Capitolo 18

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"Cosa faremo?" gli chiedo la mattina dopo, ancora assonnata e con dolori dappertutto per aver dormito per terra. 

"Pensavo fosse chiaro che dovremo nasconderci" risponde come se fosse la cosa più normale del mondo. "Ci staranno cercando. E prevedo che abbiano messo anche una taglia sulle nostre teste." Il tono in cui lo dice, serio e piatto, non fa che enfatizzare quanto siamo spacciati. Ci vogliono morti.

"Non possiamo scappare per sempre" commento fingendo una sicurezza che non ho, nascondendo la paura che mi fa tremare come una foglia.
"Ci rifugeremo a Pompei per qualche giorno" mi dice alzandosi in piedi. "A quel punto ho intenzione di prendere una nave che vada il più lontano possibile da qui. Sei libera di seguirmi o andare per la tua strada. Il piano è fallito."

Non gli rispondo subito. Pensavo che a questo punto mi sarei risvegliata, sarei tornata alla realtà. Pensavo che questa fosse la mia missione. Pensavo di esserci riuscita.

E invece no. E invece mi tocca pensare ancora una volta a come continuare la mia vita in questo mondo, in questa epoca. Potrò tornare a lavorare alla locanda? No, li metterei in pericolo. Questo vuol dire che non tornerò mai più a casa? Forse. Voglio seguire Orfeo su quella nave diretta chissà dove? Non lo so. Vuole che lo segua o sarei un peso? La seconda.

Ora non è il momento di pensare a quel che sarà. Devo pensare a sopravvivere.

"Ci penserò quando arriveremo a Pompei" rispondo alzandomi in piedi. "Se arriveremo a Pompei" mormoro sotto voce.

Orfeo si ferma alla prima locanda che incontriamo sulla strada per fare scorta di cibo. Abbiamo entrambi una fame allucinante che non ci permette di proseguire questo viaggio di ritorno a Pompei. Sono più di ventiquattrore che non mangiamo, e sta diventando difficile anche pensare lucidamente.

Mi dice di aspettare fuori, che farci vedere assime non è una buona idea. Ho concordato con lui, raccomandandogli di fare presto.

Mi siedo sul tronco di un albero mozzato. Passo le dita tra i capelli cercando di sciogliere i nodi che si sono formati a causa del vento della notte scorsa.

Ai miei piedi c'è una distesa di margherite, e quanto vorrei saperle intrecciare per creare delle coroncine come quelle che a volte indossava Delia. Il pensiero di lei mi destabilizza, e credo di aver bisogno di parlarne con qualcuno. Orfeo non l'ha ancora nominata. Non ne vuole affatto parlare. Suppongo si senta in colpa.

Mi slaccio i sandali. Questa mattina ho legato i lacci così stretti attorno ai polpacci da lasciarci il segno. Slaccio prima la scarpa sinistra, distendendo le dita dei piedi tra l'erba.

Non faccio in tempo a raggiungere il piede destro. Una mano mi copre la bocca ed altre mi alzano per la vita. Mi fanno male. Riesco a mala pena a respirare. Cerco di gridare ma escono solo suoni spezzati. Qualcun altro mi benda gli occhi, e il campo di margherite scompare rimpiazzato dal nero più assoluto, come nei miei peggiori incubi in cui non riesco a capire dove mi trovo. Grido ancora, fino a farmi male la gola. Mi trascinano mentendomi per i fianchi in una morsa stretta che produce un dolore lancinante.

Poi cala il buio e perdo i sensi.

Quando mi sveglio non ho più la benda sugli occhi. Mi ritrovo con mani e piedi legate, imbavagliata e dolorante. Però posso vedere. I miei rapitori si trovano seduti in cerchio attorno al fuoco. Parlano tra di loro in una lingua che non comprendo.

Il più anziano avrà sui cinquant'anni, pelato e con una folta barba bianca. Gli altri sembrano essere più giovani, uno addirittura sembra avere la mia stessa età. Sembrano essere tutti accumunati dallo stesso naso a punta. Suppongo siano una famiglia, ed ora hanno trovato la gallina delle uova d'oro e stanno pensando a tutto ciò che si potranno permettere una volta riscossi i soldi.

Chiudo gli occhi prima che si accorgano che sono sveglia. Ho tanta paura. Preferirei essere uccisa da loro piuttosto che giustiziata dinanzi all'Imperatore. Forse in questo modo tornerò alla realtà, oppure me ne andò per sempre. Ormai non ha più senso restare in vita in questa dimensione. Sono sola. Orfeo penserà che me ne sia andata volontariamente, oppure penserà a sé stesso e non mi verrà a cercare. Dopo quanto successo ieri, dubito che rischierà la vita per salvarmi.

Non mi sono resa conto di aver aperto gli occhi fin quando il ragazzo più giovane mi si avvicina. Il suo aspetto mi ricorda quello di Flynn di Rapunzel. Ma non mi faccio ingannare dai suoi capelli marroni e dagli occhi azzurri, cerco di farmi indietro strisciando con il sedere a terra.

Un uomo della banda gli urla qualcosa, a cui lui risponde distrattamente.

"Non voglio farti del male" dice, ed è la prima frase che riesco a comprendere da quando mi hanno rapito, ed è anche quella a cui credo di meno. Dicono tutti così, anche i dottori prima di infilzarti la con la siringa. "Se stai ferma ti tolgo la benda."

Allunga un mano verso il mio viso, abbassando il sudicio pezzo di stoffa e lasciandomi finalmente respirare. Apre l'altra mano rivelando una fetta di pane, al cui il mio stomaco risponde con un brontolio.

Senza dire una parola allungo le mie mani verso di lui, in una silenziosa preghiera di scioglierle. Ne ho bisogno per mangiare e l'idea di provare a fuggire non mi alletta affatto ,se questo significa essere toccata da loro e procurarmi altri dolorosi livido.

"Se provi a scappare, ti prenderanno" dice indicando gli uomini seduti attorno al fuoco. "e stavolta non saranno gentili. Sono pronti ad ucciderti pur di riscattare il denaro."

Allora è proprio così. È come ha detto Orfeo. Ora ne ho la conferma.

Annuisco. Procede a sciogliere la corda, lentamente, quasi con delicatezza. Mi chiedo quale dei lividi che ho sparsi sul corpo mi ha procurato, o se sia stato lui ad imbavagliare o a mettermi la benda. La corda scopre dei polsi che non riconosco, di un colore violastro e sgorganti di sangue da dei tagli. È raccapricciante vedere il mio corpo ridotto in questo stato, anche se poco importa se sarò morta tra meno di ventiquattrore, e questa fetta di pane sarà la mia ultima cena.

Forse dovrei dirgli qualcosa, implorarlo di farmi scappare. Promettergli qualcosa in cambio, anche se non possiedo nulla. Ma non lo faccio. Afferro il pezzo di pane e lo mangio a piccoli morsi, godendomi l'ultimo pasto di questa vita, sperando che ce ne sia un'altra.

"Come sei finita ad essere ricercata?" mi chiede il ragazzo seduto di fronte a me, assicurandosi che io non provi a scappare.

"Pensavo di fare la cosa giusta" gli rispondo.

"Non esiste una cosa del genere. Nessuna scelta sarà mai quella giusta" ribatte.

"Ho imparato la lezione."

Aspetta pazientemente che io finisca di mangiare, e quando mi lega i polsi non stringe la corda. Potrei liberarmene da un momento all'altro senza troppi problemi. Mi copre la bocca con la benda, sussurrandomi all'orecchio di cercare di dormire. 

Perdersi un giorno d'autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora