IX. BERLINO

37 9 4
                                    

Partimmo poco dopo l'inizio dell'anno nuovo. Affari urgenti richiamavano Albert in Germania. Lotte, dopo una breve indecisione, volle venire con noi.

-Non ti piace più la vita all'orientale?- chiesi sarcastica, preparando i bagagli. Quel mattino la testa mi girava, sentivo le ginocchia molli e avevo freddo. Speravo di non essermi ammalata. Non in quel momento.

-Non ho nessuna intenzione di lasciarti andare a Berlino da sola- ribadì Lotte, appoggiata allo stipite della porta, bella come una dea pagana.

-Fai come vuoi-

Louis venne a salutarmi il giorno prima della partenza. Mi portava i suoi auguri per una felice vita da moglie.

-Grazie- replicai, caustica. Il tono sorprese perfino me, ma ero stufa dei suoi interventi. Avevo cambiato idea, era forse una colpa?

-Scrivimi... ogni tanto- si sforzò di sorridere, come faceva un tempo.

-Lo farò- mentii. Ero davvero furiosa con Louis in quei giorni. Non comprendevo come potesse essersi fatto irretire anche lui, che sembrava così intelligente, da Lotte.

-Fallo veramente- insistè.

Non gli risposi.

-La Germania non è comunque il posto dove andare-

M'irrigidii. Albert non aveva detto a nessuno di Berlino. Era ossessionato da mille paure riguardo a quel conflitto che non si decideva a scoppiare veramente.

-Per ora c'è solo un po' di tensione al confine- mi aveva spiegato –nulla di serio per il momento... sembra che nessuno si decida sul da farsi-

Louis mi sorrise. –Non sono uno sciocco, certe cose si sanno-

Lotte, doveva essere stata Lotte. Quella sera però mia cugina giurò che non era stata lei a parlare. Mi resta così ancora oggi il dubbio.

Viaggiammo soprattutto di notte. Albert mostrò documenti, parlò in tedesco e in francese secondo le necessità, minacciò e lodò. Io e Julien, seduti dietro insieme a Lotte, dormimmo per gran parte del tempo. Mia cugina invece era stranamente euforica. Non faceva altro che parlare, cantare, raccontare. Sembrava che nulla al mondo potesse abbatterla.

Arrivammo alla casa di Albert all'alba. Il mondo era avvolto da una luce rossastra. La parola sorpresa non descrive neppure un po' quello che provai quando vidi la mia nuova dimora. Non avevo mai visto una casa così bella, così grande e così ricca. La fissai senza riuscire a comprendere come Albert potesse vivere in un simile lusso. Era qualcosa d'incredibile. No, non era solo incredibile... era addirittura impossibile.

-Che ne dici?- chiese Albert, l'orgoglio che vibrava nella sua voce, mentre mi aiutava a scendere.

-Questa è casa tua?- domandai, aggrappandomi al suo braccio.

-Casa nostra- mi corresse, stringendomi a sé.

In quella casa tutti mi fissavano in maniera strana, come se fossi un bizzarro animale esotico, una gazzella portata a casa da Albert per poter essere esibita. Erano, scoprii presto, sorpresi che alla fine il loro padrone avesse deciso di prendere moglie. Albert era un uomo che non aveva mai avuto intenzione di sposarsi e ora tutti erano stupiti dal vedere che alla fine aveva trovato la donna che faceva per lui. E soprattutto non si capacitavano del fatto che fossi io la sposa. Forse mi trovavano banale, sbiadita, poco adatta ad Albert.

-Resta poco qua- mi spiegò un giorno la vecchia governante –normalmente è in viaggio... non credevamo che decidesse di prendere una moglie straniera- aggiunse. Non riuscii a capire se celasse del disprezzo.

Lo studio del tedesco inoltre risultò subito difficile per me. Molte frasi per me non avevano né capo né coda. Io, che onestamente non ero mai stata portata per parlare le lingue straniere, –anche se non avevo mai avuto grandi problemi nel leggerle e scriverle- ora ero costretta a imparare un nuovo idioma. Albert mi rassicurava.

-Sei brava, imparerai- ma tra di noi parlavamo spesso in italiano.

Al contrario Lotte non mostrava nessuna difficoltà. Non appena arrivò cominciò a parlare un tedesco fluente. Io cercai di dissimulare l'umiliazione come meglio potei. Tempo dopo avrei scoperto che Lotte aveva iniziato a studiare il tedesco, di nascosto, non appena aveva incontrato Albert. Era quindi molto più avvantaggiata di me. Mi ritrovai così a dover seguire le lezioni con Julien e il suo precettore. Ero in difficoltà. Io che ero sempre stata quella con risultati più promettenti dovetti chinare il capo e far finta che tutto quello non m'importasse. Ero una pessima bugiarda.

Poi un giorno arrivò lui. Il cielo era plumbeo e io cercavo d'imparare quella lingua che mi era ostica. Mi attirarono le urla. Non capivo quale fosse la sostanza dietro gli strilli. Parole straniere e dure. Ed eccolo lì, non appena raggiunsi l'ingresso. Era impossibile non riconoscerlo. Aveva gli stessi occhi del figlio, lo stesso viso dai lineamenti delicati, lo stesso atteggiamento baldanzoso. Era però più vecchio, con rughe sul volto, capelli brizzolati, corpo pesante. Se ne stava appoggiato indolentemente al muro, completamente vestito di nero. Il cappotto lasciato aperto, svolazzava stancamente, mosso dall'aria che entrava da una finestra aperta.

Abraham, il padre di Albert. L'orco nero uscito direttamente da un incubo. Lo fissai confusa, senza sapere cosa dire, cosa fare, cosa pensare. Non avevo mai pensato che lo avrei incontrato. Mi sembrava impossibile. Albert ne parlava poco e quasi sempre male. Era colui che aveva sedotto la madre e l'aveva portata in Germania. Un uomo che non si era mai preso cura del figlio. Sinceramente  non pensavo nemmeno che i due si frequentassero ancora.

-Tu saresti mia nuora?- chiese, con un tono evidentemente divertito, lo sguardo verde che mi esaminava –Sei una ragazzina-

Il mio cuore batteva forte. Sapeva quindi  che Albert si era sposato? Deglutii, in difficoltà. Non ero stata abituata a combattere simili battaglie. Aprii la bocca per replicare, la mente che volava veloce, che non riusciva a trovare nulla da rispondere, che si sforzava di risultare brillante senza però riuscirci. E poi lo sguardo di Abraham si spostò dietro di me e io gli vidi addosso la solita espressione. Aveva visto Lotte. La cosa in parte mi confortò. Ci avrebbe pensato Lotte, certo, lo avrebbe rimesso al suo posto, come faceva sempre.

-E chi è questa bella signorina?- chiese Abraham. L'espressione brillava di ammirazione.

Sentii Lotte scendere le scale, una per volta. –Sono Charlotte, ma gli amici mi chiamano Lotte- rispose.

-Molto felice di conoscerti-

Lotte lo raggiunse. Indossava un abito attillato, con un taglio all'orientale. Gli occhi dell'uomo erano incollati a lei, come sempre succedeva. Per una volta però la cosa mi fece sentire meglio. Quell'uomo non mi piaceva per niente, anche se era il padre di Albert.

Ci fu uno scambio di frasi. Non le ricordo più. Discorsi generici, sul clima, sulla città, su non so cos'altro. Io ascoltavo in silenzio. Beh, a essere onesta neppure ascoltavo. Mi sentivo stanca e sconfitta senza un reale motivo.

Non so quanto quel primo incontro durò, ma a un certo punto Abraham se ne andò sostenendo di avere molti impegni. Restammo solo io e Lotte.

-Ora capisco dove Albert ha preso il suo fascino- dichiarò Lotte, un leggero sospiro che le scuoteva il corpo formoso.

-Non mi piace- replicai io. Mi resi conto solo in quel momento che avevo le unghie conficcate nel palmo della mano.

-Oh, a te non piace mai nessuno- e si allontanò.

Quella sera raccontai tutto ad Albert. Ero certa che lui si sarebbe offerto di affrontarlo, di fargli un discorso perché non tornasse più. Non fu così. Albert tergiversò, borbottò frasi incomprensibili e alla fine sospirò.

-Non ti farà del male- dichiarò.

-Non mi piace che venga qua-

-Ci parlerò-

Non credo che alla fine lo fece. Io non affrontai più il discorso con Albert. Ero confusa, non capivo perché sembrasse intimidito da quell'uomo vecchio e indisponente.

Le visite di Abraham diventarono fisse. Ogni giorno lui arrivava. E Lotte lo attendeva. Compresi subito che i guai, simili a belve, erano in agguato. Se poi c'era mia cugina erano assicurati.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate del padre di Albert?

A presto

La principessa e la cocotte: in amore e in guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora