XVIII. ABRAHAM

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Ero così presa dal mio nuovo ruolo, dalla vicinanza di Herman, da tutta quella situazione, che ci misi parecchio tempo per rendermi conto di quello che stava succedendo a Lotte. La vedevo di sfuggita ultimamente. Indossava quasi sempre dei grandi occhiali scuri, che credevo legati al suo nuovo personaggio d'attrice, con un foulard che le copriva parte della bocca. Immaginavo che fosse la sua ultima mania. Il nostro rapporto si stava sgretolando, compresi. In parte era colpa delle sue critiche verso Herman. Lotte era certa che la sua attenzione nei miei confronti non fosse disinteressata.

-Ti vuole, Viola... e non in senso figurato- mi disse un pomeriggio, mentre ce ne stavamo sedute su una panchina, i nostri capelli che si mischiavano, opposti e tinti con la colorazione dell'altra, come se un filo invisibile ci unisse.

-Non dire sciocchezze, Herman è amico di Albert- lo difesi. E poi difendendo lui difendevo me stessa.

-E questo ha mai impedito la nascita di una relazione?-

Non le credevo, anche se una parte di me avrebbe voluto che le sue parole fossero vere. Essere ammirata. Non mi sarebbe dispiaciuto. E poi ricordai le sue mani su di me. Una sensazione di calore strisciò lungo il mio ventre. La scacciai.

-Devi tenerlo lontano- continuò Lotte –tu non capisci... quello è un uomo che non si ferma davanti a nulla-

Parlò così ancora per molto. Io l'ascoltai appena. Parole senza un vero senso. La verità era che Herman era diventato una parte di me.

Compresi che Lotte nascondeva un segreto quando un pomeriggio gli occhiali le scivolarono giù dal naso. Fu in quel momento che vidi il livido nero sul suo occhio. Un urlo muto. Il ricordo delle cicatrici sulla schiena di Albert schizzarono avanti. Sentii la rabbia aumentare, mischiare con il mio sangue.

-Te lo ha fatto Abraham?- chiesi. Gliel'avrei fatta pagare, lo avrei detto a Herman e...

-Non dirai nulla- la voce di Lotte era gelida.

-Ti fa del male- mormorai, confusa.

-Io non voglio rinunciare a lui- le parole erano lapidarie.

-Ti ha fatto del male- ero decisa a difenderla. Sapevo cosa poteva succedere, sapevo che in futuro avrebbe potuto esserci di più, sapevo che Lotte era in pericolo.

-Lo ha fatto a me- precisò lei,

-E come se lo avesse fatto a me- replicai, sincera. Lotte era me, io ero lei.

-No, non è la stessa cosa-

Decisi di trattenermi. Non volevo aggredire Lotte, non volevo perdere la sua fiducia.

-Io lo amo-

Quelle tre parole furono per me come una scossa. Lo amava? –Tu lo ami?- domandai, per prendere tempo, per cercare di capire, per ragionare.

-Sì, lo amo... non vedi quanto somiglia ad Albert?-

La domanda mi chiarì tutto. Lotte ricercava Albert negli altri. Lo amava davvero così tanto? Mille dubbi sorsero in me, trovando un terreno fertile. Forse Lotte avrebbe meritato Albert più di me. Forse lei lo avrebbe amato più di me. Forse avrebbe dovuto esserci lei al mio posto. Ignorai questi pensieri, che mi facevano solamente male, come una lama che affonda nel cuore.

-Sono identici- continuò Lotte, il tono serio.

Non parlai. Non sapevo cosa dire. Mi sentivo stordita. Non sapevo cosa fare, avrei voluto che Albert fosse lì con me, ma non c'era. Lui non c'era mai quando serviva. Scacciai il pensiero. Dovevo parlare con qualcuno. E sapevo con chi.

Mi confidai con Herman e fu lui a trovare il modo per allontanare Abraham da casa. Gli bastò fare una chiamata a Berlino e il giorno successivo Abraham fu richiamato. Doveva tornare alla capitale. Io sospirai di sollievo. Lotte versò calde lacrime. Se sospettò di me, beh, non me lo disse mai. Con Abraham lontano io mi sentii meglio.

Fu qualche giorno dopo che Herman portò un libro in tedesco. "Il lupo della steppa" di Hermann Hesse. –Ci chiamiamo quasi nello stesso modo- mi disse, quasi come una giustificazione.

Lo leggemmo insieme, fianco a fianco, seduti sul divano. La finestra era aperta e l'aria fresca ci sfiorava. Eravamo vicino, troppo vicini. Herman mi aiutava a tradurre, a pronunciare, a comprendere ogni parola. La storia mi si delineò davanti. Un uomo che non osava vivere. Un uomo che incontrava una donna che gli apriva un nuovo mondo. Mi sono chiesta spesso se la scelta di Herman sia stata casuale oppure no. Era un suo inconscio tentativo di sedurmi? Così vicini, i nostri corpi che si sfioravano, il suo braccio che si allungava sullo schienale del divano, accarezzandomi i capelli, la nuca, l'anima. Mi venne in mente la leggenda di Paolo e Francesca, quella che viene narrata da Dante nella sua Divina Commedia. La ignorai, quella mi si ripresentò alla mente e io la scacciai di nuovo. Pensai, tra una parola e l'altra, che avremmo potuto baciarci. Immaginai Herman che si spingeva verso di me, come un amante. Che sapore avevano le sue labbra? Inspirai a fondo e usai tutte le mie energie su quelle pagine coperte di scritte. Dov'era il mio Albert? E perché non tornava? Stavo slittando su un terreno di ghiaccio e desideri.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa pensate dei nuovi sviluppi?

A presto!

La principessa e la cocotte: in amore e in guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora