XXVI

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⚠️Consiglio di leggere la "nota dell'autrice" successiva, prima di iniziare questo capitolo. Ho deciso di mettere un avviso perché penso che ci siano delle parti che potrebbero urtare la sensibilità di alcun*!


Antonia osservò ancora una volta la foto che teneva tra le dita. Il foglio sbiadito ormai aveva perso quasi del tutto il suo colore originale, dell'immagine un tempo impressa restavano poche macchie anonime e qualche scarabocchio, ma Antonia era sicura di poterla vedere ancora. Riusciva a ricordarsi fin troppo bene i tratti del volto che un tempo riportava, gli occhi grandi e scuri, le sopracciglia folte e i capelli tagliati fin troppo corti. Il viso del ragazzo era sempre stato scarno, complice la fame che la famiglia aveva sempre attraversato e che pareva seguirla come un'ombra da sempre, e se chiudeva gli occhi poteva sentire ancora sulle dita la pelle candida e costellata dalla leggera barba.
Scosse velocemente la testa, scacciando quelle immagini e riportò la foto dentro alla vestaglia, lasciandola là dove la pelle risultava più sensibile.

Dopo qualche secondo si accorse dei passi leggeri che arrivavano da dietro la porta di legno, che aveva lasciato chiusa da quando Raimondo era uscito sbattendola con forza. Ma prima che potesse alzarsi questa si aprì con uno scatto veloce, e il viso del figlio minore fece capolino da dietro di essa. Antonia non riuscì a trattenere il leggero sorriso, e Mario nel vederla piuttosto serena entrò nella stanza da letto dei genitori, chiudendosi poi la porta alle spalle. "Tutto bene?" domandò poi, pacato come sempre, quasi volesse tastare il terreno prima di intavolare qualsiasi conversazione. Antonia sapeva che cosa voleva domandarle, lo leggeva negli occhi, e portò una mano tra i suoi capelli scuri quando Mario si sedette accanto a lei.

Scosse la testa, facendo oscillare per qualche secondo la stella d'oro che portava al collo. "Tutto bene" disse, rassicurandolo come poteva, cercando di tenere un tono che paresse almeno sincero. Mario la osservò ancora per qualche secondo, analizzando le rughe che contornavano i suoi occhi, poi abbassò nuovamente lo sguardo verso il pavimento. Antonia sospirò, e senza dire altro lo accolse tra le sue braccia, fasciate dalla camicia di stoffa leggera e scura. Mario la lasciò fare, le mani della donna raggiunsero la sua schiena magra, e il suo capo il petto dove poteva sentire il battito lento del cuore. Non era solita, Antonia, lasciarsi andare a tali gesti, che spesso non venivano accolti dal figlio maggiore o dal marito.

Mario aveva il dono di comprendere, si era sempre detta, e talvolta questo la portava a nascondersi più del necessario. Nel proteggere entrambi i figli aveva disseminato nei lati oscuri della sua mente dei pezzi della sua vita, che non era mai stata in grado di mostrare alla luce del sole. Come la foto che bruciava sul suo petto, proprio dove poggiava il capo di Mario, e Antonia dovette sospirare nuovamente. Mario si voltò completamente, portando il capo sopra le gambe della madre, coperte dalla lunga conna scura, e le gambe sopra al letto morbido.

Antonia lasciò che le sue dita magre e dalla pelle secca si infilassero tra i capelli disordinati di Mario, spostando leggermente i ciuffi che ricadevano sulla sua fronte. Il ragazzo la osservò per qualche secondo, e Antonia lo vide aprire la bocca per qualche secondo, prima di parlare nuovamente, "dovresti raccontarmi di nuovo quella storia" disse. Antonia corrugò la fronte, le rughe di espressione che andavano ad aggiungersi a quelle scavate dal tempo sul viso armonioso. Scosse piano la testa "quale?" domandò, sforzandosi di ricordare. Mario sollevò un sopracciglio scuro "la leggenda del ragazzo" precisò, e allora Antonia capì.

Da sempre aveva raccontato delle storie ai suoi figli, e anche ad altri bambini quando si ritrovava a dovergli intrattenere. Spesso erano inventate, puro frutto della sua fantasia che ogni tanto lasciava galoppare, ma altrettanto spesso erano pezzi della sua vita. Si era ritrovata a dover lasciar andare in quel modo quelle parti di sé, per liberarsi l'anima perennemente in tempesta almeno un po'. La storia che Mario aveva richiesto però, non era una di quelle storie che amava raccontare. Era cupa, triste, frutto di una parte della sua vita che aveva in tutti i modi cercato di cancellare. Ma dovette, ancora una volta, fare finta di niente e assecondare la richiesta del figlio.

Non si era mai domandata come facesse Mario, a richiedere sempre lo stesso racconto. Era quasi come se il ragazzo, in qualche modo, sapesse che quella storia doveva essere raccontata. Antonia aveva provato svariate volte a buttare fuori quello che per anni aveva nascosto, ma il terrore l'aveva da sempre tenuta in scacco. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere i suoi figli, la sua famiglia, che seppur sgangherata era la cosa più cara che aveva. Quindi Antonia sospirò nuovamente, "sei sicuro di voler sentire proprio quella?" domandò, e per qualche secondo si ritrovò a sperare che Mario cambiasse idea. Ma il ragazzo annuì, sistemandosi nuovamente sulle gambe della donna e chiudendo gli occhi. Allora Antonia sollevò lo sguardo, verso il muro spoglio della stanza da letto che condivideva con il marito, e iniziò a raccontare.

La casa era piccola e spoglia nel centro del paesino, le strade strette e dai ciottoli completamente sporchi di terra a causa del continuo passaggio dei carri venivano spesso tappezzate di cartelloni bianchi. Tutti sapevano tutto, ma nessuno parlava mai, le voci circolavano da sole, tra gli sguardi della gente e c'era poco che si potesse nascondere soprattutto davanti alle donne più anziane. Il ragazzino viveva con la sua famiglia al buio, non avevano abbastanza soldi per potersi permettere la corrente e l'acqua calda, perciò si viveva come si poteva. Il bagno era situato proprio fuori dalla casa, accanto al piccolo pollaio dove venivano allevate le galline per la carne e le uova, e che spesso si ritrovavano a gironzolare per le strade o per il giardino dalle piante ormai secche. Il padre era un uomo corpulento, taciturno e dallo sguardo freddo, gli occhi chiari contribuivano a donargli un'aria forse più tenebrosa di quello che in realtà era: un uomo solo e consumato dal troppo lavoro, dedito soltanto alla  cura delle campagne e delle bestie. La donna invece era spesso vestita di nero, indossava lunghi abiti scuri e un fazzoletto ricamato le copriva il capo ogni giorno, portava già dentro di sé un lutto che ancora si doveva consumare. Il ragazzino era magro, indossava sempre una canotta di cotone bianco e le spalle olivastra sotto al sole cocente dell'estate diventava sempre più scura, fumava di già nonostante l'età, aveva osservato dal padre come aspirare il fumo dalla sigaretta e ormai era divenuto una sua abitudine. Entrambi gli uomini lavoravano nelle campagne dei grandi proprietari terrieri, uomini duri e spilorci che gestivano affari poco chiari con persone losche, all'oscuro dei poveri lavoratori che spesso si ritrovavano a pagarne le conseguenze. E la loro era una terra cattiva che non perdonava, qualcuno avrebbe sempre dovuto pagare e spesso si ritrovava a farlo con la vita, per questo quando gli uomini che abitavano le campagne scendevano nel paese durante la notte tutti si barricavano nelle loro abitazioni. Uomini dalle barbe incolte e lunghe, gli abiti scuri e spesso trasandati, portavano i fucili sulle spalle o le pistole cariche dentro alla tasca dei pantaloni. Un brutto giorno di agosto, quando il caldo si faceva sentire, i due uscirono di casa nelle prime ore della giornata, ma al rientro la donna trovò soltanto il marito. Stringendo al petto la figlia minore entrambi aspettarono per ore il suo ritorno, e quando si resero conto che erano passate fin troppe ore, uscirono di casa per cercarlo tra le vie del paese, ma fu tutto inutile, del ragazzo non vi era traccia. Per giorni dovettero attente in vano il suo ritorno, e quando deciso di rivolgersi alle autorità competenti, ci vollero poche settimane per constatare che il corpo del ragazzo era quello abbandonato nelle campagne del supramonte, lasciato in balia delle intemperie e degli animali selvatici. Il padre aveva compreso da subito il mandante del delitto, e ci vollero però giorni prima che confessasse di fronte alla squadra dei carabinieri, ciò che sapeva. 

Ma arrivata a questo punto, Antonia dovette abbassare lo sguardo verso il viso di Mario, temendo di essersi spinta troppo oltre. Ma il ragazzo pareva non essere particolarmente turbato, anzi, forse aveva compreso che quelle erano parole che la madre aveva osato donare raramente ai suoi interlocutori. Antonia dovette sorridere, "non è proprio una bella storia" commentò, portando nuovamente le dita tra i capelli del figlio. Mario scosse leggermente la testa prima di rispondere "non lo è", prima di alzarsi e pronunciare nuovamente "ma sono queste le storie che forse più di tutte devono essere raccontate". Antonia dovette abbassare lo sguardo verso la gonna scura che indossava, prima di lasciare che Mario si alzasse per primo dal letto e uscisse dalla stanza, lasciandola sola con i suoi pensieri.

Ignaro che ti sto facendo a pezzi | Vol. I #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora