Capitolo 31

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La luce, proveniente da quattro enormi lampadari di bronzo, scendeva dal soffitto a illuminare le vettovaglie in fine porcellana orientale e gli alti calici in cristallo dell'immenso salone dell'Ambassador. Era riunita la parte più autorevole dell'élite londinese e giapponese in quel connubio di voci e risate, che coinvolgeva galantuomini ordinati nelle loro marsine nere a lunghe code e dame eleganti nei loro elaborati vestiti di pizzi e merletti.

Helmut si accostò a Smith, rivolgendo occhiate leziose alle giovani dame e sorrisi cortesi alle signore più moderate. "Fai in modo che nessuno intralci la serata!" sussurrò, portandosi una mano al taschino del panciotto grigio e chinando il capo a ogni invitato che gli passava davanti.

"Il perimetro dell'albergo è ben sorvegliato dagli uomini, mio signore!" Annuendo con un sorriso soddisfatto, Helmut si allontanò propenso a gustarsi la serata del suo trionfo.

Per parecchio tempo, Casey sedette in silenzio rimuginando sulla sua sventura. Accanto a lei, sedevano due anziane signore irlandesi, le cui labbra si muovevano mormorando parole indistinte in un ciarlare sommesso, le cui uniche frasi che udì, più di una volta, furono gli elogi al giovane Collins. Ogni volta che udiva quel nome le dita delle sue mani si contraevano sul ventaglio, rischiando di spezzarlo. Nonostante ciò, riuscì a sorridere alle due adulatrici, che la ritennero fortunata di ricevere le attenzioni di un giovane così aitante. La sua eredità era sempre stata tenuta segreta, soprattutto da Helmut. Nessuno, quindi, sospettava le reali intenzioni dell'uomo. Lei era rimasta la benestante figlia del giudice Bailey, cresciuta insieme al giovane fino a innamorarsi e convolare a nozze.

Helmut era riuscito, negli anni, ad aggraziarsi una buona parte di consensi dall'alta borghesia londinese, non solo grazie al padre di Casey, ma dopo la sua morte, anche col solo sudore della sua perseveranza, distinguendosi da suo padre, e per questo solidificare una perfetta reputazione.

Ogni suo sbuffo si alternava al saltello capriccioso di un riccio sulla fronte. Ci fosse stato, almeno, qualcuno tra quei puritani che l'avesse conosciuta sin da bambina ... Girò un attimo gli occhi e trasalì, riconoscendo un anziano signore dal portamento magro, i capelli canuti e l'aspetto distinto, che, con grazia, si sorbiva le ramanzine della moglie su un bicchiere di troppo che stava bevendo. Casey scattò, quasi, in piedi e chiedendo scusa alle due signore si allontanò.

"Harry, non ti fa bene bere così tanto champagne ..."

"Suvvia, cara, è solo il secondo bicchiere ..."

"Appunto!" lo zittì la moglie, abbassando di poco la voce e guardandosi attorno, sperando di non attirare l'attenzione.

Casey desiderò far sentire loro la propria presenza, ma davanti alla simpatica discussione coniugale rimase rispettosamente da parte a contemplare quell'austera coppia dai sani valori morali.

Harry Butler era stato uno stimato collega di Edward Bailey, di cui prediligeva lo zelo che impiegava nella razionalità di far valere le leggi, ponendo sempre un occhio di attento riguardo su chi intuiva l'innocenza. Lui e sua moglie l'avevano vista crescere. Emma Butler si era, praticamente, occupata di lei dopo la morte di sua madre. La natura non aveva concesso loro la gioia di concepire dei figli ed Emma aveva preso a cuore quella bambina dai riccioli rossi e dal broncio sempre triste che si trascinava dietro, insieme alla bambola preferita della mamma.

Era stato sir Butler a svolgere tutte le formalità legali riguardanti il suo mantenimento; a sorvegliare le clausole della sua eredità e ad approvare la scelta di Bailey nel nominare Owen suo tutore. Tuttavia, i Butler non conoscevano le intenzioni di Collins.

Casey pose lievemente una mano sulla spalla della donna bassa e curvilinea, dalla chioma argentata e ben raccolta sul capo. "Zia Emma!"

La donna trasalì, riconoscendo il tono fanciullesco che tanto le aveva fatto sciogliere il cuore sin dai primi anni che ne udì la voce. Si voltò con occhi che le brillarono.

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