Nemici

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Iniziarono gli appostamenti, gli avvertimenti, le chiamate anonime all'ufficio. A chi aveva pestato i piedi? A chi poteva dar fastidio? Giustamente, cercò la rassicurazione di Don Nino: «Chi cumminastu? Cu su' 'sta genti? Chi vonnu 'i mia? 'I mia chi vonnu?», singhiozzava l'avvocato tra le lacrime.

«T'a stari tranquillo. Fammi parrari cu mè cumpari Careddu e ti sacciu addiri. Futtitinni.»

Un ora dopo squillò nuovamente il telefono: «Pronto, Cosimo Russo sono, chi parla?»

«Cosimo, mi dissi Don Careddu chi ti voli avvidiri. Stasira si liberu? All'ottu, ti va buono?»

«Appostu semu. Dicci chi vaju io. All'ottu 'ni videmu. Ciao Ninuzzo, grazie.»

«'U sai chi pji mia si' comu 'n figghiu.»

Sicuro i corleonesi, di nuovo: si' n'avissa cadiri macari tutta Corleone, bastaddi. Cosa voleva consigliargli? Di partire di nuovo? Come l'avrebbe spiegato a Rita: non avrebbe creduto a un'altra scusa raffazzonata dieci minuti prima di rientrare a casa. Allora si esercitava, già la preparava:

«Rita, l'azienda sta fallendo»

«Cercati un lavoro, ricomincia a fare l'avvocato» avrebbe risposto lei.

E come avrebbe dovuto ribattere: di seguirlo senza fare domande? Ancora? Sarebbe rimasta a Custonaci e avrebbe avuto ragione: nel frattempo, i bambini avevano stretto amicizie, frequentavano uno l'asilo, l'altro la scuola, anche loro erano adesso sufficientemente grandi per domandargli: «Perché papà? Perché devo abbandonare i miei amici?». Intanto lasciarli lì non era una buona soluzione, rimanevano in pericolo, anche senza la sua presenza li avrebbero tenuti in ostaggio, seviziati fino a farsi condurre da lui, fino a trovarlo. Si incamminò, sperando che Cesare avesse pensato a un movente convincente da rifilare a sua figlia; proseguì, augurandosi che nessuno lo stesse seguendo. Aveva pensato di farsi accompagnare da qualche collega, da qualche amico, lo stesso Nino; dopo si era ravveduto, pensando che avrebbe condannato qualcun altro al suo stesso pericolo. È vero, però, che il timore in due si divide, che come il dolore si spartisce, mentre la gioia, quando vissuta assieme, duplica, aumenta. Ricordò quando nacque Ciccio, il suo secondo figlio: bello, biondo, il profilo di un angelo; nel momento in cui lo sollevò tra le sue braccia, pensò che non avrebbe amato più Giovannino allo stesso modo, che il suo cuore avesse preso il volo, lo avesse superato; contrariamente, appena tornati a casa, vide nel contatto tra i due suoi figli, nel loro abbraccio, lo splendore di un amore munifico, largo quanto il continente, vasto, arioso, ventilato, come se in quel preciso istante si fossero spalancate tutte le porte del globo e la luce si rincorresse senza intralcio tra le genti, tra le menti, finestre, si diffondesse. Un briciolo di sole era, per quel fraterno incontro, l'unico ammissibile termine di paragone.

Il suocero suo lo attendeva sul divano, ma stavolta aveva una flebo attaccata al braccio, una boccia pendeva precaria dal soffitto.

«Mimmu, vèni cà: non ti vidu»

«Eccomi. Sittatu sugnu, accantu a Vui.»

«Cosimu, staiu murennu.»

«Non diti a 'sta manera, c''a motti si senti chiamari»

«C'u dissi jeri u dutturi, a mè mugghieri», alzò d'improvviso la voce, «Ci pari ca non sentu, ca sugnu babbu»

La moglie tacque alla provocazione.

«'Viciniti Cosimu. Non mi fari fari vuci»

Il ragazzo si trascinò proprio sopra la sua bocca, rinsecchita e violacea, che così sentenziò:

«Prima mi chidu l'occhi, m''a fari un favuri»

«Sì, Signore, tutto quello che vuole!»

«L'hai presenti 'a cappella d''a Madonna Addolorata?»

«Chidda vicina a Prefettura?»

«No, chidda è 'a chiesa 'i San Clemente. Minchia, ma quanto si vidi chi t'innannasti: n'autri para d'anni e mancu chiù unni era a to' casa t'arricoddi. È quella che organizza a Ferragosto la processione, a piazza Benedetto Solferino»

«Ah, sì.»

«Eh. 'U parrinu è 'u niputi 'i Pippu. Ava moriri»

«Picchi?»

«Picchi è 'ntricatu, sapi tutti cosi. Iddhu fu chi parrau assai cu Tonino Braccia»

«E cu è st'autru?»

«È 'ddu fetente chi ti chiamau l'autru jornu»

«Ma scusatemi, io ancora non ho capito cosa non ci 'ncunnau a chistu...»

«Nenti, è 'n minchiuni chi seppi chi unni tia passa l'oru e voli 'a so' patti»

«È mandato dai corleonesi?»

«Ma quali colleonesi! Chiustu si u' ricanusci a so' famigghia è assai. Ava moriri, puru iddhu.»

«Ma n''o putemu fari scantari e basta?»

«No, Cosimo, sannu troppi cosi: livamunnilli davanti.»

«E sia. Diciticillu a... comu si chiama... Paulu, chi non ni' sbagghia una»

«Non capisti: l'ha fari tu.»

«Jo n''o fazzu»

«Tu 'u fai. Prima mi m'ammazzanu me figghia e i mè niputi»

«Ma picchi l'ha fari jo 'sta cosa?»

«Non tu pozzu spiegari. Non mi fari dumanni: non ti pozzu spiegari.»

«Ah no, Don Careddu, mi l'aviti diri»

«Semu sciarriati per ora, va bene? Jo non chiamu a nuddu. È 'a to' famigghia, 'a to' peddi: 'u fai tu»

«Picchi vi sciarriastu?»

«Non tu pozzu diri.»

«Se Vui non m''u diciti, jo mi 'nni vaju»

«E vatinni. M''u dissi Ninni Crutà: 'na simana non duri.»

Così fu la fine di Salvatore Guardì, in sagrestia, sotto il fuoco inesperto di Cosimuccio, che, per assicurarsi di averlo ucciso, lo colpì ripetutamente al petto, e poi in fronte, quando era già svenuto. Almeno non soffre, pensò. Così fu la fine di Tonino Braccia, davanti casa sua. Cosimo l'aspettò all'incrocio, come un setter lui lo fiutò e incominciò a correre. Comunque non si salvò, perché una macchina si mise in mezzo, fermò la sua disperata corsa e lo impose ai proiettili del ragazzo, ormai uomo, che si era travestito e imparruccato per l'evento; perciò, fu praticamente inutile la testimonianza del conducente della Opel Corsa che transitava in viale Mazzini: si prestò, terrorizzato, all'interrogatorio delle volanti e successivamente a quello del Pubblico Ministero, ma non seppe dare dettagli utili a identificare un colpevole: la descrizione non corrispondeva a nessun criminale noto alla giustizia. Non collegarono neppure i due omicidi: non essendo a conoscenza dello scambio di informazioni che intercorreva tra di loro e non riconoscendo nemici comuni, li consideravano due casi separati; in realtà, proprio non individuarono nemici. Per questo motivo, dopo un anno d'indagini, archiviarono il caso, senza un colpevole. Perfino i genitori di Salvatore si arresero, dopo aver combattuto per anni al fianco degli inquirenti; nonostante non si diedero mai pace, l'assassino restò libero, Cosimo Russo restò impunito.

Il lanzicheneccoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora