XXI

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Giovanni osservò per qualche secondo le condizioni della sua stanza. Forse non era mai stata così vuota, si disse mentre passava in rassegna con lo sguardo ogni angolo. La finestra era già stata chiusa, il letto disfatto e spogliato dalle lenzuola, come se non attendesse il suo ritorno. Giovanni sapeva che quei giorni a Sinnai sarebbero stati importanti quanto potenzialmente disastrosi. Lui che non aveva mai imbracciato un'arma, che mai aveva avuto la necessità di farlo, si ritrovò improvvisamente fuori luogo. Scosse leggermente la testa, una sensazione momentanea, si disse. Era forse il fatto di dover abbandonare quella casa considerata il suo punto di arrivo, mai quello di partenza.
Sentì i passi lenti della madre farsi sempre più vicini, la donna si appoggiò cauta allo stipite della porta. Giovanni la osservò per qualche secondo, prima di sospirare e tornare ad osservare il pavimento. "La colazione è pronta" annunciò Maria Rosa, "non vorrai partire a stomaco vuoto" suggerì. Giovanni pensò che tutta quella premura nei suoi confronti non le si addiceva per niente. Ma decise di stare al gioco, per scongiurare altre discussioni che avrebbero soltanto innescato altri pensieri negativi. Con l'animo pesante ed il cuore in gola, annuì brevemente, e la donna capì che fosse giunto il momento di lasciarlo solo.
Giovanni aveva perso completamente il sonno, le notti erano fatte solamente di sospiri inutili. Si girava e rigirava sul letto più volte, alla ricerca della posizione adatta. Ma finiva sempre per stare sveglio, ripetendo a memoria ogni parola scagliata contro Mario.
Mario che non vedeva da quella esatta sera, e si disse brevemente che meritava quel silenzio. Era certo che lo avrebbe operato con sé ovunque, ormai. Ma si disse che fosse la giusta punizione che spettava agli infami come lui. Aveva usato tutto ciò che possedeva contro Mario, le parole le aveva pensate per bene. Era questo ciò che lo fregava, il fatto che non lo avesse fatto per incoscienza. Era fin troppo al corrente delle parole che aveva utilizzato, per questo adesso il loro ricordo lo rendeva più fragile dei granelli di polvere sopra al suo comodino.
Sospirò nuovamente, sentendo la testa pesante, e lasciò definitivamente la stanza.

Maria Rosa gli aveva fatto trovare la cucina rassettata, come ogni mattina il pane ed il formaggio erano già sul tavolo. Ma del resto della famiglia non c'era traccia.
Giovanni occupò il suo solito posto in silenzio, lasciando cadere sul pavimento la valigia di cartone, contenente i suoi effetti personali. Qualche pantalone di ricambio, delle camice, cassetti e tutto ciò che gli sarebbe potuto tornare utile. Le sigarette erano sicure dentro la tasca interna della sua giacca, avrebbe voluto perdere tutto, ma non quelle. Senza le Nazionali non avrebbe potuto sfogare il suo malessere generale, se mai avesse avuto il tempo di farlo.
Divorò ciò che la madre aveva abbandonato sul tavolo quasi con furia, nonostante il poco appetito. Si disse che almeno in quel preciso istante avrebbe potuto scordare tutto, affogandolo nel cibo. Non era mai stato colpito dalla sensazione di stomaco vuoto, prima d'allora, o almeno non in quelle circostanze. La litigata furiosa con Mario gli aveva tolto le forze, e la stessa voglia di recuperarle. Maria Rosa gli aveva suggerito di infilare dentro la valigia un po' di pane, del formaggio, ma aveva lasciato perdere.
Una volta terminato il pasto aveva recuperato la valigia e abbandonato totalmente la stanza, dimenticandosi di tutto e tutti.

Una volta arrivato in strada si accorse del movimento dentro al quartiere. Poteva quasi sembrare una giornata come tutte le altre, le donne accorrevano alle fontane, chi a comprare il pane, i bambini vocianti seguivano le proprie madri. Nemmeno il passaggio dei carri si era fermato, Giovanni pensò di vivere quasi entro ad una bolla.
Gli parve improvvisamente di aver indossato i panni di un'altra persona. Avrebbe voluto avere qualcuno al suo fianco, qualcuno ad accompagnarlo al porto, a salutarlo. Invece i genitori, presi dal lavoro, lo avevano completamente abbandonato a sé stesso. Così come Mario, punendolo con il silenzio lo aveva condannato a ripensarci per sempre. Almeno fino a quando non sarebbe tornato.
Giovanni odiava domandare scusa, lo faceva sentire debole, ma per Mario lo aveva sempre fatto. In quel momento il risentimento si fece nuovamente strada nel suo petto.
Anche Mario non si era comportato bene, non aveva rispettato la sua decisione. Era quasi come se avesse voluto tenerlo ancorato a sé, in qualche modo. Giovanni si domandò che diavolo di importanza potesse avere, comunque non sarebbe andato da nessuna altra parte.
Forse la distanza forzata gli avrebbe aiutati a comprendere ciò che avevano combinato, entrambi. Certo Giovanni non sarebbe strisciato nuovamente dall'altro, non avrebbe mai abbandonato la sua presa di posizione.

Continuò a rimuginare, scendendo lungo l'ampia discesa che lo avrebbe condotto al porto. Piazza Yenne in quell'ora del mattino era già gremita di persone, si immaginò che avesse qualcosa a che fare con l'imminente partenza. Osservò le donne strette dentro le ampie gonne, gli abiti classici ma allo stesso tempo eleganti. Gli uomini stretti dentro le loro giacche scure, le camice inamidate e pulite, i cappelli a cilindro.
Continuò a camminare guardandosi intorno, stringendo nella mano destra la valigia scura.
Una volta giunto al porto, poté notare Piazza Matteotti riempirsi velocemente di uomini di ogni età. Così come i portici di Via Roma dove i locali ospitavano famiglie, uomini, donne, bambini, persone di ogni genere. Attraversò la strada velocemente, stando attento ai mezzi di passaggio.
Una volta giunto al porto si mischiò alla folla, spingendo leggermente si fece strada tra gli uomini, sospirando quando doveva domandare loro di spostarsi. Le voci si facevano sempre più alte e potenti, tanto che quasi non riusciva a seguire alcun discorso. Avrebbe voluto unirsi, attaccare bottone come era solito fare, ma improvvisamente si rese conto di non volerlo veramente. Sarebbe rimasto da solo, almeno fino all'arrivo a Sinnai, la lunga camminata lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee.
Carabinieri a cavallo passeggiavano lenti tra gli uomini, Giovanni osservò le loro divise immacolate brillare sotto la luce del sole cocente.
Così come quelle degli uomini che non aveva mai visto prima. Non sapeva niente, non conosceva alcuna informazione utile ad identificarli.
Osservò soltanto le loro divise decorate, alcune più di altre, pulite e ben sistemate. Uno di loro portava dei baffi bianchi particolarmente lunghi, arricciati sulle punte in maniera precisa. L'uomo lo colpí con il suo modo di porsi, mostrava sicurezza di sé, calzando quella divisa come una seconda pelle.
Giovanni fu rapito dal suo portamento, si augurò un giorno di poter raggiungere la stessa importanza di quell'uomo. Perché certamente doveva essere qualcuno di particolarmente importante, perché tutti si toglievano il cappello al suo passaggio.
Ma non era il solo a portare quella divisa, altri seduti dietro a dei banchetti improvvisati vestivano allo stesso modo. Giovanni si accorse soltanto adesso della loro presenza, assottiglió gli occhi per mettere a fuoco l'immagine.

Dovevano essere dei segretari, o qualcosa del genere, perché scrivevano velocemente ed attentamente su dei fogli già pieni zeppi. Il ragazzo si voltò in tutte le direzioni, alla ricerca di un indizio, sbuffò quando si rese conto che l'unico modo per sapere cosa fare sarebbe stato proprio attaccare bottone con qualcuno.
Identificò un ragazzetto piuttosto basso, i capelli scuri e tagliati a scodella. Gli occhi erano scuri e piuttosto grandi, scavati quasi dentro la testa e contornati da lunghe ciglia scure. Non parlava con altri, se ne stava soltanto accanto ad un gruppo intento a portare avanti una conversazione fin troppo animata. Osservava in maniera silenziosa, annuendo di tanto in tanto in maniera molto distratta. Indossava una camicia bianca, dei pantaloni scuri tenuti fermi da una cinta nera. La giacca la teneva soltanto posata sulle spalle, e Giovanni potè giurare che fosse di qualche taglia più grande.
"Ei" lo chiamò, cercando di attirare la sua attenzione. Il ragazzo si voltò di scatto, sfuggendo però allo sguardo del suo interlocutore. "Dico a te" disse nuovamente, avvicinandosi quanto poteva all'altro.
Il ragazzo si voltò finalmente nella sua direzione, una espressione sorpresa nel volto, Giovanni temette di averlo spaventato. "A me?" domandò, portandosi un dito al petto ed indicandosi da solo. Ascoltò il suo accento, memorizzandolo e cercando di comprendere da quale paese provenisse. "Si, dico a te" confermò, poi indicò con un veloce gesto del capo il banchetto ancora gremito di uomini. "Cosa succede in quel banchetto?" domandò, il ragazzo si voltò immediatamente seguendo il suo sguardo.
Giovanni potè vedere i suoi occhi illuminarsi per qualche secondo, "raccolgono le presenze" disse, "conviene avvicinarsi" consigliò poi. Giovanni annuì distrattamente, e prima di allontanarsi lasciò una leggera passa sulla spalla del ragazzo.

"Ti devo una sigaretta" disse, ma l'altro fu particolarmente veloce a rispondere. "Non fumo!"

Ignaro che ti sto facendo a pezzi | Vol. I #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora