Dopo qualche ora di viaggio, di cui metà passate a fantasticare
guardando fuori al finestrino, riuscii a intravedere in lontananza i
primi palazzi e le prime case.
Percorremmo un gran tratto di campagna desolata, spianata da
ampie vallate verdi dipinti dai più magnifici colori.
La macchina iniziò a rallentare, abituandosi al traffico londinese.
Dopo la guerra, la città cercò di rinascere nel miglior modo
possibile. Le persone in strada erano di certo più raggianti, e sul
loro volto si scorgeva la tensione ormai come ricordo lontano.
<< Eccoci arrivati, signore.>> Mi disse l'autista con quel suo tono
di voce grave che avrebbe spaventato chiunque.
<< La ringrazio.>> Scesi dalla macchina prendendo lo zaino e la
mia valigia. Appena chiusi la portiera, non ebbi neanche il tempo
di salire sul marciapiede che già la macchina scomparve dietro la
nuvola di fumo che si era alzata.
Salii per le scale esterne dell'università. Mi immaginai così tante
volte come sarebbe stato mettere piede per la prima volta da
"uomo libero" nell'università dei miei sogni.
<< Oh, lei deve essere James Bullet.>> Un uomo di bassa statura
si avvicinò a me a passi svelti. Avrà avuto la stessa età di mia
madre ma la sua andatura lo faceva sembrare più giovane, anche
se lo tradivano i capelli completamente bianchi.
<< Salve, si sono io. Lei deve essere il signor Forest, invece.>>
Non ebbi il coraggio di confessargli che in realtà nessuno mi
chiamava più con quel nome. Avrebbe iniziato a fare domande ed
io odiavo rispondere a quel tipo di domande. Mi limitai ad
allungargli la mano e porgergli un segno di cortesia.
Mi fece gesto di seguirlo e io entrai dentro quella che sarebbe stata
la mia casa.
Attraversammo lunghi corridoi, il pavimento in marmo rifletteva
la mia sagoma agitata. Di tanto in tanto sentivo il signor. Forest
blaterale di qualcosa, forse sulla monumentalità dei reperti della
scuola, ma io non riuscivo a sentirlo. Non lo ascoltavo perché ero
fatto così, in preda all'agitazione la spina che mi teneva collegato
alla realtà si staccava, avvolgendomi nella mia bolla.
Alcune volte annuivo con la testa per non sembrare scortese, ma
mi fu impossibile ascoltare o solo seguire il racconto sulla storia
dell'edificio in stile rinascimentale.
<<Eccoci arrivati alla sua stanza.>>
Posai i bagagli a terra e sospirai. Mi avevano preannunciato che
non avrei avuto una camera singola e, forse, fu proprio a quella
notizia che la mia ansia di capitare con qualcuno che non mi
piacesse iniziò a nascere dentro. Non ho mai avuto problemi ad
approcciarmi alla gente, vivevo costantemente in mezzo ad eventi
sociali, ma ogni conversazione non durava mai più di un'ora e, il
più delle volte, non rincontravo mai la gente con cui avevo
dialogato. A parte la mia famiglia, non avevo mai avuto rapporti
importanti di confidenza o amicizia.
<< Il suo compagno di stanza dovrebbe tornare a momenti da
lezione. Se ha bisogno di qualcosa mi trova nella stanza infondo.
Per i residenti degli alloggi il coprifuoco è impostato per le undici.
Per i pasti vari vi regolerete voi a pranzo e a cena, per la colazione
abbiamo il nostro bar di servizio. È severamente vietato portare
estranei negli alloggi.>> Disse con espressione ferma, spegnendo
qualsiasi emozione. Dopo aver stilato quell'elenco ormai imparato
a memoria, rimise sulla faccia il sorriso amichevole. << Spero si
troverà bene.>>
<< Sicuramente.>>
Lo vidi scomparire dietro la porta della stanza in fondo al
corridoio, proprio come aveva detto.
Entrai in camera e mi chiusi la porta alle spalle. Fu strana il
disagio che iniziò ad espandersi nel petto,non avrei dovuto
sentirmi così. Quella sarebbe stata la mia casa per un bel po' di
tempo, la mia tana dove ripararmi durante una tempesta. Eppure,
vedendo il letto affianco al mio sfatto, le maglie poggiate sulla
sedia e un odore nauseante di dopobarba mi facevano sentire quel
posto meno mio.
Mi sedetti su quello che sarebbe stato il mio letto e aprii la valigia.
Nella stanza c'era solo un armadio, e a prima vista mi sembrò
troppo piccolo per contenere gli indumenti di due persone.
Aprendo i cassetti della scrivania notai che il primo era occupato
dalle scartoffie del mio compagno di stanza. La tentazione di
sbirciare cosa ci fosse dentro era tanta, ma il mio buon senso me lo
fece richiudere.
Mi alzai, senza alcun apparente motivo. Girai su me stesso,
intrecciai le mie mani e mi accorsi che erano sudate, tremavano e
si stringevano tra loro con forza. Mi sentivo spoglio di tutto, e solo
dopo qualche minuto mi ritrovai ad apprezzare quella sensazione.
<< No, no, ci vediamo domani.>> Urlò qualcuno che fece per
entrare in camera. La voce della persona con cui stava parlando gli
rispose, e solo dopo girò la testa e mi trovò in piedi in mezzo alla
stanza.
Ecco il mio compagno di avventure.
All'iniziò sembrò non capire, e credo che stesse per venirmi
incontro nervosamente. Poi, qualcosa gli si illuminò in faccia: <<
Quindi tu saresti il mio nuovo coinquilino.>> Si chiuse la porta
dietro e si mise esattamente di fronte a me.
<< Così sembra.>> Dissi riprendendo le forze.
<< Da quale famiglia ricca Londinese arrivi?>>
<< Nessuna.>>
<< Interessante.>> Mi guardò, anzi no, mi analizzò.
Appena iniziò a girarmi intorno mi raddrizzai sul posto.
<< Sono Carlos.>> spezzai il silenzio.
Lo sentii sedersi sul letto. Mi girai per guardarlo.
<< Mi fa piacere.>> rispose, senza togliersi l'espressione
sospettosa sul volto.
<< In questo caso dovresti dirmi come ti chiami.>>
<< Perché?>>
<< Perché sei il mio compagno di stanza.>>
<< E allora? Ci vedremo solo la mattina presto appena svegli e la
notte. Se vuoi il dopobarba puoi anche chiamarmi "fratello".>>
Si mise a ridere e si distese completamente sul materasso. Io
rimasi a fissarlo. Non ci trovavo niente da ridere, e se prima l'idea
di potermi rilassare mi sfiorava la mente, in quel momento avrei
voluto chiudere la valigia e andarmene via. Ma poi ripensavo a
casa mia, a quel legno disturbante, la mia famiglia ficcanaso, mia
nonna che avrebbe voluto legarmi alla sedia e mia madre che mi
costringeva a sposare una donna che non amavo.
Ma poi vedevo lui, con un abbigliamento sciatto, capelli neri
troppo lunghi che gli coprivano gli occhi, una pelle bianca
cadaverica e il sentore di fumo sui suoi indumenti.
Ero in trappola.
Non sentendosi rispondere si mise a ridere con più vigore.
<< Stavo scherzando. Sono Andrew. Da dove vieni tu non si ride
spesso a quanto vedo.>> Si infilò una mano in tasca e cacciò un
accendino.
Forse mi sarei dovuto sentire offeso, invece mi sembrò che un
sorriso stesse nascendo sul mio volto. << Piacere di conoscerti.>>
gli tesi la mano e lui la strinse con enfasi. << La mia famiglia è
abbastanza algida e l'unica cosa che la possa far ridere sono le
disdette altrui.>> Mi sedetti sul mio letto e continuai: << Ma non
siamo una di quelle ricche famiglie di borghesia alta. Viviamo di
affari con l'Italia ormai da decenni.>>
Andrew si mise seduto di scatto, sembrò stranamente colpito da
quell'affermazione. << Quindi mi stai dicendo che non sei un
ipocrita figlio di papà?>>
<< Esattamente.>>
<< E hai delle cameriere che ti portano la colazione a letto?>>
<< No.>>
<< Non te le puoi permettere?>>
< Non è che non me le posso permettere, ma la mia famiglia trova
che sia un disonore obbligare altre persone a fare cose che
potremmo fare benissimo noi.>>
Andrew si mise la testa fra le mani e mi stette ad ascoltare con un
entusiasmo disarmante.
<< Meraviglioso.>> Esclamò.
<< Cosa?>>
<< Tu.>> Mi trovai impreparato a quella risposta. Abbassai gli
occhi sull'orlo del lenzuolo del suo letto e sentii qualcosa
crescermi in petto. Ne fui lusingato, mai nessuno mi faceva
complimenti così diretti.
<< Grazie. Tu invece? Da che famiglia di contadini vieni?.>>
chiesi sarcastico.
<< Oh, io sono il nipote del preside di questa scuola.>> Lo disse
con una tranquillità preoccupante. Sembrava che mi avesse rivolto
solo un banale saluto e non mi avesse detto la cosa che avrei
desiderato sapere prima.
Scattai in piedi in allerta: << Sei un Moneghen?>>
<< Si. Vuoi?>> mi porse il pacchetto di sigarette ma io rifiutai con
un gesto.
<< Quindi tu hai sperato tanto che non facessi parte di una
famiglia altolocata quando tu fai parte del capo delle famiglie
altolocate?>>
<< Si, ma sono felice davvero che tu non ne faccia parte. Io odio
la mia famiglia e tutte quelle uguale a lei. Non fanno altro che
vantarsi delle loro ricchezze e della loro potenza.>>
<< E perché tu dovresti essere diverso?>> Lui mi raggiunse in
piedi, e dal suo volto sembrò che lo avessi appena insultato. << Io
sono diverso da loro. Cioè, guardami, sembro uno scappato di
casa, non un principino delle fiabe.>>
<< Per essere uno scappato di casa devi essere davvero bravo per
aver passato il test di ammissione.>> Pensai, seriamente, di avergli
rivolto un complimento, ma lui inclinò la testa << Quale test?>>
Feci semplicemente due più due e capii che lui non aveva fatto
assolutamente niente per entrare in quella scuola. Non mi sarei
nemmeno meravigliato se lo avessero costretto a frequentarla.
Risi.
<< Che hai da ridere?>>
<< No, scusa, è solo che prima dici che sei diverso da loro ma poi
non hai dovuto alzare nemmeno un dito per entrare in questa
scuola.>>
<< Non ci volevo venire, mi hanno costretto.>>
<< Beh, ma devi sapere che per diventare "principino delle fiabe"
si inizia proprio così. Con una buona istruzione.>> un ghigno
beffardo spuntò sul mio volto.
<< Sai per caso come si rinuncia agli studi?>> scattò verso la
porta ma non l'aprì, si mise solo a ridere anche lui.
Per un attimo mi dimenticai che mi trovavo fuori dalle mura di
casa mia, e che stavo avendo un dialogo divertente con una
persona estranea. Ma da quel momento non più.
Accettai la sua sigaretta alla fine e me la portai al labbro.
Ci sedemmo entrambi sul mio letto, con la schiena appoggiata al
muro.
<< Quindi... pecora nera della famiglia?>> domandai.
