XXV. CLAIRETTE

30 8 2
                                    

Entrammo nel castello, Herman davanti, la pistola in pugno, io dietro, una mano stretta all'abito. Il corridoio si presentò buio e inquietante. Un luogo  di tenebre e fantasmi.

-Si chiama Clairette- mi spiegò Herman, appena un sussurro -si sono conosciuti a Parigi... lui non l'ha mai amata- si affrettò ad aggiungere.

In quel momento non importavano i sentimenti di Albert per Clairette. Io volevo solo indietro il mio Julien. Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto. Puntini neri comparivano e scomparivano dal mio campo visivo. Mi sentivo quasi mancare. Tutto questo però non poteva farmi fermare. Julien aveva bisogno di me. Salimmo le scale, lentamente. Mille pensieri si affollavano dentro di me. Pensavo a come avevo potuto trovarmi in quella situazione. Com'era possibile che io, una ragazza tranquilla, che aveva sempre evitato le situazioni pericolose, ora si trovasse lì? Albert. Il nome di mio marito affiorò alla mente. Era colpa sua. Albert, un marito assente. Certo, non potevo dire che non fosse un bravo marito, ma forse questo non bastava, forse era più importante la presenza, o il fatto che non mi mettesse nei guai. Perché non mi aveva mai detto della sua amante? Del fatto che lo perseguitasse? Perché mi considerava sempre una bambina? Ero talmente persa nei miei pensieri che non mi resi conto di essere arrivata davanti alla stanza illuminata. Fu Herman a fermarsi e a prendermi per il polso. Mi resi conto in quel momento che gli piaceva toccarmi, era come se non ne potesse fare a meno.

-Tu resti fuori-

Annuii, la gola secca. Cercavo inutilmente di controllare il tremore che mi percorreva il corpo.

-Niente decisioni personali, va bene? Stai fuori- affermò nuovamente.

-Sì, sto fuori- confermai.

Herman parve indugiare un istante, poi si piegò in avanti e mi baciò sulle labbra. Un leggero sfioramento che mi colse impreparata e che mi trapassò come una scossa elettrica. Lo guardai allontanarsi, sentendomi quasi male. Sbagliavo, sbagliavo, sbagliavo, continuavo a sbagliare. Herman entrò nella stanza. Io attesi, il cuore pulsante in gola... e qualcosa mi afferrò, tirandomi con sé.

Era una trappola, pensai. Mi voleva allontanare da Herman. La donna mi spinse dentro una stanza. Barcollai, il panico che mi stringeva la gola. Non sapevo cosa fare, non ero mai stata brava in quelle cose. Riuscii a colpirla con un gomito e mi liberai dalla sua stretta. O forse fu lei a lasciarmi andare. Misi comunque più spazio possibile tra noi. Quando mi voltai finalmente vidi Clairette, illuminata dalla tenue luce della luna. Era più bassa di me, ma di struttura più robusta. Mi scrutava con i due occhi azzurri resi piccoli, appena due fessure. I capelli biondi le ricadevano sulle spalle scompostamente. Indossava un vecchio abito, strappato in più punti. Era bella, pensai, con un pizzico di rabbia. Perfino ora che aveva l'espressione patita. Vidi che aveva qualcosa di luccicante in mano. Un coltello, compresi con orrore... e poi il mio sguardo cadde Julien. Era per terra, legato da una spessa corda. La gola mi si chiuse in una morsa.

-Viola... che bello conoscerti finalmente- disse Clairette, il sarcasmo vibrante.

Era quindi quella la donna che vedevo nel buio? Colei che aveva cercato di avvelenarmi? La mia nemesi? Non la conoscevo neppure e lei mi odiava. Peggio, lei mi voleva morta. No, peggio ancora, lei aveva aggredito Julien. Sentii una rabbia che non avevo mai provato in tutta la mia vita. Non era solo rabbia, era vera furia. Io volevo vedere il suo sangue.

-Lascialo- le ordinai.

Clairette rise. –Perché dovrei dartelo? Non è neppure tuo figlio- lo disse con una sorta di gioia crudele –tu non ne puoi neppure avere dei figli, per questo Albert se n'è andato, perché sei sterile-

Avrei voluto colpirla, ma rimasi ferma. Non potevo farmi dominare dalla rabbia. Erano solo parole che volevano ferirmi. Solo sciocche parole.

-Albert si stancherà presto di te... ti ripudierà... e tornerà da me... lui torna sempre da me-

-Sei tu che l'hai ferito, vero?-

Clairette fece spallucce. –Sono una donna passionale- la lama si mosse contro il collo di Julien. Lui rimase immobile, lo sguardo fisso su di me. Era coraggioso, pensai con orgoglio. -E lui è mio!-

La mia mente volava. Mille idee, mille pensieri. Avrei voluto prendere quel coltello e ferirla, farle del male. Io, che ero sempre stata pacata, se avessi avuto in mano un'arma l'avrei uccisa senza esitare neppure un attimo. Non le avrei mai permesso di toccare il mio bambino. L'idea che potesse fargli del male mi dava alla testa, vibrava in me, mi faceva quasi impazzire. Il problema era quel coltello che Clairette metteva tra sé e Julien. Se la mano le fosse tremata... non ci volevo neppure pensare. Per la prima volta in tutta la mia vita feci una cosa che si addiceva di più a Lotte che a me. Agii d'impulso. Mi lanciai in avanti, l'afferrai per i capelli e tirai, con tutta la forza che riuscii a trovare. Non ero mai stata forte, ma ci misi tutto l'impegno. Clarette fu presa di sorpresa, non aspettandosi una reazione simile da parte mia, e lasciò cadere il coltello, che finì a terra con un tonfo. Lottammo. Calci, pugni, graffi. Due ragazzine. Lei però era indubbiamente più abituata. L'aveva cresciuta la strada. Riuscì a immobilizzarmi. M'insultò. Lampi esplodevano davanti a me. Il suo volto era stranamente poco nitido. E poi Clairette venne tirata indietro. Un istante dopo il viso di mia cugina invase il mio campo visivo. Lotte. Non ero mai stata più felice di vederla.

-Menomale che ti ho seguita... non sai proprio fare a botte- disse, abbracciandomi.

Colpi di pistola nella stanza. Herman. Clairette lanciò un grido, poi la vidi barcollare e cadere dalla finestra. Mi sentii stranamente sollevata. E poi pensai al bambino.

-Julien- gemetti, l'angoscia che mi stringeva la gola.

Lotte corse da lui senza parlare. La vidi chinarsi sul figlio, sfiorarlo, consolarlo. Come una vera madre. Provai gelosia? Non lo so.

Poi qualcosa mi avvolse. Le braccia di Herman. Mi sollevò, tenendomi stretta, lo sguardo che analizzava ogni centimetro del mio corpo, alla ricerca di una ferita, di un livido, di qualsiasi cosa.

-Sto bene- sussurrai.

Herman non mi chiese se riuscivo a camminare, ma mi prese in braccio, come una principessa... o come una sposa.

A qualche metro da noi Lotte teneva in braccio Julien. Sembrava davvero sua madre in quel momento. Fissava Herman in modo strano, come se lo stesse sondando, come se non si fidasse davvero di lui.

Il ritorno verso casa fu confuso. Non ricordo molto, a parte le braccia forti dell'amico di Albert, la sua forte stretta, l'aria fresca, il profumo della notte.

Lasciai che Herman mi adagiasse sul letto, con tenerezza, lo sguardo impassibile come sempre, la solita espressione indecifrabile. Eppure c'era qualcosa di diverso che vibrava nell'aria. Una sorta di muta elettricità. Mi fissò. Io ripensai al bacio che mi aveva dato. Era stato solo uno sfiorarsi di labbra. Nulla di più. Eppure...

-Violett- sussurrò il mio nome con dolcezza. Era bello sentirlo pronunciare da lui, con quel suo accento. Albert. Cercai di sforzarmi, di ricordare Albert, quanto eravamo felici insieme. Ma perché lui non tornava? Mi aveva lasciata da sola. Herman si spinse in avanti e io mi chiesi come sarebbe stato essere baciata davvero da lui. Un bacio vero. Solo uno, per poi ripiombare nella normalità, nell'attesa di un marito che non sarebbe mai arrivato, nello sconforto che mi faceva a pezzi l'anima, in una vita che avevo sempre sognato e che ora mi deludeva. Albert non avrebbe potuto prendersela per quello. Non dopo avermi tradita con Lotte, non dopo che la sua amante di un tempo aveva cercato di uccidermi, non dopo avermi praticamente abbandonata. Era come se fosse stato lui a buttarmi tra le braccia del suo amico. Credeva davvero di potersi far perdonare tutto con i soldi? Ero furiosa, compresi, come mai la ero stata con Albert. Non era solo furia la mia, no, era qualcosa di più profondo. Era un dolore antico, a cui non potevo dare un nome.

-Viola- la voce di Lotte, la porta che si spalancava con uno scricchiolio, il suo abito colorato... la scena cambiò ed Herman si tirò indietro, imbarazzato. Stava arrossendo? Sì, forse sì. Mia cugina mi venne incontro, quasi volando. Mi sommerse con un fiume di parole che mi colpirono come acqua bollente. Non le ascoltai quasi, io cercavo Herman con lo sguardo. Volevo sentire i suoi occhi su di me. Volevo sentirmi unita a lui in qualche modo. Il confine era superato.



NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa pensate di questo capitolo?

A presto

La principessa e la cocotte: in amore e in guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora