Capitolo 24

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Come tirò il cordoncino di un campanello, la porta davanti a Kyoko venne aperta. Di fronte a sé apparve un distinto maggiordomo occidentale, di mezza età, dall'aspetto dignitoso in una semplice livrea, che comprendeva l'usuale panciotto a righe; una giacca nera a coda di rondine e i guanti bianchi.

Come aprì la porta della stanza padronale della suite, il maggiordomo emise un discreto colpo di tosse per attirare l'attenzione del suo padrone, che si voltò, camuffando con un sorriso l'evidenza di essere stato disturbato.

"C'è una persona che desidera parlarvi, lord Collins!"

Helmut manifestò un cipiglio nello sguardo e lanciò un'occhiata curiosa a Smith, per poi rivolgersi al domestico. "Mi auguro che sia una presenza gradita, Ernest!"

"Sembrerebbe una nobile orientale, milord!" rispose il maggiordomo.

La curiosità di Helmut si accentuò, dal momento che non aveva intrattenuto alcun rapporto con le donne del luogo. Che qualcuna, persino nobile, chiedesse di lui, quindi, gli fece pompare il petto; raddrizzare il colletto della camicia e passare le mani sulle pieghe della giacca, drizzandosi in un portamento impeccabile.

"Fatela accomodare, Ernest!" Il maggiordomo chinò il capo e si mise di lato, permettendo all'esile figura dal kimono giallo e blu, riccamente decorato, di fare il suo ingresso nella stanza.

Il viso di Helmut si immobilizzò nella meravigliosa veduta della giovane dai lineamenti delicati e rosei; i capelli raccolti sulla nuca e gli occhi che esprimevano un leggero e timido languore.

La giovane chinò il capo con eleganza. "Shazai shimasu!" (Chiedo scusa!) - pronunciò con grazia. "Hajimemashita, Collins san!" (Piacere di conoscerla, signor Collins!) - continuò, sollevando il capo a osservare l'inglese con occhi lievemente permalosi.

"Ho sempre sostenuto, mio caro Smith," mormorò Helmut, scrutando la nobile dalla testa ai piedi con sguardo accondiscendente, ma per nulla volgare "che l'innocente dolcezza del volto di una donna di Edo è una costante delizia per gli occhi di un uomo!"

L'indifferenza di Smith non lasciò trapelare alcuna risposta, mentre Helmut accoglieva Kyoko, porgendole la mano che lei prese, trasalendo, subito dopo, al contatto delle labbra dell'uomo sulla sua pelle.

La invitò ad accomodarsi sul sofà, mentre, con galanteria, Ernest versava del tè in una tazza di finissima porcellana e la porgeva alla giovane ospite. Lei declinò con garbo e a un cenno del suo signore, il domestico ripose la tazza sul vassoio, chinò il capo e uscì dalla stanza.

Kyoko non si sentì, per nulla, preoccupata per le apprensioni del padre. Helmut Collins le apparve come un inglese di bell'aspetto, garbato e galantuomo. "Sono Awashima Kyoko, figlia del daimyo di Ginza!" si presentò con un inglese stentato, senza distogliere lo sguardo da Helmut. Lo sguardo di Smith, invece, cupo e sospettoso, non si distolse un istante dal volto della nobile.

"Conoscete già il mio nome, milady" proferì Helmut, accomodandosi di fianco a lei.

"Hai, Collins san!"

Helmut rimase affascinato dal tono gentile e musicale della donna, e i suoi occhi si posarono su quel lungo collo flessuoso e candido. Kyoko non gradì lo sguardo sfrontato che l'uomo le rivolse, così come non le piacque l'atteggiamento fiero, da cui occhi azzurri ardeva una luce penetrante e autoritaria.

"Sono venuta a offrirvi ciò che state cercando, Collins san!" Gli occhi di lui si focalizzarono su quelli di lei, mostrando la sua attenzione.

"La ragazza dai capelli di fuoco e gli occhi di perla si trova a Ginza!" lo informò con tono terribilmente impertinente, imprimendo un'eloquente occhiata mirata a frenare la colpevole agitazione che albergava nel suo animo.

Helmut singhiozzò una mezza risata, scuotendo il capo con amaro sarcasmo. "Incredibile ciò che ti riserva il destino!" formulò quando si fu riavuto dalla sorpresa. "Non mi dite nulla di nuovo, milady" impose lui con affettazione. "So anche che un uomo la protegge ..."

"Distogliete i vostri occhi da quell'uomo, Collins san!" sbottò lei in tono concitato, manifestando nell'espressione dell'inglese un'aria stupita.

"Fra tre giorni si terrà una festa al villaggio e tra la baldoria e la folla sarà più facile per voi avvicinare la giovane!"

Helmut si corrucciò. "Perché desiderate tanto che Casey Bailey lasci Ginza?" domandò con evidente curiosità.

Kyoko sbatté le palpebre, visibilmente agitata. "Tra non molto, i territori di Edo diverranno luoghi di battaglia tra lo shogunato e le truppe dell'Imperatore. Owen san è un caro amico di mio padre e temo per l'incolumità della giovane affidataci!"

Helmut la scrutò con vivo interesse e un ghigno gli sfiorò le labbra, seguito da un cenno di diniego col capo. "Mentite a voi stessa per giustificare scelte e comportamenti inadeguati, milady?" la provocò con un sorrisetto astuto.

Lei sobbalzò. "Sono in apprensione per ciò che potrebbe accadere al mio villaggio, semmai una straniera inglese si trovasse coinvolta in un conflitto!" rispose con evidente ipocrisia.

"O per l'uomo che la protegge?" la corresse lui con divertimento. "Francamente, mia cara, non mi importa il motivo per cui tradite la vostra coscienza ..."

"Wakarimashita!" (Siamo intesi!) - lo interruppe, lei, sorprendendolo e alzandosi in piedi, subito imitata dall'inglese. "Fate in modo, quindi, che fra tre giorni la mia coscienza possa venire risanata!" prese, dunque, congedo.

Come Helmut la vide uscire dalla stanza, immersa nel rumore sottile del suo strascico, si rivolse a Smith con animo ottimista.

"La fortuna ricomincia a girare, Smith. Fai in modo che questa volta tutto vada a buon fine!"

Smith sollevò un sopracciglio con cinismo. "Me ne occuperò, personalmente!"

La porta si aprì, nuovamente, e la cameriera con gli occhi neri, come la notte, fece il suo ingresso per ritirare il vassoio del tè. Helmut strinse le mascelle. Era un rito, ormai, che si susseguiva tutti i pomeriggi alla solita ora. Era come se non aspettasse altro di vederla comparire con la sua bellezza, per lui immergersi nell'oscurità di quell'iride. Qualcosa lo tratteneva nel rivolgerle la parola. Scosse il capo con frivolezza. Perché, poi, doveva? In fondo, era solo una cameriera.


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