<< Una cosa del genere.>> Cacciò il fumo dalla bocca in dei
piccoli cerchi<< Mio padre direttore dell'industria di famiglia, mia
madre cantate lirica e mia sorella diciassettenne viziata. Agli occhi
loro sono sempre stato una delusione, ma dopo un po ho iniziato a
farci l'abitudine. Stavo sempre fuori casa e la sera rientravo il più
tardi possibile. Poi ebbi un piccolo problemino e così chiesero a
mio zio di farmi mettere la testa apposto. Mio zio non è come loro,
è un uomo buono e mi ha fatto entrare all'università perché
pensava mi potesse fare bene.>>
<< Sembra simpatico.>>
<< Oh, lo è, tanto, ma non come suo figlio nonché mio cugino>>
<< E come è tuo cugino?>> Andrew sembrò entusiasta nel poter
denigrare suo cugino. << È arrogante, freddo, altezzoso, un
irritante so tutto io. Ti guarda dalla testa ai piedi come se non
valessi niente. Ma la cosa che mi irrita più di tutti, e che con gran
dolore devo ammettere, è che è estremamente bello.>>
divertente quanto inaspettata quella sua affermazione.
Lui sorrise, ma subito dopo assunse uno sguardo nostalgico <<
Prima eravamo inseparabili, io e lui, ma poi qualcosa si è
spezzato. È diventato cinico e antipatico, ha allontanato persino il
suo stesso padre dicendogli delle cose abominevoli. Ma mio zio
non lo ha mai odiato e credo non lo farà mai, ma non so per quale
motivo.>>
Rimasi incantato dalla sua storia e dalla voce quasi spezzata con
cui la raccontava. In un certo modo mi fece sentire meno solo.
<< E di te? Cosa mi racconti?>>
<< Di me? Non c'è tanto da sapere.>> Mi risvegliai dal senso di
tranquillità.
<< Andiamo, ti ho praticamente raccontato metà della mia
esistenza e i lati oscuri della mia famiglia, non puoi lasciarmi a
secco, amico. Mi offenderei.>>
<< Ma ormai lo hai fatto e potrei lasciarti a secco mentre io ho in
possesso delle informazioni importanti.>> Cacciai del fumo in
mezzo ai denti che sorridevano.
<< E cosa te ne faresti?>>
<< Potrei ricattarti o risvegliare dagli inferi quel demonio di tuo
cugino.>>
<< Ehi, non offendere il demonio.>> Mi puntò il dito contro <<
Sei uno spasso.>> concluse buttando il mozzicone di sigaretta.
<< Andrew.>> Lo chiamai mentre stava per alzarsi.
<< Dimmi.>>
<< Ma sai chi è il professore di letteratura antica? È bravo?>>
<< Io non seguo quel corso, studio la contemporanea.>>
<< Non segui il corso più importante dell'università?>>
<< No, non mi è utile. Ma se proprio lo vuoi sapere, il professore
Santiago è assente da un paio di giorni e si dice che non verrà fino
a data da destinarsi.>>
Spensi anche io la mia sigaretta. << E si può sapere più o meno la
durata della sua assenza?>>
<< Un anno.>>
<<Un anno? Ma che cosa ha?>>
<< E che ne so io.>>
<< Dimmi che ci sarà un sostituto.>>
<< Oh si, arriverà domani.>>
Sospirai, ma non sapevo bene se dal sollievo o dal nervoso.
Andrew se ne stette tutto il pomeriggio a scrivere mentre io iniziai
a svuotare la mia valigia, notando che in effetti in quel piccolo
armadio ci sarebbe andato tutto."Varcare la porta fa sempre paura, soprattutto quando non sai
cosa troverai. Paura di ritrovarsi nel buio o in una camera senza
finestre.
Chiudo gli occhi e viaggio a ritroso, e percorro tutte le volte in cui
ho avuto paura... vedo che ho resistito... vedo che ho pianto ma
poi subito ritorna il sorriso...vedo la mia compagna di viaggio...
La paura è solo paura, e io sono solo un uomo che non è capace
di vedere aldilà di essa."
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Dammi ancora un'ora
Lãng mạnCarlos non poteva immaginare che la sua vita sarebbe cambiata drasticamente. Infondo, il mondo non gli era mai sembrato più bello di così, su una ruota panoramica, con quel nome tatuato addosso, e il sapore di Lui mischiato tra le sue labbra.