Parte prima

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Locircondava una fortezza di salici. Il cielo lo giudicava ferocemente. DLINGDLONG. Le campane suonavano a morte allo scheletro tronfio di un malvivente. Emi pare pure giusto che sia arrivata la sua ora dopo anni al servizio delladistruzione; ottantaquattro anni, di cui nessuno passato in carcere; al gabbioci stavano i cugini, il figlio, i pronipoti... lui era stato sempre lì, con lemani dietro la schiena; perché non c'era stato modo di inchiodarlo, sfuggivastando immobile, faceva i giochi di prestigio; gli abitanti mentivano, itestimoni tacevano. Chi c'era davvero a capo delle famiglie Crutà e Raspurgi?Da decenni alla polizia mancava un tassello. Si mormorava in paese cheprendessero ordini da una mafia signora, quella del nord; infatti di omicidi emacchine bruciate se n'erano viste ben poche; i crimini di cui si macchiavanoerano, principalmente, bancarotta fraudolenta, riciclaggio: sapevano il fattoloro ed evitavano di sporcarsi le mani. Restava da capire il motivo per cui lanuova mafia, la mafia raffinata, fosse interessata a operare nel borgo diCustonaci; «Perspeculare sulle cave di marmo»,ipotizzava qualche giornalista sul gazzettino. Queste, un tempo paesaggioimmutabile, giorno per giorno si sacrificavano nelle mani degli uomini, persaziare le loro mire capitalistiche; così come si sgretolava silenziosa lacomunità trapanese, inviluppata in una ragnatela di terrore e corruzione, cheli faceva uomini singoli, miseri, di fronte alla violenta minaccia di dolore ecoartazione. Loro, che avevano ingoiato gli occhi e coperto quelli dei figli,avevano smesso di vivere tanto tempo fa, al primo compromesso, alla primaumiliazione; però era tutto così ordinato, definito, tutto era stabilito, neigesti, nelle parole omesse, che si tramandavano di generazione in generazione;anche questo miracolo compie la mafia, che il silenzio diventi tradizione.Silenziose furono le esequie di Gino, alla chiesa sconsacrata di architetturanormanna, la madre poggiò una rosa bianca sulla bara, pura come l'animo delfiglio, peccatore di suicidio. Non si guardò più indietro, c'era poca gente(ifamiliari, due amici d'infanzia), si chinò dignitosamente su se stessa e iniziòa intonare una novena, a pagina trenta di un suo libriccino: «O Gesù Redentore,per il sacrificio che hai fatto di Te stesso sulla croce e che rinnoviquotidianamente sui nostri altari, per tutte le Sante Messe che si sonocelebrate e che si celebreranno in tutto il mondo, esaudisci la nostrapreghiera in questa novena, donando alle anime dei nostri morti l'eternoriposo, facendo risplendere su di loro un raggio della tua divina bellezza!».Il sindaco si sistemò all'altare, allorché i partecipanti risposero: «L'eternoriposo dona a lui o Signore, splenda a esso la luce perpetua, riposi in pace.Amen». Si srotolò per almeno due ore un tappeto di lamenti, un persiano disinghiozzi dolenti. Aveva solo venticinque anni: non poteva essere altrimenti.Eppure, rimanevano composti, specialmente al tempo delle condoglianze: uninchino al defunto, la mano sul cuore, ammutolivano pure i fiori durantel'uscita del feretro. Maria Rosa si avvicinò soltanto in estremo al marito,quando già i quattro necrofori l'avevano deposto in macchina, carezzò la baradove corrispondevano i piedi e chiuse lei stessa il portellone, come sebastasse questo a spezzare di netto il cordone che li univa; poi lo inseguì,rincorse per un pezzo la donna felice che era stata, fino a che non laserrarono le braccia possenti di Salvatore, alle quali si abbandonò cerea,senza lacrime. Silenzioso fu anche il cordoglio di Don Giuseppe, che avevatelefonato al figlio insistentemente e, angosciato, lo aveva rinvenuto appeso nelsuo ufficio; non si era chiesto il motivo, aveva sempre saputo che fosse unragazzo troppo onesto per lavorare giù, nel suo settore; aveva perso la voceribadendogli che non era un posto sicuro, che al nord, su da suo cugino, nonavrebbe fatto fatica a trovare un impiego: fosse anche solo per sua moglie, perla sua futura famiglia, doveva accogliere questo sacrificio. Lui no, insisteva,lo accusava che fosse una vigliaccheria, che di certo avrebbe avuto nostalgiadella sua terra, si chiedeva: «Se tutti se ne vanno, cosa resta?». Forseavrebbe dovuto ascoltarlo, perché comunque il nulla era rimasto, il vuotointorno, niente faceva più notizia; prontamente, interviene nell'animo degliuomini una sorta di assuefazione alle nefandezze, un salvagente per la mente,che protegge anche il più sensibile tra i cuori, un'atrofia del sentimentocosciente; lo sperimenta il dottore e il carcerato, il depresso e il ladro,qualunque essere umano che della vita sia spettatore; così attendeva CosimoRusso allo spettacolo della criminalità, tra il pubblico, in platea, nonmuoveva nemmeno i fili, godeva del dramma, truce, alla luce del sole.

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