17 - La fiera (II)

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Christian sorrise e le figure attorno a me si passarono il pollice sul labbro inferiore. «Ti ho vista prendere la strada sbagliata nel tunnel» disse.

La sua voce, però, non arrivava da dove me l'aspettavo. Sembrava rimbalzare in più punti, come un eco distorto dalla strana disposizione di quella stanza. Mi voltai di nuovo, ma ancora una volta trovai solo una serie di figure tutte uguali.

«Eri con Philip?» domandai, lasciando scorrere gli occhi tra gli specchi. «Non ti ho visto prima».

Uno spostamento d'aria dietro di me mi fece sobbalzare. «Forse dovresti guardare meglio, allora» sussurrò al mio orecchio.

Mi voltai di scatto, finendo con le spalle contro il vetro. Dovevo aver trovato il vero Christian, perché quello davanti a me era troppo reale per essere un semplice riflesso. Sorrise lascivo, spingendo l'angolo della bocca verso l'alto. Dai capelli tirati indietro, ricadevano due ciuffi che si fermavano a qualche millimetro dagli occhi. Nonostante ciò, mi fu impossibile evitare il suo sguardo. Nessuno ti guardava come Christian Case. Era come se ogni volta scavasse più in profondità, con più intensità. Quel pensiero mi mise a disagio.

«Forse» mi costrinsi a dire, cercando di recuperare il filo del discorso, «dovresti starmi lontano». Sollevai la mano per premerla contro il suo petto, ma all'ultimo la lasciai ricadere. «Proprio come ti ho già detto».

Nell'immobilità di quella stanza, avevo l'impressione che le mie parole pesassero il doppio. Erano sorrette dal silenzio, dalle luci soffuse che ci avvolgevano. Eppure, Christian non sembrò colpito dalla mia irritazione. Il suo sorriso si allargò. «Abbiamo già fatto questo gioco» sussurrò, abbassandosi.

«Allora sai di non doverti avvicinare» mormorai.

I suoi occhi trovarono i miei e percepii una nota canzonatoria nell'espressione di sfida che assunse. «Puoi sempre fermarmi, Claire».

Non lo feci. Christian si avvicinò ancora, abbastanza da percepire il suo respiro sulle guance. Lo osservai abbassare il mento, continuando a scrutarmi con quegli occhi magnetici. Avevano sempre avuto uno strano effetto su di me. Lo avevo sempre pensato, da quando mi aveva intrappolata contro la cattedra durante il nostro primo scontro, fino al giorno prima in camera sua.

«Perché sei qui?» domandai, spingendomi ancora di più contro lo specchio dietro di me.

Non mi stava toccando, ma quella situazione – i suoi occhi puntati nei miei, il pannello freddo alle mie spalle, la luce bassa che ci circondava - riportò a galla tutte le sensazioni del giorno prima. Non importava quante volte mi fossi ripetuta che era stato un semplice errore, la valutazione sbagliata di un attimo, il modo in cui mi aveva baciata in quella doccia – il modo in cui io avevo baciato lui, in quella doccia – era stato troppo intenso per fingere di non averlo voluto.

«Perché sono qui». Christian ripeté quelle parole lentamente, prima di chiudere gli occhi. Avevo l'impressione che quella domanda avesse appena cambiato qualcosa tra di noi. Quando li riaprì, l'espressione canzonatoria era sparita. «Sono qui per portarti fuori da questo posto» disse, accennando con la testa alla sua sinistra.

Lo guardai storto. Okay, forse quella stanza era inquietante, ma non mi serviva un babysitter. Prima che potessi dirglielo, la sua mano catturò il mio mento.

«Prima, però, devo sapere se è successo qualcosa» disse.

La sorpresa per quella richiesta fece passare in secondo piano la scarica che avvertii sentendo la sua mano calda su di me. «Quando?» mormorai.

Christian sollevò le spalle. «Oggi... ieri». Lo guardai cauta, avevo l'impressione che volesse pormi una domanda più specifica di quella. Come a voler confermare la mia teoria, si avvicinò ancora. «Perché sei scappata, Claire?» mi chiese infine.

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