16 - La fiera (I)

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Ariete
"Attenta a chi fai entrare nel tuo cuore,
non tutti sono buoni"


Seduta in mezzo al letto con le gambe incrociate, stringevo il cellulare e continuavo a guardare la programmazione televisiva di quella sera: dirty dancing, un film anni novanta con un capellone un po' troppo palestrato e infine una fantastica serie tv coreana.

«Claire, non puoi stare a casa». Laya mi lanciò una maglietta, colpendomi in viso.

Mugugnai spostandomela dalla faccia. «Non voglio venire a una stupida festa».

«Non è una stupida festa, è la fiera dei Padri Fondatori». Effie saltò sul letto, acciambellandosi vicino ai peluche che ancora ricoprivano la parte finale del mio letto. Sapevo di doverli togliere, ma onestamente non avevo mai voglia di sistemare camera mia. «Ci saranno le bancarelle, le giostre...».

«E gli hot dog» la interruppe Laya, «le patatine fritte, le caramelle gommose e poi anche le frittelle». Unì le mani, guardandomi con occhi sognanti. «Dio, potrei uccidere per una di quelle».

La guardai storta. «Sei in preciclo?».

«No, sono affamata» mi corresse prima di voltarsi verso il mio armadio. Iniziò a muovere velocemente le stampelle lungo la sbarra e un lamento sfuggì dalle mie labbra: odiavo quando metteva tutti i vestiti in disordine. Ne afferrò uno e lo fece ciondolare di fronte ai miei occhi. «Vestiti» ordinò.

Scossi la testa e mi lasciai ricadere sul cuscino. «Andate voi».

«Perché?». Effie si avvicinò ancora, incastrando il mento sul palmo della mano. Aveva lo sguardo determinato di quando doveva risolvere un'equazione particolarmente difficile. «Non hai mai saltato la fiera» osservò, «c'è qualche motivo in particolare per cui non vuoi venire?».

Mi morsi la lingua per non rispondere. Il "motivo particolare" era un ragazzo alto un metro e novanta, con scuri occhi blu e un pessimo atteggiamento.

«No, ho solo sonno» mentii, «ma a quanto pare non mi libererò di voi».

Effie batté le mani entusiasta e Laya mi lanciò il vestito turchese che aveva scelto. Non sapevo neppure perché lo facessi... perché continuassi a omettere una fetta così importante della mia vita. Voglio dire, erano le mie amiche: conoscevano ogni dettaglio scabroso, da quando avevo preso i pidocchi a quando avevo vomitato per un virus intestinale. Perché non riuscivo a raccontare ciò che era successo con Christian?

«Ci divertiremo, vedrai».

Evitai di rispondere al commento di Effie e m'infilai in bagno. La luce al neon dello specchio evidenziava due profonde occhiaie che appesantivano i miei occhi. Le ripercorsi con l'indice, chiedendomi se davvero ne valesse la pena di rinunciare a tutte quelle ore di sonno per rimuginare sempre sugli stessi tre argomenti: i corsi estivi a cui mia madre mi aveva iscritta, il voto che non mi avrebbe fatto partecipare al programma delle Nazioni Unite e... Christian Case.

«Dev'essere grave, se pensava addirittura di saltare la fiera».

Il sussurro di Laya arrivò abbastanza forte da farmi capire che volesse farmi sentire quel commento. Sollevai gli occhi al cielo e sfilai la maglietta con gli unicorni.

«Gravissimo» convenne Effie, «stava addirittura rinunciando alle patatine fritte».

Infilai il vestitino, tentando inutilmente di allacciare i nastri che s'intrecciavano sulla schiena. Era uno dei miei preferiti: aderente ma abbastanza semplice da poterlo indossare un po' ovunque.

«Forse dovremmo portarla da un medico» riprese Laya.

«Le diagnosticherebbe una pigrizia congenita incurabile».

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