XXIX. CONFIDENZE

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Il giorno dopo la partenza  di Albert io ed Herman ci ritrovammo in biblioteca, luogo che era diventato il nostro rifugio. Fuori infuriava il temporale. I vetri tremavano, i lampi erano l'unica luce che illuminavano la stanza. Mi accomodai sul divano, al suo fianco.

-Qui è piuttosto piovoso- mormorai.

-Lo è sempre stato- replicò lui.

-Com'era vivere qua?- indagai, in imbarazzo.

-Mio padre mi aveva avuto da un precedente matrimonio- spiegò Herman, la voce distante, come se raccontasse di qualcosa che non lo riguardava –quando si è risposato io ero piccolo, ricordo poco di quei tempi, ma sono certo che la mia matrigna mi abbia odiato subito... per questo mi sono sorpreso del tuo rapporto con Julien... mi è sembrato strano- sospirò –mio padre ebbe un altro figlio... inutile dire che la competizione fu feroce... cercavo di essere sempre il migliore... è così che ho deciso di dedicarmi alla vita militare, come mio padre, lui era un appassionato di strategie militari, io ho fatto lo stesso... ho sacrificato tutto a questo- fece una smorfia carica di dolore. La pioggia batteva forte contro la casa. Sentivo che la tempesta non era solo là fuori, ma anche dentro di me. –E ora cos'ho?-

-Hai fatto carriera-

-Sì, ma oltre a questo... - sospirò stancamente –non dovrei riempirti dei miei problemi-

-Invece è bello che tu me ne parli- dissi. C'era come un filo invisibile che ci univa.

-Non mi piace raccontare queste cose- fece una smorfia –voglio farti capire che di te mi fido, che ti affiderei la mia vita, che addirittura morirei per te... lo capisci questo?-

Lo fissai, turbata. Erano parole forti, dette con un tono duro, ruvido, che restava impresso. Era sincero?

-Voglio che il nostro rapporto sia speciale... anche se non potrà mai essere... fisico- disse quest'ultima parola quasi con difficoltà. Mi chiesi, con un pizzico di morbosa curiosità, con che genere di donne Herman avesse dei contatti fisici. Albert sosteneva che ad Herman le donne semplicemente non interessavano, ma a quanto pare sbagliava.

-Tu sei speciale- sussurrai.

-Come te- sospirò, esitò, mi prese la mano nella sua –sei importante per me... io non ti voglio perdere-

Nemmeno io volevo perdere lui. Era una sorta salvagente in un oceano senza speranze.

-Starò in disparte- promise –non temere... e quando Albert tornerà io scomparirò... non voglio rovinarti la vita, so bene che sei una donna sposata, che sei fedele a lui, che gli sei affezionata-

Affezionata. Non che lo amavo. Herman poteva sopportare che volessi bene ad Albert, ma non che lo amassi, un verbo che per lui risultava orrendo. Non sopportabile.

-Ich liebe dich- aggiunse poi, lasciandomi confusa. Non conoscevo quelle parole. Aggrottai la fronte, ma Herman scosse debolmente la testa. Non mi avrebbe rivelato il significato nascosto di quell'accozzaglia di termini, che, me lo sentivo nel profondo del cuore, raccontavano qualcosa di meraviglioso. Ho scoperto solo moltissimo tempo dopo il significato di quelle parole... volevano dire "ti amo".

Un'altra sera mi raggiunse con un leggero sorriso sulla labbra.

-Vorrei farti vedere una cosa- sussurrò. Lasciai che mi conducesse su, lungo le ripide rampe di scale che portavano fino al tetto della casa. Il cuore mi batteva forte. Ero agitata. Il buio regnava sovrano, interrotto solo dalla pallida luce della luna e da quella ancora più fioca delle stelle. Il paese era avvolto nelle tenebre. Herman stesso aveva dato quella disposizione per evitare che diventassimo bersagli di eventuali bombardamenti. –Vieni- Herman mi condusse con attenzione, le mani calde sui miei fianchi, fino a una coperta che aveva messo a terra. -Questo buio almeno ci permette di vedere le stelle-

-Sono incantevoli- mormorai, osservandole.

-Raccontano le storie degli eroi del passato... re, regine... guerra, amore-

Amore, una parola così atipica tra le sue labbra. Lui che parlava sempre di guerra. Lui che era un soldato. Lui che adorava le strategie.

-E tu le conosci?- domandai.

-Solo qualcuna-

-Il mio precettore adorava raccontare le storie degli antichi... ma non le saprei riconoscere nelle costellazioni- ammisi –all'epoca avrei voluto andare in Grecia, per vedere i luoghi dove quegli essere così straordinari sono vissuti-

-Noi tedeschi abbiamo un termine.... Wanderlust-

-Worderlast... - provai a pronunciare.

-Quasi... Wanderlust- dichiarò, con un mezzo sorriso.

Ripetei la parola.

-Esatto... è la voglia di viaggiare-

-Una bellissima parola per un bellissimo significato- sussurrai.

-Sono stato in Grecia, sai?-

-Davvero?- chiesi sorpresa.

-Moltissimi anni fa... un luogo pieno di fascino- e cominciò a narrarmi di posti incredibili, che parevano usciti da un libro. Il suo tono era sempre basso, pacato, incantevole. Era diverso da quello agitato e avvolgente con cui Albert raccontava le cose che gli interessavano.

Un'altra sera l'argomento della nostra conversazione fu un altro.

-Sei certa che Julien sia il figlio di Albert?- domandò Herman all'improvviso, il tono serio.

La sua domanda mi sorprese. Lo fissai, confusa. –Sì, credo di sì-

-Non assomiglia per niente ad Albert-

-Beh, non sempre i figli assomigliano ai padri- mormorai, come se dovessi assolutamente trovare una risposta logica.

-Gli occhi- sussurrò piano –due genitori con gli occhi verdi, certo verdi diversi ma pur sempre verdi... quando mai hanno avuto un figlio con gli occhi nocciola?-

Il pensiero mi colpì. Balbettai qualcosa, tergiversai, mi confusi, alla fine riuscii a formulare un pensiero. –Al sole i suoi occhi sono verdi- sussurrai, o perlomeno avevano un leggero velo verde.

-Come i tuoi-

-I miei?-

-Sì, al sole assumono una colorazione verde, seppur lieve-

Si era davvero accorto di un dettaglio così sciocco?

-Se non mi avessi detto che Julien non è tuo... beh, direi che sei tu la madre-

Sentimenti contrastanti mi strinsero lo stomaco. Orgoglio, sorpresa, sospetto. E se Lotte mi aveva mentito? Forse aveva avuto degli altri incontri, forse Albert non era l'unico uomo che aveva frequentato in quel periodo, forse non era suo figlio. Mi chiesi se Herman avesse già espresso questo dubbio. Non lo sapevo, ma se Albert avesse sospettato di non essere il padre di Julien lo avrebbe tenuto con sé? Forse per amor mio?

-Non volevo turbarti- si affrettò a dirmi Herman, sfiorandomi la mano.

-No, non preoccuparti, non mi stai turbando- mentii.

Mi costrinsi a non pensare più a questo cosa. Non potevo ancora sapere che un giorno molto lontano, quando ormai Julien sarebbe cresciuto e quelle serate fianco a fianco a guardare l'inqueto brillare delle stelle sarebbero state solo un ricordo, quelle parole mi sarebbero rimbombate con forza nella mente, graffiandomi e sbranandomi. Perché s quel punto sarebbe stato di vitale importanza sciogliere quella oscura domanda: chi era davvero suo padre?

-Julien ti è molto affezionato, l'importante è questo- affermò Herman, prima di passarmi un braccio intorno alla vita.

Con il cuore rombante, appoggiai la testa contro di lui. Restammo così, a guardare le stelle.

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di questo capitolo?

A presto!

La principessa e la cocotte: in amore e in guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora