Capitolo 86 ‹‹ La mamma sta venendo a prenderti ››

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Alan pov

<< Alan, dove stiamo andando?>> Ariel, seduta nei sedili posteriori era tranquilla e incuriosita dal paesaggio che le si mostrava fuori dai finestrini della macchina.

<< In un posto dove sarai al sicuro>> risposi. Era arrivato il momento di dire basta a Gieun, dire basta alla prigionia e dare il benvenuto alla libertà.

Nei giorni successivi all'episodio dello schiaffo dato ad Ariel diventai sempre più protettivo nei suoi confronti, avevo avuto la prova che da sola con suo nonno non era per niente al sicuro, lui non avrebbe mai smesso di dettare ordini aspettandosi che lei, prima o poi, avrebbe ubbidito, non avrebbe mai smesso di trattarla come una seconda Skylar, non avrebbe mai smesso di pretendere lo stesso atteggiamento remissivo della figlia e la testardaggine unita alla ribellione e voglia di sopraffare l'altro di Ariel, per quanto possano essere caratteristiche positive, in quelle situazioni erano tutt'altro che a suo sfavore, in quanto far arrabbiare Park Gieun significava avere le sue mani addosso e il corpo ricoperto di lividi ed echimosi. Se una volta aveva avuto il coraggio di sfilarsi la cintura dai pantaloni con il chiarissimo intento di colpirla, non avrebbe esitato nel farlo una seconda volta e se in quel caso io non fossi stato presente in casa, probabilmente, non si sarebbe nemmeno fermato a pensare sulle sue azioni; avrebbe caricato il colpo alzando il braccio oltre la sua testa e con un movimento verso il basso, rapido e secco, avrebbe portato il cuoio di essa ad infrangersi contro la pelle morbida e delicata dei quel piccolo essere, ripetendo lo stesso gesto più e più volte, creando numerosi schiocchi sordi e sempre più potenti fino a lacerarle le carni e macchiarle del suo stesso sangue. Poi, quando si sarebbe ritenuto più che soddisfatto della punizione pensando che così la piccola avrebbe capito la lezione, si sarebbe defilato lasciandola in un mare di dolore, sofferenza, bruciore ma soprattutto, sola.

Non volevo metterla ancora più a rischio, vivere in quella casa non era più fattibile a meno che permanere a lungo in quella residenza non significasse rimanere ogni giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, nella mia stanza, poiché fu esattamente ciò che fece Ariel dopo quel pomeriggio passato anche in compagnia del suo appa. Specialmente con lui, era il termine più consono.

Neanche dovetti proporglielo, inconsciamente avevo iniziato a sviluppare quel pensiero, ma evidentemente anche lei lo fece e quando quella stessa sera, dopo aver salutato Youngjo e aver lasciato loro un po' di tempo per sé, la accompagnai nella sua stanza non mi aspettavo che pochi istanti dopo essere entrato nella mia qualcuno bussasse alla porta e che quel qualcuno si rivelasse essere proprio Ariel con la sua piccola valigetta accanto e gli occhi fissi nei miei.

Non disse nulla, semplicemente avanzò superando la mia figura ed entrando in quella che da quel momento in poi divenne la nostra stanza. I miei occhi non smisero mai di seguire ogni suo movimento; lasciò all'ingresso il suo bagaglio insieme alle scarpine che allineò con cura e ordine una accanto all'altra, si guardò un po' intorno e solo in seguito si andò ad accomodare sul letto.

<< Non voglio stare da sola, è troppo grande per me>> affermò sedendosi sul letto con le gambe a penzoloni.

<< Posso rimanere qui con te?>> mi chiese poggiando le mani sulle sue ginocchia.

Io che ero rimasto ancora imbambolato all'ingresso con ancora la porta aperta, mi mossi a scatti, peggio di un robot con qualche ingranaggio andato in cortocircuito. I miei passi erano lenti e meccanici, così come le occhiate che riservavo alle sue scarpe, alla sua valigia e alla diretta interessata la quale attendeva pazientemente una mia risposta.

<< T-tutti i giorni?>> domandai sentendomi un completo idiota. Avevo la sua valigia davanti agli occhi, chi mai se la porterebbe in un'altra camera se non con l'intento di rimanerci?

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