XVIII

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Erano passati giorni dall'ultima volta in cui aveva visto Giovanni.
Mario aveva passato tutte le giornate sul letto, coperto dalle lenzuola bianche ormai sporche. Si era alzato soltanto per recarsi al lavoro, evitando così di innescare altre discussioni in famiglia.
Nei giorni scorsi aveva appreso che anche Lorenzo sarebbe partito per il fronte. Mario si era domandato se anche lui avesse tenuto quel segreto per tanto tempo, almeno fino alla conferma effettiva. Oppure Raimondo sapeva, perché quando questo aveva riportato la notizia non aveva mostrato alcuna reazione. Antonia era scoppiata in lacrime, l'unica ad avvicinarsi al suo letto durante quei giorni. Adesso anche lei pareva essersi ritirata nel suo dolore, ma il mondo della donna non poteva certamente fermarsi. Mario immaginò che fosse anche quello un modo utile per metabolizzare l'accaduto, finché ci sarebbe stata la speranza di poterlo fare.
Mario indossava ancora una volta i cassetti in cotone bianco, la stessa maglia da giorni. Non mangiava da quando Giovanni era andato via, Antonia aveva cercato di convincerlo ma senza risultati. Mario era comunque grato alla donna, per aver rispettato il suo dolore. Forse provavano gli stessi sentimenti, in qualche modo però Antonia aveva compreso che questi meritavano silenzio. Mario era certo che quel dolore non sarebbe passato mai, brancolava dentro di esso come un fantasma nella notte. Avrebbe voluto trovare un appiglio, qualsiasi cosa potesse tenerlo ancorato ad esso. Nonostante tutto, la presenza del dolore era certamente migliore del sentirne l'assenza. Aveva sempre pensato che fosse comunque una manifestazione di amore importante, quella della sofferenza. Senza malessere non esisteva l'amore, aveva detto una volta anche Costantino. Mario ricordava anche le parole dell'uomo, sull'intuizione. Improvvisamente si disse che aveva sempre avuto ragione, che quella sensazione lo aveva divorato vivo per un motivo preciso. Forse era stata soltanto l'inizio, una delle tante strade che avrebbe dovuto percorrere.
Se è vero che anche questo è stato scritto dalla mano del destino, si era detto, allora troverò il libro per strapparne le pagine. Soltanto così avrebbe potuto cambiare la sua situazione.
Sospirò, cambiando nuovamente posizione nel letto fin troppo scomodo. La paglia pungeva la sua pelle anche attraverso la maglia, Mario pensò che avrebbe dovuto aggiustarla, prima o poi.

Si era anche domandato se avesse avuto una vera e propria responsabilità all'intero di tutta quella faccenda. Se avesse avuto soprattutto il diritto di trarne dolore, si domandò. Se in qualche modo le scelte di vita di Giovanni avessero il potere di scombussolare la sua, di esistenza. Già tormentata da altre faccende, faticava ad accettare che anche lui lo avesse tradito.
Ma poteva considerare quello un vero e proprio tradimento?
Avrebbe dovuto forse vederlo con occhi diversi?
Ma ciò che Giovanni aveva detto sarebbe rimasto nella sua mente per l'eternità. Una voce, stranamente troppo simile a quella dell'amico, avrebbe continuato a ripetere quelle parole all'infinito. Perché Mario già si era sentito umiliato dal cambio di lavoro, dalle occhiate di disapprovazione del padre e del fratello, non avrebbe potuto reggere anche l'allontanamento di Giovanni. Era stato così stupido, pensò, Giovanni era sempre stato restio ad utilizzare la testa. Mario pensò che forse fosse stato mandato nella sua vita proprio per quel motivo, perché lui pensava troppo. Era certo che quella non fosse stata una scelta ponderata, e non perché lo considerava in realtà con poco cervello. Ma era sempre stato lui il sognatore della coppia, si disse, nonostante tutto. E Giovanni lo aveva ripreso più volte per questo suo atteggiamento, stai troppo tra le nuvole, gli aveva detto ridacchiando una sera. Mario ne era sempre stato al corrente, per questo gli aveva concesso la possibilità di essere lui la parte razionale.
Ma Mario era certo, in cuor suo, che quella vicenda non sarebbe certo terminata nel migliore dei modi. C'era quel qualcosa che ancora gli suggeriva questo, così come il non sentirsi più parte della sua stessa vita. Come se oramai avesse imparato a recitare la parte di sé stesso, una caricatura senza alcuna anima. I pensieri furono interrotti dalla porta che si aprì lentamente, non ebbe bisogno di aprire gli occhi per riconoscere la madre.

"Non ho fame" disse immediatamente, sperando che questa potesse andare via. Antonia sospirò, entrando invece nella stanza e richiudendo velocemente la porta. Mario immaginò che Raimondo e Lorenzo fossero in cucina, magari intenti a consumare la cena calda. La donna si avvicinò fino a sedersi sul letto, proprio accanto al figlio. Lo osservò tenere gli occhi chiusi, una espressione risoluta sul volto. "Mario" lo chiamò, per poi posare la mano sulla sua testa.
Il ragazzo la sentì respirare piano, mentre infilava le dita tra i suoi ciuffi chiari. "So come ti senti" disse, e Mario si rese conto di quanto caricasse a trovare le parole. Perciò rispose con un secco "no", per poi aggiungere "non sai come ci si sente".
Antonia si fermò un attimo, forse per metabolizzare la risposta del figlio minore. Mario pareva ancora più piccolo dentro a quelle lenzuola, immerso dentro le coperte che lasciavano scoperti soltanto gli occhi. "Scusami" lo sentì mormorare poi, con la voce rotta e tremolante, "non volevo". Antonia si beccò a sorridere leggermente, nonostante tutto, Mario era sempre sé stesso. Un ragazzo dal cuore enorme, ma estremamente fragile.
"Non devi" mormorò la donna, "non devi pensarci troppo, prima o poi tornerà sui suoi passi". Mario non rispose, allora Antonia continuò, "sai come è fatto, ormai". La donna lo sentì sospirare per nascondere i singhiozzi.
"So quello che vi siete detti, sentivo tutto dalla cucina" spiegò, osservando il viso delicato del figlio. Sei proprio come tua madre, avrebbe voluto dirgli, ma non lo fece. "È cocciuto, certo, ma ti vuole un gran bene" disse, sorridendo leggermente.
Perché Antonia in qualche modo sapeva, aveva visto entrambi crescere sotto ai suoi occhi. Da bambini fino ad adulti, non ricordava un singolo giorno in cui fossero stati separati. Vivevano quasi in simbiosi loro due, non esisteva Giovanni senza Mario e viceversa. Erano quasi stati fatti per colmarsi gli spazi vuoti a vicenda, estremamente diversi ma complementari.
Aveva osservato gli sguardi del maggiore, e quelli del figlio, diventare un tutt'uno. Quando Giovanni entrava nella stanza, improvvisamente Mario si trasformava, la sua presenta lo rasserenava. Entrambi feriti avevano finito per farsi veramente del male, Antonia sapeva che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato. "Quando eravate bambini, spesso vi tenevo qua in casa, per farvi giocare" raccontò, "io facevo quello che dovevo fare, mentre voi giocavate proprio qua fuori".
"Tornavate poi sporchi di fango, Giovanni ne aveva persino sotto ai vestiti" continuò sorridendo leggermente, "allora preparavo la bacinella con l'acqua fresca, ci mettevo dentro entrambi". Scosse leggermente la testa, improvvisamente nostalgica davanti a quel ricordo. "Tu eri sempre così sereno, quasi chiuso dentro al tuo stesso corpo, ma Giovanni ti tirava fuori" mormorò cercando le parole giuste, "per questo - vi siete scelti dal primo momento".
Mario pareva quasi addormentato, ma Antonia sapeva che stesse ascoltando. Di tanto in tanto tremava, si aggiustava sul cuscino, tirando su con il naso. Avrebbe voluto dire altro, ma si convinse che la cosa giusta, fosse quella di lasciare ad entrambi il loro spazio.
"Sono certa che tornerà" disse poi, prima di alzarsi dal letto con un movimento quasi brusco. Si voltò nuovamente verso il corpo di Mario, prima di abbandonare la stanza.
"Datevi del tempo" disse infine, "e non combinate troppo trambusto".

Ignaro che ti sto facendo a pezzi | Vol. I #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora