XXII. RISVEGLIO

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Una luce nel buio. Sollevai leggermente le palpebre, ma erano troppo pesanti. Le richiusi. Sentii qualcuno chiamare il mio nome. Qualcosa  di lontano, un sussurro. Mi costrinsi ad aprire gli occhi. Qualcosa mi gocciolò in bocca. Un liquido rosso, dal sapore metallico. Deglutii, ubbidendo alle dolci parole di Herman. Vampiro o non vampiro. Non lo so. Da allora però mi sembrò d'invecchiare più lentamente. Il mio viso è tutt'oggi liscio quasi quanto quello della ragazza che bevve quel liquido rosso. Non voglio però credere né che Herman mi abbia dato da bere il suo sangue, né che questo fosse di un vampiro. A ben pensarci non sono l'unica della mia famiglia ad aver mantenuto un aspetto giovanile, forse è solo una questione di famiglia e probabilmente ciò che accadde fu tutto un sogno. Ricordo solo che poco dopo scivolai nuovamente nel buio.

Quando rinvenni mi trovai a fissare il viso rugoso di un uomo che si presentò come medico. –Ci avete fatto prendere un bello spavento- scherzò, poi iniziò a parlare di stanchezza e altre mille cose. Non citò l'isteria, ma il suo spettro volteggiò su di noi per tutto il tempo. –Una ragazza come voi ha bisogno di svagarsi- concluse con un mezzo sorriso.

-Non sono più una ragazza- replicai.

-Oh, ma siete giovanissima... comunque vi prescrivo qualcosa per l'anemia-

-L'anemia?- domandai, come un eco. Cosa c'entrava?

-Sì, siete un po' anemica, motivo per cui probabilmente siete svenuta-

-L'anemia da cos'è portata?- chiesi, ma conoscevo già la risposta e mi terrorizzava.

-Molte cose, il malessere mensile, per esempio- un eufemismo per il marchese, compresi -oppure si può trattare di una tendenza familiare-

-Quindi una perdita copiosa di sangue- lo incalzai. Dovetti costringermi a non sfiorarmi il collo alla ricerca di un morso.

-Certo... addirittura certe sostanze la possono causare... ma non dovete preoccuparvi-

Annuii, pensierosa. Un vampiro. I vampiri bevevano il sangue. No, naturalmente non era vero. I vampiri non esistevano.

-Darò tutto a vostro marito-

-Mio marito?- domandai, confusa -Lui non è... -

-Oh, ma vostro marito è certamente innamorato- rispose lui, interrompendomi –è molto preoccupato per voi... vuole vedervi- aggiunse, bonario.

Marito? Albert era tornato? Annuii lentamente. Mi faceva male qualsiasi cosa, perfino deglutire era difficile. Mi sembrava di avere dei pezzi di vetro conficcati in gola.

-Lo chiamo-

L'uomo si allontanò, aprì la porta, uscì, disse qualcosa che non compresi. Un istante dopo qualcuno entrò. Non era Albert, no, era Herman. Si lanciò verso di me, trafelato, spaventato, così preoccupato da tremare. Mi prese la mano e la strinse, come per accertarsi che fossi vera. Sembrava davvero un marito in pena per la moglie.

-Ti senti meglio?-

-Sì, sto meglio- mi costrinsi a sorridere, anche se faceva male. Il medico aveva preso Herman per mio marito? Oppure era stato Herman stesso a lasciargli intendere che ero sua moglie? Magari proprio per semplificare le cose, per non complicare qualcosa che era già complicato? Non indagai. Non ne avevo voglia.

-Ho avuto... sono contento che tu stia meglio- mi strinse dolcemente la mano.

-Mi dispiace di averti fatto spaventare- ero sincera.

-Voglio arrivare alla fine di questa storia- si piegò in avanti, la voce si ridusse a un sussurro, lo sguardo brillò –ascoltami attentamente, Violett, credo che qualcuno stia cercando di avvelenarti-

Un brivido gelido. Non sapevo cosa dire, cosa pensare, cosa sentire. –Veleno?- era strano sentire quella parola tra le mie labbra.

-Sì, ho fatto delle indagini, alcune sostanze possono provocare i tuoi sintomi... stai spesso male ultimamente, no?-

Sì, stavo molto spesso male, ma chi poteva avermi avvelenata?

-Controllerò personalmente i piatti, arriveremo alla fine di questa storia, va bene?-

Annuii. Era quello il motivo per cui non riuscivo a rimanere incinta? Veleno.

-Stai tranquilla... penserò a tutto io-

E così fu. Herman licenziò i domestici e ne prese altri, quindi controllò personalmente i pasti. Tenne lontana dalla cucina anche Lotte, che, non capendo il motivo, s'indignò, giurando vendetta a Herman.

-Quel brutto scorfano pensa di potermi trattare in questo modo- si lamentava.

Io non le dicevo nulla. Herman mi aveva fatto promettere la più completa discrezione. Voleva arrivare in fondo alla questione. E alla fine ci riuscì. La colpevole era una giovane cameriera, che era stata generosamente pagata.

-Dice che è stata una donna- m'informò Herman –sostiene di non saperne il nome, ma che l'ha pagata subito, in contanti-

Ero confusa. Chi poteva odiarmi così tanto da volermi morta?

-Sperava che avvelenandoti lentamente nessuno se ne sarebbe reso conto- continuò.

-Grazie di tutto-

-Questo è il mio dovere- esitò un attimo, prima di continuare –la donna che l'ha pagata... la sto facendo cercare-

Percepii che c'era qualcosa che non voleva dirmi, come se fosse troppo pesante. Restai in muta attesa, non sapendo cosa fare.

-La donna era l'amante di Albert- dichiarò infine. Il mondo mi crollò addosso. Perché dovevano sempre c'entrare le donne di Albert? Perché era sempre la stessa storia? Lui seduceva, ingannava, irretiva, a volte lasciava anche dietro di sé parti di lui, che crescevano nei ventri per diventare bambini. Come Julien. Perché con me non aveva funzionato? –Non gli perdona il fatto che lui l'abbia lasciata... ha anche cercato di ucciderlo-

Parigi, compresi. Il proiettile che gli aveva sfiorato il braccio. Tutto fu più chiaro, come se la luce fosse stata accesa in una stanza buia.

Herman aprì la bocca come se volesse aggiungere altro, poi la richiuse. Non voleva criticare il suo amico. –Non ti succederà niente... penserò io a tutto-

E io mi resi conto che mi fidavo di lui come mai mi ero fidata di qualcuno prima. Neppure di Albert.



NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate degli ultimi sviluppi?

A presto!

La principessa e la cocotte: in amore e in guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora