𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝟼

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𝐋𝐀 𝐃𝐄𝐃𝐈𝐂𝐀 𝐍𝐀𝐒𝐂𝐎𝐒𝐓𝐀

Venni presa con forza e tirata fuori dal taxi, «Aspetta ti aiuto io», mi disse tirandomi su e adagiandomi sulla sua schiena.
Facevo una fatica tremenda a tenermi, strinse le braccia sotto le mie gambe e di tanto in tanto con dei colpetti leggeri mi tirava su ogni volta che mi sentiva scivolare dal suo corpo.
Con la testa appoggiata sulla sua spalla canticchiavo ancora Your Song.
Con la mente ero rimasta a casa di Sun nel concerto improvvisato sotto il gazebo.

"𝐼 ℎ𝑜𝑝𝑒 𝑦𝑜𝑢 𝑑𝑜𝑛'𝑡 𝑚𝑖𝑛𝑑.. 𝐼 ℎ𝑜𝑝𝑒 𝑦𝑜𝑢 𝑑𝑜𝑛'𝑡 𝑚𝑖𝑛𝑑 𝑡ℎ𝑎𝑡 𝐼 𝑝𝑢𝑡 𝑑𝑜𝑤𝑛 𝑖𝑛 𝑤𝑜𝑟𝑑𝑠.. 𝐻𝑜𝑤 𝑤𝑜𝑛𝑑𝑒𝑟𝑓𝑢𝑙 𝑙𝑖𝑓𝑒 𝑖𝑠 𝑤ℎ𝑖𝑙𝑒 𝑦𝑜𝑢'𝑟𝑒 𝑖𝑛 𝑡ℎ𝑒 𝑤𝑜𝑟𝑙𝑑.."

Non mi rendevo conto di nulla, di dove fossi e con chi fossi.
«Piace anche a me questa canzone sai?», disse ridacchiando.
«A me piace il tuo profumo..», annusai il suo collo bagnato da quel profumo vanigliato e mi inebriai.
Non riuscivo a tenere una posa stabile, la testa mi pesava tremendamente e andava per conto suo, iniziavo a sentirmi inquieta, ed una sorta di agitazione saliva dentro, sempre di più.
Dopo pochi passi iniziai a sentirmi davvero male, «Mettimi giù ti prego..», supplicai.
«Amanda ti sto portando a casa»
«Mi manca l'aria devi mettermi giù..»
Avevo bevuto troppo e quella sera non avevo pensato minimamente alle conseguenze.

Non avrei mai dovuto mischiare l'alcol con le medicine che prendevo regolarmente, poteva essere davvero pericoloso, il contrasto delle due cose insieme accentuava vertiginosamente i sintomi invece che contrastarli, e gli effetti collaterali erano molteplici, tra cui allucinazioni.
Erano anni che non mi riducevo così e non lo facevo di proposito, perché perdere il controllo di me stessa significava una sola cosa.
Panico.
Soffrivo di questo, costantemente, il panico mi colpiva con una forza imbarazzante e quando meno me lo aspettavo.
Mi mise giù lentamente e finii per cadere battendo pesantemente il sedere a terra.
Si abbassò davanti a me appoggiando un ginocchio sull'asfalto, mi scostò i capelli dal viso, «Un'attimo, ferma! Cos'hai in faccia.. Ferma Amanda!»
«Dai lascia stare la mia faccia..», scacciavo la sua mano dal mio viso, ma quelle mani volevano sapere e non si arresero.
Ero a terra, con i capelli arruffati, e facevo i capricci proprio come una bambina.
Mi bloccò entrambi i polsi con una sola mano, e con l'altra mano libera mi tolse i capelli dal viso, «Che ti è successo, me lo dici per favore?»
«Te l'ho detto prima..», ondulavo con tutto il corpo andando all'indietro e tornando in avanti.
«Amanda guardami e dimmi cosa ti è successo»
«Oddio Jun.. Non mi far ripetere le cose.. Te l'ho detto prima.. Sono state quelle pazze..»
Lasciò la presa liberandomi le mani e caddero anch'esse colpendo il suolo, «Ti sei azzuffata?», chiese con tono sorpreso.
«Le ho prese e basta da quelle sasa..», non riuscivo a completare nemmeno una semplice frase.
«Sasa.. Cosa?», insistette prepotentemente.
«Sasaeng te l'ho detto prima..», dissi esasperata.
Afferrai la maglietta della figura che era davanti a me con entrambe le mani, «Non ti arrabbiare però.. Non ti arrabbiare con me.. Perché non dici niente? Parla, parlami!»
Lui aveva capito che quei lividi erano una conseguenza dell'incontro avuto precedentemente, e non poté fare a meno di sentirsi tremendamente preoccupato.
Mi tirò su piano piano fino a mettermi in piedi, cercò le chiavi di casa nelle tasche della salopette, appoggiò le mie braccia intorno al suo collo per poi prendermi prepotentemente in braccio, ed io mi lasciai prendere, interamente.
Mi aggrappai stringendo quel corpo e mi sentii al sicuro.
Salì le scale e cercò di aprire la porta di casa con me ancora abbandonata fra le sue braccia. Entrammo e richiuse la porta, accompagnandola con il piede.
«Jun non respiro non mi sento bene..», iniziai a respirare a fatica, annaspavo, cercavo di prendere aria, ma era così pesante.
Tutto l'ossigeno che mandavo giù si bloccava in gola.
Ogni respiro diveniva un peso al petto troppo doloroso da sopportare, come un macigno che viene poggiato e issato ad ogni boccata d'aria.
Quando arrivammo al divano mi fece sedere sullo schienale sostenendomi con premura.
Ero seduta, ma il mio corpo pendeva costantemente in avanti, finii per appoggiare la testa su di lui che se ne stava in piedi davanti a me.
Mi accarezzava i capelli, delicatamente, ed io sentivo il battito di un cuore che trepidava, un suono bellissimo, un ritmo incessante.
E senza quel contatto fisico risaliva l'ansia, ogni volta che mi staccavo da quel calore ritornavo punto a capo.
Iniziai a darmi dei colpi al petto, non sarei riuscita ad affrontare un attacco di panico in quelle condizioni, non ero lucida.
«Sento un peso fortissimo sul petto..»
«Guardami, sono qui ci sono io, prendi un grande respiro», appoggiò la sua mano sul mio petto, proprio sopra la mia mano.
Iniziai a prendere delle bloccate d'aria, ma non potevo aprire gli occhi, sarebbe stato peggio, dovevo tenerli serrati.
Persino le luci mi facevano sentire peggio, non c'era una via di fuga o un interruttore, non potevo rimandare indietro il tempo, dipendeva tutto da me.
«Non riesco, non riesco.. Mi dispiace, mi sento morire..»
L'attimo dopo persi i sensi e caddi in quell'oblio, la parte peggiore di me, quella nuova me m'aveva presa di nuovo, tirandomi giù.
«No, no, no, Amanda..»
Mi tirò su, mi prese da quel divano e mi abbracciò di nuovo, iniziò a vagare per casa in cerca del bagno e quando lo trovò nemmeno accese la luce.
Spalancò la porta e mi appoggiò a terra, aprì con forza l'anta della doccia, quasi la ruppe in mille pezzi, girò la manopola dell'acqua lasciandola scorrere copiosamente, fin quando non diventò calda.
Era tremendamente agitato, mentre io stesa a terra, quasi incosciente, ero avvolta solo da ombre in movimento.
Facevo fatica a percepire i suoni, le orecchie erano ovattate, suoni lontani, suoni vivi ma lontani, sentivo l'acqua scorrere ma la percepivo lieve come una pioggia battente sull'asfalto.
Slacciò la salopette senza esitare, la sfilò e la gettò via dall'altro lato del bagno, si guardò in torno in cerca di un asciugamano, ne trovò uno appoggiato sul mobile e lo prese con foga.
Mi portò lentamente dentro la doccia e ci finì anche lui, il getto dell'acqua colpì entrambi.
Si trascinò sedendosi nel piatto della doccia e si appoggiò con la schiena contro il muro, con un movimento deciso mi tirò a se, appoggiò la mia schiena al suo petto e mi avvolse con le sue braccia.
Lasciò cadere su entrambi l'acqua calda che penetrò fin dentro le ossa e mi avvolse ardentemente.
Non sapevo quanto tempo fosse passato e perché ero lì, iniziai a sentire delle carezze in viso, tenere carezze, da mani gentili e familiari.
Pian piano iniziai a percepire una voce, una voce piacevole, sussurrava canticchiando una dolce canzone, quella voce, quel canto riuscì a risvegliarmi.
«Ecco brava apri gli occhi..», sussurrò quelle parole con voce calma, «Non ti spaventare, sono io..»
Il vapore dell'acqua calda avvolse l'intera piccola stanza, tante goccioline di condensa correvano giù sulla cabina di vetro della doccia.
Eravamo fradici, umidi, impregnati di quest'acqua che ci scendeva addosso senza mai smettere.
Aprii lentamente e con timore gli occhi, l'acqua calda mi aveva risvegliata, ora percepivo di nuovo l'ambiente, percepivo l'oscurità nel mio bagno e in lontananza, una fioca luce arancione, la luce del soggiorno.
Abbassai lo sguardo e vidi le braccia tatuate che avvolgevano il mio corpo.
«Che ci fai tu qui..»
Volevo urlare, alzarmi di corsa e nascondermi, non appena capii che lui era lì con me, ma il mio corpo era stremato.
«È una lunga storia..»
Provai ugualmente ad alzarmi, goffamente, ma ci provai, e lui mi riportò a se, tra le sue braccia bagnate, «Non provare a muoverti, adesso ce ne stiamo altri dieci minuti qui così»
Non obbiettai, non ne avevo le forze, ero sfinita.
Non sapevo come ci fossi finita nella doccia e perché lui era lì, non volevo nemmeno pensarci troppo, non mi importava realmente.
Infondo con lui, era stato sempre così, ed io iniziavo a farci l'abitudine.
L'unica cosa che volevo davvero era rimanere tra quelle braccia calde e bagnate, di quel ragazzo che mi stava salvando da me stessa.
«Stavi cantando quella canzone..»
«La canto di nuovo se vuoi..», mi disse sussurrandomi all'orecchio.
Annuii.
Eravamo solo noi due, ma lui parlava a bassa voce, come se qualcuno potesse sentirci da un momento all'altro.
E sotto l'acqua che scorreva, in quel bagno caldo e buio, cantava solo per me.
Meravigliosa, meravigliosa voce che a tratti graffiava le parole, ed il mio cuore.
Graffiò ogni mia paura, ogni mia ansia, squarciando quei momenti orribili.
Chiusi gli occhi e semplicemente mi lasciai trasportare.
Ero già in imbarazzo per tutta quella situazione, quel ragazzo era piombato nella mia futile ed inutile vita in un batter d'occhio, l'aveva stravolta completamente, ed ora mi aveva vista vulnerabile, denudata da vestiti e sentimenti, aveva visto la parte meno interessante di me e non era scappato.
Lui era lì ad abbracciare la mia pelle e le mie pazzie.
Quel ragazzo in quel momento poteva decidere di essere ovunque, in questo fottuto e pazzo mondo, ma aveva scelto di calmare una stupida e inutile ragazza ferita da sé stessa.
Aveva portato con sé il caos, aveva ribaltato le mie emozioni, eppure non mi preoccupavo, proprio io che mi preoccupavo sempre di tutto.
«Devo prendere dei calmanti.. Sono lì nel mobiletto..»
A quella richiesta lo sentii sospirare, strinse la presa su di me, come se già sapesse, come se già un po' mi conoscesse, aveva già vissuto la mia impulsività.
«Assolutamente no, scordatelo, quella merda piuttosto la butto..»
«Ne ho bisogno..»
«Prima dobbiamo parlare di alcune cose io e te», fece una pausa, aspettava una mia risposta, che non arrivò mai.
«Parlo di quello che è successo stasera..»
Forse fu la vergogna o forse, avevo paura che se gli avessi raccontato tutto si sarebbe alzato e se ne sarebbe andato per non tornare mai più.
Voleva sapere di più, voleva capire perché soffrissi di tutto questo, ne era rimasto sconvolto, ma io non potevo raccontare ad uno come lui, la mia serie di sfortunati eventi.
Non riuscii a trattenermi, sentivo salirmi dentro un forte senso di disagio e stavo per comportarmi da stupida, stavo di nuovo per fare lo stesso sbaglio, ferivo, prima di sentirmi ferita.
«Vattene per favore..»
Non mi lasciò, «No, non me ne vado»
«Lasciami e vattene a casa..»
Una miserabile, ecco quello che ero, una perfida e irriconoscente ragazza.
«Smettila di trattarmi come se fossi un idiota..»
Iniziai a scalciare il vuoto per divincolarmi da quell' abbraccio, dovevo uscire da quella doccia, quel nodo in gola stava per implodere.
Mi liberai e mi girai, fino a quel momento non ero riuscita a guardarlo.
Non c'era luce nella stanza, eppure quel viso era nitido e scolpito nella mia mente.
Se ne stava appoggiato al muro, con le ginocchia piegate e le braccia appoggiate su di esse, i suoi bellissimi capelli bagnati erano incollati sul quel volto affascinante, gocciolavano, lasciando solchi, i suoi occhi erano distrutti dalla stanchezza e forse da tante altre cose.
La mia voce si ruppe, feci fatica a scandire le parole, «Guarda l'assurdità di questo momento.. Ma non te ne rendi conto? Non vedi che io e te, questa cosa, non ha senso.. Che ci fai qui? Che diamine ci fai qui..», lo spinsi, con entrambe le mani.
«Smettila»
Continuai, imperterrita, più mi diceva di smettere, più lo spingevo contro la parete bagnata, umida, imbevuta dai nostri respiri.
«Smettila cazzo!», mi bloccò i polsi.
Lo guardai e lui guardò me.
Mi tirò a se e mi abbracciò.
Un poeta una volta disse che,

𝙸𝚕 𝙵𝚒𝚘𝚛𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚊 𝙻𝚞𝚗𝚊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora