𝐶𝐴𝑃𝐼𝑇𝑂𝐿𝑂 18 - 𝘭𝘦 𝘢𝘭𝘪

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Nonostante la stanchezza ero riuscita a dormire per due ore scarse, fremevo al pensiero che avrei ricevuto le Ali.
Avevo fantasticato tutta la notte sul loro aspetto: sarebbero state sicuramente bianche, magari simili a quelle di James o forse un pò più piccole e meno piumate...o forse grandi e pompose? Come sarebbe stato volare per la prima volta? Era una cosa facile? Avrei imparato subito? O sarei caduta solo alzandomi a cinque centimetri dal suolo?
Tante domande, troppa curiosità che mi riempiva la testa.
Ma decisi di mettere da parte tutti quei pensieri mentre attraversavo la Sala Grande, diretta verso Maximus che mi aspettava al centro della stanza con un largo sorriso stampato sulle labbra.
Ai lati vi erano lunghe file di Angeli in cui in mezzo spiccava una grande macchia scura: Brandon sorrideva teneramente guardandomi.
Era stato un'impridente a venire perché qualcuno si sarebbe chiesto il perché fosse lì ma, d'altro canto, la sia presenza non faceva altro che tranquillizzarmi.

Finalmente arrivai al cospetto di Maximus, tesa come non mai.
«Quando Lucille, Luce» si corresse.
«Quando arrivò qui su Destiny pensai subito vhe avrebbe combinato una marea di guai»
La maggior parte dei presenti, me compresa, presero a ridacchiare per le parole scherzose dell'Angelo.
«Ma allo stesso tempo compresi che qualcosa in lei era speciale. Era una ragazza dal passato difficile e che nella sua vita da Mortale, spesso, non aveva fatto proprio delle azioni giuste e rispettose nei confronti degli altri»
Aveva ragione.
C'era una cosa che non avevo mai detto a nessuno e che non avevo mai trovato il coraggio di ammettere nemmeno a me stessa, ma era arrivato il momento di farlo.
Era risaputo che mio padre fosse un alcolizzato. Non era conosciuto, però, che per pagarsi tutto quell'alcol ogni giorno minacciava le persone, compieva atti orribili, aveva torturato molti uomini.
Davanti a me.
E qualche volta era successo.
Era successo che mi facesse impugnare una pistola carica contro quelle povere persone o magari anche contro il loro figli in modo che si convincessero a dargli il denaro di cui aveva bisogno.
Accettare il mio passato e ciò che quell'essere orribile mi aveva spinto a fare era veramente doloroso.
Sarei crollata da un momento all'altro.
Ma la voce di Maximus riprese a parlare.
«So che spesso si è domandata perchè. Perchè si trovava nella parte della luce, quella dei buoni. Si chiedeva perchè fosse diventata un Angelo nonostante le cose tremende che aveva fatto. Oggi le risponderemo» disse voltandosi verso...Brandon?
Il Demone avanzò fino ad arrivare di fronte a me.
Avrei voluto chiedergli spiegazioni, urlare perchè evidentemente Maximus sapeva.
Con gli occhi cercai tra la folla gli sguardi dei miei amici: c'erano tutti e non sembravano arrabbiati nel constatare che con Brandon non era solo un rapporto di due colleghi costretti a cooperare.
Anzi, sorridevano radiosi come mai prima d'ora.
Brandon, a quel punto, parlò:
«Sei stata costretta a fare molte brutte azioni Luce, ma il tuo cuore è buono. In te c'è coraggio, forza, voglia di aiutare il prossimo. Tutto ciò che desideravi era una famiglia che ti amasse. Odiavi e temevi tuo padre, per questo motivo lo assecondavi diventando tutto ciò che odiavi. Se sei ancora qui, se hai avuto questa seconda possibilità è stato perché tu potessi ritrovare te stessa, accettare gli errori del passato e tornare ad essere l'angelo splendente che eri un tempo. Ci sei riuscita, e proprio per questo motivo oggi meriti le Ali. Tu oggi meriti di svegliarti e riprendere in mano la tua vita. Buona fortuna Fiamma»

Tutto quel discorso non aveva senso.
O meglio, avevo capito il significato delle parole ma non il motivo per cui le aveva dette.
La mia mente si contorceva dalla confusione.
Ma poi un bagliore di luce bianca scoppiò uscendo dal mio petto e cominciando a girarmi intorno come un vortice.
La mano, che Brandon mi aveva stretto una volta finito il suo discorso, cominciò a staccarsi dalla sua, così come i piedi dal suolo.
Stavo fluttuando...
A poco a poco mi alzavo sempre di più fissando tutti dall'alto.
Anche loro mi guardavano con sorrisi ampi applaudendo le mani, ma non ne sentivo il suono.
A dire il vero non sentivo più alcun tipo di rumore accanto a me.
Mi sentivo frastornata, non capivo.
Era in quel modo che si ricevevano le Ali? Galleggiando in aria dentro una bolla di luce accecante?
Chiusi gli occhi solo per un attimo venendo inghiottita dal buio.

Presi nuovamente conoscenza forse dopo qualche secondo, o minuto, o forse delle ore.
Avevo completamente perso la cognizione del tempo, non che prima ne avessi chissà quanta.
Lentamente provai ad aprire gli occhi, che subito bruciarono a causa della forte luce chiara.
Mi sembrava di vivere un dejavu.
Il ricordo del giorno in cui arrivai su Destiny era ancora perfettamente impresso nella mia mente con ogni singolo dettaglio.
«Lucille» disse una voce che alle mie orecchie arrivò ovattata.
Qualsiasi suono attorno a me eravamo avesse l'eco e ci misi un bel pò a stabilizzarmi e a capire che ero stesa su un lettino.
«Sono belle le mie Ali?» sussurrai stordita.
«Ma è sicuro che sta bene?» chiese una voce femminile, singhiozzando.
Conoscevo bene quella voce, era da molto tempo che non la sentivo ma ricordavo a chi apparteneva. Solo che mi sembrava...impossibile.
«Mamma, cosa ci fai qui? Sei morta anche tu»
Il viso corrucciato e gli occhi stanchi e rossi della donna che mi scrutavano terrorizzati non facevano altro che accrescere il panico in me.
«Lucille ascoltami attentamente: sei stata vittima di un colpo da arma da fuoco. Qualcuno quel giorno ha sentito lo sparo ed ha chiamato i soccorsi. Abbiamo fatto di tutto per tenerti in vita, l'unica speranza che avevano è che tu ti svegliassi dal coma»
Non riuscivo a comprendere, non era vero mi stavano mentendo.
Dov'erano tutti? Cosa ci facevo su quel lettino? Cosa mi avevano fatto? Forse era andato qualcosa storto mentre mi consegnavano le Ali e stavo sognando tutto.
Si, doveva per forza essere in quel modo.
«Devo svegliarmi. Devo svegliarmi immediatamente, non voglio stare qui» cominciai a ripetere spaventata.
«Tesoro mio, sei già sveglia» disse la donna, ancora percossa dai singhiozzi.
«Smettetela di dire bugie, dov'è Brandon? Emilia? E Rio? Dove sono tutti?» gridai cominciando a piangere.
Un momento.
Con le dita tremanti cominciai a toccarmi le guance compulsivamente: erano umide.
Calde e amare lacrime sgorgavano dai miei occhi sfuggendo a qualsiasi tipo di controllo.
Piangevo.
Mi guardai attorno notando il mio braccio infilzato da aghi che, attraverso dei tubicini, si collegava ad una flebo appesa accanto a letto.
«Durante un coma possono verificarsi sogni ingannatori. Ciò che vedi e senti può sembrarti realtà, ma invece è tutto frutto della tua mente. Chiamerò il nostro psichiatra per aiutarti al meglio» concluse il medico.

Gridai.
Il dolore che sentivo era enorme, il peso sul petto insostenibile.
Il grande cerotto appena sopra al fianco mi faceva capire che la cicatrice il proiettile l'aveva lasciata eccome.
Piangere e gridare, erano queste le uniche cose che riuscivo a fare in quel momento.
Piangere e gridare, con la mente ferma alla mia seconda possibilità, ai miei amici, al mio primo amore, alla vita che avrei sempre voluto e che avevo potuto assaporare per un pò prima che mi venisse completamente strappata via.

𝑯𝑬𝑳𝑳 𝑨𝑵𝑫 𝑯𝑬𝑨𝑽𝑬𝑵Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora