.
l'Italia sorrise, contraddistinta dalla sua meravigliosa ambiguità ed abbagliata dalla luce lunare che filtrava dall'enorme porta-finestra. Salì sul letto, fermandosi a cavallo della Danimarca.
I loro visi così vicini, i nasi a pochi millimetri l'uno dall'altro. I respiri in completa fusione fra loro.-You're naked on me.
-Oh, really?
Lo canzonò lei, prendendosi chiaramente gioco della mente offuscata di lui che era visivamente provato e totalmente incapace di pensare lucidamente; si sentiva paralizzato e a malapena riusciva deglutire.
l'Italia uscì fuori la lingua, nell'intrepida ricerca di quella danese che non esitò a farsi inumidire ed accarezzare.
Alex non stava capendo, era maledettamente confuso e in preda all'eccitazione al tempo stesso.No, non sta accadendo davvero.
Si tirò indietro, allontanando la bocca di lei dalla sua.
-I can't.
Era tutto troppo surreale.
Inverosimile. Impossibile.
In un attimo di lucidità, vide tutta la scena dall'esterno, quasi come fosse uscito dal proprio corpo e stesse presenziando al cospetto di uno spettacolo già visto prima, a cui lui stesso aveva preso parte.
Freydis.
Ivar.
Katya.La donna sopra di lui adesso gli stava accarezzando una guancia, mentre con l'altra mano gli attorcigliava una ciocca di capelli, rimasta fuori dalla coda scombinata.
-Do not play, Danish man. I'm asking Alex, not Ivar.
Gli sussurrò lei ad un orecchio.
Brividi.
-Do you want me to stop?
Glielo chiese armoniosamente, puntando gli occhi nelle sue iridi di cristallo. L'Italia sembrava provare enorme piacere nel provocarlo con determinazione e le sue domande risultavano teoriche, fine a se stesse, non cercavano davvero una risposta.
Era ancora sopra di lui, mentre si lasciava andare a movimenti lenti del bacino, in attesa di svegliare qualcosa che, effettivamente stava reagendo a quella danza sinuosa.No, non Ivar. Alex.
-Do you believe I want you to stop?
La Danimarca, riprendendo possesso del proprio io, era passata al contrattacco, stringendo le mani sulle cosce di lei senza indugio, senza timore.
-I do not know you.
Ringhiò lui sulle sue labbra, serrando la mascella.
La rabbia lo stava travolgendo come un fiume in piena spazza via ogni cosa sul suo cammino.
Non riusciva a sopportare come lo storpio si fosse insinuato così a fondo nella sua anima da riuscire addirittura a manovrare i suoi movimenti, stabilire i suoi pensieri, determinare le sue azioni.No, non Ivar il Senz'ossa, figlio di Ragnar.
Solo Alex Høgh Andersen, un ordinario uomo danese.-Neither do I.
Sibilò lei dolcemente.
Naso contro naso, guancia contro guancia.
Gemiti, tremori e respiri pesanti.Basta così.
La Danimarca strinse di colpo l'Italia, afferrandola per la gola.
Gli istinti animaleschi dell'uomo in preda agli ormoni, dopo una tortura come quella, si erano risvegliati e stavano uscendo con prepotenza.-Are you joking, woman?
Non voleva farle del male, ma si stava innervosendo.
-I'm not. If there's something I am not capable of is acting or telling lies.
-So, what do you want from me?
Adesso era lui a porre domande insensate. Cosa mai poteva volere una donna estranea completamente nuda e tranquillamente accomodata sul suo sesso?
Esattamente quello che voleva lui.
-You, Alex. And I want you now.
La donna che vuole l'uomo.
L'agnello che si offre al lupo.
L'Italia che si sottomette alla Danimarca.Quella confessione fu la miccia che fece esplodere la bomba.
Non sapeva nulla di lei. Ne sconosceva il nome e nemmeno aveva compreso come fosse arrivata lì, ma il desiderio era ormai diventato irrefrenabile e, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto più tirarsi indietro.
Non poteva resistere.
Non voleva resisterle.-Take me, then.
STAI LEGGENDO
STANDING BEFORE HIM
Short StoryONE SHOT Quanto può incidere l'interpretare un ruolo sulla vita reale? Alex Høgh Andersen potrà non condividere nulla con Ivar il Senz'ossa, ma certamente è un nome che si porterà addosso per tutta la vita. Ogni riferimento a persone esistenti o a...