VI. LA VITA A PARIGI

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In quei giorni la sera tornavamo sempre tardi. A volte vedevamo addirittura l'alba colorare il cielo. Non avevo mai fatto una vita così prima. Tutto mi sembrava bellissimo e brillante. Era come vivere in un sogno. Solo ogni tanto mi ritrovavo a pensare al castello, a quel lago dalle acque blu come le profondità dell'anima. Un pezzo di me era rimasto lì. La maggior parte del tempo però mi concentravo sul presente.

La mattina Albert mi faceva addirittura portare la colazione a letto. Non voleva che mi stancassi.

-Non è stancante scendere e fare colazione a tavola- protestai un giorno.

-Oh, lasciati viziare, non desidero altro- mi rispose lui, l'intenso sguardo verde che brillava.

E così cedevo. Mi piaceva cedere, non si trattava in realtà di una vera resa. Albert inoltre sapeva come piacere a una donna, questo mi era stato chiaro fin da subito. Ciò di cui tutte le donne parlavano come di un dovere per me, beh, non lo era. Al contrario, mi ritrovavo a desiderare quei momenti. Inoltre Albert era decisamente anticonvenzionale. Adorava sperimentare in luoghi, beh, non proprio indicati. Nell'ampia cabina armadio per esempio. Oppure sul tavolo nella sala da pranzo.

Era bello abbandonarsi tra le sue braccia, lasciare che fosse lui a condurre il gioco. Mi prendeva in braccio e mi adagiava dolcemente sul letto. Non era raro che fossi io ad attirarlo a me per baciarlo.

Ero così presa da quella vita che non riuscivo ad andare a trovare Dory quanto avrei voluto. Veniva spesso lei a trovare me, rimproverandomi bonariamente della cosa.

-Non pensi più a tua zia ora che sei sposata- mi diceva dolcemente, sorseggiando il tè.

Io le davo ragione, ma non mi sforzavo per cambiare le cose. Ero felice così, ecco tutto. Assurdamente felice. Perché non avrei dovuto esserla in fondo? Avevo tutto ciò che una donna avrebbe potuto volere.

In quei giorni il nome di Herman ricomparve nella mia vita. A quanto pare avrebbe dovuto recarsi a Parigi per una missione segreta da parte del governo tedesco.

-Parlare di pace, penso- mi spiegò Albert, leggendo la lettera dell'amico –sa essere piuttosto persuasivo quando vuole-

E così una nuova caratteristica si sommava alle altre di questa creatura che ormai di umano non aveva più nulla. Herman era intelligente, molto intelligente, forse perfino troppo intelligente. Era un ottimo stratega, il migliore della scuola militare. Era un bravissimo tiratore con qualsiasi arma da fuoco. E ora era pure persuasivo. Attesi con ansia il suo arrivo, chiedendomi se mi avrebbe trovata all'altezza. A Parigi gli amici di Albert mi colmavano di lodi. La cosa che piaceva di più era la mia pelle, lattea come la neve. François sosteneva di non averne mai vista di più bella. Si rivolgevano tutti a me, volevano sapere la mia opinione, volevano semplicemente ammirarmi. Mi sentivo la stella più brillante nel cielo scuro. Ero felice. E finalmente mi sentivo simile a Lotte. Albert, seppur geloso, diceva di essere felice che sua moglie ottenesse l'attenzione di tutti.

-Sei perfetta- mi sussurrava all'orecchio, prima di darmi un bacio sulla tempia, sul lobo, sul collo, ovunque capitasse –e io ti amo, Vivi, ti amo più di quanto possa dire a parole-

In quei giorni mi sforzavo di essere brillante senza essere appariscente. Sorridevo, parlavo, cercavo di stare composta. Il pensiero di Herman, la sua costante e ombrosa minacciava, premeva su di me, come una morsa. Fu con gioia che ricevetti la notizia.

-Herman non potrà venire- mi disse Albert, sconsolato, una mattina, la lettera aperta in mano –impegni, sempre impegni-

Subito mi assalirono nuovi dubbi. Non voleva conoscermi? Oppure erano altri i motivi che lo tenevano distante? Albert non sembrò farsi troppe domande. Compresi presto che ad Herman tutto era perdonabile.

La principessa e la cocotte: in amore e in guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora