«Sono qui solo per recuperare qualcosa che mi ha lasciato Zenko... mi spetta in quanto...» feci una breve pausa, poi sollevai lo sguardo incrociando nuovamente il suo. «...in quanto sua discendente.»
«Tua madre non dovrebbe vederti qui.» Fuggì dai miei occhi con urgenza.
«Farò subito.»
Mi voltai e con passi veloci aprii la porta a due ante della sala degli antenati. Era così che la chiamava mia madre, eppure non ci avevo mai messo piede.
Mio padre era rimasto lì immobile, ma Dorothée mi aveva seguito in un silenzio insolito ma discreto.
Quello che ci ritrovammo davanti fu una stanza enorme e piena zeppa di cose strane ed antiche; da stravaganti armi a pergamene, sfere di cristallo di varie grandezze, contenitori etichettati in lingue sconosciute ed era costellata tutt'intorno da librerie a muro e teche di vetro. La miriade di quadri appesi un po' ovunque invece, raffiguravano facce che non avevo mai visto... ma ve ne era una in particolare che catturò l'attenzione di entrambe. L'emozione ci congelò sul posto, col fiato sospeso e le spalle tese fummo catturate dal fascino che sprigionava quella donna dipinta da lineamenti sublimi.
Il suo quadro era posto proprio in fondo alla stanza, al centro e brillava di una luce innaturale. Dai lunghi capelli somiglianti ai miei e gli occhi che sembravano scrutarti dentro il più nascosto e torbido dei pensieri. Sembrava volerlo far suo e torcerlo sino a ricavarne il piacevole succo della supplica.
Mi chiesi se i miei occhi facessero lo stesso effetto.
«La grande Zenko.» Sussurrò impressionata la wiccan.
Ci avvicinammo, dinanzi alla teca ai piedi di quel quadro suggestivo e così realistico da mettere i brividi. Due lampadine dalla luce calda, illuminavano il medaglione in metallo, dove al centro vi era incisa una fiamma.
Se la si guardava troppo a lungo pareva prender movimento per via delle spire di fuoco.
«È lui... è il memorabilia, me lo sento.»
Dorothée inghiottì la saliva ed annuì con decisione, assecondandomi. Ci guardammo complici e dopo quel tacito assenso afferrò la teca pronta a sfilarla.
«Giù le mani dalla teca.»
Lady Clotild Kizoku Cester. Come non riconoscere quella voce tanto avida e ferma? Come non riconoscere la pelle d'oca che provocava anche solo una sillaba scandita da quella lingua affilata e pungente?
Mi voltai e la vidi dopo mesi, non eravamo mai state lontane per tutto quel tempo.
Ressi il suo sguardo con aria di sfida e mi sforzai per non apparire debole nemmeno per via di un singolo, quanto cruciale, attimo.
«Come osi irrompere in casa mia?»
Vidi Dorothée con la coda dell'occhio che si rimpicciolì ancor di più, se possibile. Pareva voler appallottolarsi su stessa fino a divenire invisibile.
Ma io no.
Io volevo avere le spalle larghe ed il petto all'infuori, il viso alto e fiero, la postura perfetta.
Volevo schiaffeggiarle in faccia la mia indipendenza, la mia forza e tutti i cambiamenti che mi avevano sopraffatto in quei mesi.
Io ero il dono.
Io ero la sua condanna, la sua vergogna.
«Sono qui per prendere qualcosa che mi appartiene.»
Rise, elegantemente e coprendosi la bocca col dorso della mano.
«Sfacciata come al solito. Crescerti è stato solo uno spreco di tempo.»
Mio padre fece capolino alle sue spalle, gli poggiò una mano sul braccio come per farla trattenere dal dire oltre.
«Mi dispiace che lei abbia sprecato il suo prezioso tempo con me, Clotild.» Il mio tono sarcastico la ferì per un breve istante, lessi nei suoi occhi una scintilla diversa seppur troppo fugace. «Come ho già detto, non intendo trattenermi oltre.»
Dorothée, dopo il mio permesso alzò la teca ed io recuperai il ciondolo mettendomelo al collo. L'espressione di mia madre passò da innervosita ad infuriata.
«Eireen, per favore...»
«Per favore cosa, papà?» avanzai, lei indietreggiò impaurita. «Per favore strappati le vene e rendici liberi dal tuo stesso sangue? Per favore non deluderci con le tue apparizioni? Per favore sparisci dalle nostre vite?»
«Non è come credi, noi...»
«Voi non meritate un solo singolo mio spreco di voce.» M'incattivii, Dorothée mi toccò la spalla proprio come mio padre aveva fatto poco prima con sua moglie. Ma io mi liberai della sua presa e ridussi ancora le distanze tra me e loro. «Io sono la discendente della grande Zenko e forse proprio per questo mi odi così tanto mamma, vero?»
«Non dire sciocchezze!»
Si alterò, per la prima volta in diciassette anni la vidi incapace di controllare il tono della sua voce.
«L'ho capito all'evento di Natale, sai? Non riuscivi proprio a sopportare quanta attenzione mi venisse data, quanto nell'aria lo stupore sia stato tale da oscurarti. L'ho capito perché tutti ti rispettavano, chi sapeva... chi sapeva di Zenko, di questo sangue soprannaturale, loro speravano che tu potessi in qualche modo continuare le sue grazie o quel che sia.»
«Non sai nulla, sei solo una ragazzi--...»
«Oh sì, lo sono. Sono una ragazzina che ora aduleranno tutti, perché hanno capito che non sei tu quella speciale. Che al mio confronto non sei nulla. Mi dispiace mamma, il tuo trono sta andando in frantumi.»
La sentii deglutire, la sentii in difficoltà e vidi mio padre sul punto di piangere. Sconvolto dalla mia cattiveria.
Non mi riconobbe ed io non riconobbi loro.
Non mi importava, non doveva importarmi. Loro avevano fatto di peggio.
«Dorothée, andiamo via.»
Li superai, sfiorai la spalla della donna che mi aveva dato alla luce e mi sentii pizzicare la gola. Mi trattenni con tutta me stessa e quando Dorothée aprì il varco lo sorpassai senza aspettarla. Il richiamo di mio padre non mi trattenne, ormai nessuno poteva più farlo.
Il varco ci portò esattamente da dove eravamo partite. Uriel ancora sul suo letto e Marek mi fissava in silenzio poggiato alla sua scrivania in disordine.
Tyrian dormiva.
Ero un fascio di nervi e probabilmente se ne accorsero entrambi perché non mi tolsero gli occhi di dosso fino a che Dorothée non fece capolino dietro di me.
«Eireen! ...Come stai?»
«Sbrighiamoci a capire come funziona quest'affare.»
Sfilai il ciondolo dal collo e lo rigirai tra le mani, preferendo spostare la mia attenzione altrove. Dorothée dopo avermi scrutata per qualche secondo, annuì con fare incerto e si mise alla scrivania, pronta a consultare sua madre tramite le loro lettere surreali.
La chioma bionda di Tyrian fece capolino dal letto e con un occhio chiuso e l'altro pure chiamò il nome di Zenko con agitazione.
«Siamo tornare, è andato tutto bene Tyrian...» Lui sviò verso Dorothée e dopo essersi tranquillizzato si mise seduto, sgualcendo tutte le lenzuola di Marek.
Proprio quest'ultimo comunque, mi venne vicino esitante. Con un solo sguardo capii cosa volesse dirmi.
«È tutto apposto Marek.» Feci furtiva.
«Sai io volevo...» prese a guardare ovunque tranne che me. «L'ultima volta noi...»
«È apposto anche tra di noi.»
«Mi dispiace.» sospirò sottovoce.
«Anche a me.» Dissi in un sorriso tiepido, ma mi sentii meglio davvero. Quella formalità e distanza tra di noi cominciavo a non sopportarla più.
Uriel ci aveva osservati tutto il tempo, ma se n'era stato zitto come al solito senza spiccicar parola.
Passarono oltre trenta minuti, la wiccan sembrava consumare quel foglio con foga ed aspettare le risposte della madre con un'agitazione che la faceva tremare tutta, mentre tamburellava le gambe.
«Lo so! Lo so!» Si alzò di scatto dalla sedia, incenerendo in un nano secondo il povero foglio di carta. Tyrian con un sorriso a trentadue denti si alzò anche lui e le prese le mani tra le sue. Dorothée si immobilizzò serrando le labbra in una linea sottile.
«Voi siete eccezionale lady Bordou, sapevo che mi avreste salvato da questa disgrazia.»
La chioma bionda fluttuò nell'aria sprigionando una ventata di freschezza da cui la wiccan parve subito rapita.
«Perché devo assistere a tutto questo?» Marek borbottò al mio fianco mentre le guance della mia amica si imporporavano adorabilmente.
«Non fare il solito guastafeste.» Risi dandogli una spallata amichevole, fummo però ben presto interrotti da Uriel che ci passò proprio nel mezzo, dividendoci e lamentandosi sul da farsi.
Dorothée aveva bisogno di silenzio assoluto per connettere Tyrian allo spirito della grande Zenko, perciò noi avevamo dovuto mettere a tacere tutte le nostre preoccupazioni riguardo l'eccessiva energia che stava sprecando in questi giorni. Persino il colorito era più pallido e non sembrava stare in ottima forza in generale, ma lei aveva insistito. Continuando a tormentarsi con quella sensazione brutta che aveva da giorni, dovevamo risolverla in fretta, aveva detto.
Il memorabilia era frapposto tra i due, che uno di fronte all'altro erano seduti sul pavimento logoro del casotto. Avevano gli occhi chiusi ed una manciata delle solite candele di contrabbando, o almeno così le definivo io.
Sono sicura che se qualcuno avesse perquisito la nostra stanza, Dorothée sarebbe stata davvero nei guai.
Ero agitata, ma Uriel non era meno. Me ne ero accorta sin da subito che c'era qualcosa ad innervosirlo. Più taciturno del normale se ne stava in disparte persino da Marek.
Ma non avevo tempo di pensare a lui, ciò che più mi premeva al momento era la mia amica chiaramente stremata.
Erano entrambi sospesi in un universo a noi invisibile, con i visi dalle espressioni turbate, che rincorrevano qualcosa che chiaramente sfuggiva ad entrambi.
Tyrian cominciò a lamentarsi, a soffrire. Ad occhi ancora chiusi si tenne il capo stropicciandosi con foga i capelli, riuscì a trasmettere il suo tormento a tutti noi. Dorothée era improvvisamente come in trance ed io cominciai ad agitarmi non poco.
«No, ferma.»
Dissero i vampiri all'unisono quando scattai per andarle incontro. Mi afferrarono i polsi in contemporanea per trattenermi.
«Sta accadendo qualcosa non vedete? Dobbiamo svegliarli!»
Ma la sofferenza di Tyrian non era niente, la stanchezza e l'impegno di Dorothée divennero meri in quel momento. Nell'esatto momento in cui la porta del casotto si spalancò, tutto il resto si sbriciolò in futili granelli di sabbia.
Se avessi dovuto quantificare il mio terrore in quel momento, sicuramente nessuna parola sarebbe bastata.
Quando quella porta, quella maledetta porta ammuffita e scricchiolante si spalancò, Uriel fu il primo a lasciarmi il polso – lo fece in uno scatto così repentino che mi sembrò di aver solo immaginato le sue dita.
Marek invece, mi attirò a sé in un gesto di spontanea protezione.
La signorina Packard irruppe sicura di sé, dietro di lei l'uomo che la mattina del mio risveglio dopo il campeggio, mi era venuto a trovare in infermeria.
Il preside non parve né sorpreso, né arrabbiato. L'espressione piatta eppure bastò a terrorizzarci tutti.
Ci guardò, ad uno ad uno ci rimproverò in silenzio imponendo la sua autorità e catturandoci con gli occhi.
La signorina Packard spezzò il cerchio di candele attorno agli altri due, non capii bene come li risvegliò perché tutta la mia energia ed attenzione sembrò focalizzarsi solo su quell'uomo.
«Siete in guai molto seri, signori.» Fece la donna.
Il tonfo che Dorothée provocò al suo svenimento, mi fece scattare andandole incontro e cullandola con preoccupazione tra le braccia.
La richiamai con tutta la mia forza, con tutta la mia voce, ma lei non si svegliò. Mi fu tirata via dalle mani da uno dei guardiani notturni; ammasso di cupe tuniche nere e volti semibui.
Marek dovette trattenermi con una notevole forza, ripetendomi a bassa voce di calmarmi o sarebbe finita peggio.
«Dove la state portando?» Urlai disperata. «Ditemelo subito!»
«Dove crede la porteremo, signorina Cester?» Lui parlò per la prima volta. Tutto il resto tacque, persino il mio respiro. «La signorina Bordou ha bisogno di assistenza medica... la sua energia è quasi del tutto esaurita, mi sa.» L'ultimo punto lo specifico a voce più bassa, quasi tra sé e sé e con un tono stranamente dispiaciuto.
«La prego di calmarsi, viste le circostanze già sfavorevoli.» Concluse.
Marek mi strinse di più, in un chiaro rimprovero. Mi appellai non so nemmeno a cosa pur di calmarmi, ma lo feci, gradualmente. Voltai il viso verso Tyrian che tentava ancora di riprendersi, confuso. Si mise in piedi a fatica ed ogni volta che tentava di massaggiarsi la testa, vari mugolii di dolore gli attraversavano la gola.
Quando il preside si accorse di lui, un sorriso forzato gli dipinse il volto.
«Tyrian.»
Il ragazzo si bloccò, me ne accorsi subito che riconobbe la sua voce.
Con una lentezza estenuante sollevò gli occhi verso l'uomo del terrore ed un bolo di saliva faticò ad andargli giù. Le sue labbra non erano mai state così serrate nemmeno da dormiente. Tyrian aveva assunto un'espressione nuova, come se ogni tratto della sua personalità avesse preso il giusto posto, assestandosi completamente.
«Figliolo, sei proprio tu?»
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L'ultima Kitsune - I misteri della Saint Barà
Fantasi🥈storie d'amore [ COMPLETA] Un'accademia misteriosa, situata in un'isola immaginaria ai confini di una foresta senza tempo. Una storia, troppe anime collegate da fili invisibili sporchi di sangue e paure. Un'ingenua ragazza che ben presto si ritr...