XXXIV. RITORNO

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Nei giorni seguenti Herman mi evitò, cosa che mi gettò nello sconforto più nero. Sapevo di non potergli stare vicina, ma la sua lontananza mi faceva impazzire. Volevo che lui stesse con me. Fu in quel periodo che Abraham tornò. Non so per quale motivo, ma un giorno si ripresentò alla villa e fu impossibile mandarlo via. Cercai di parlarne con Lotte, ma lei era l'immagine della gioia.

-Lui è tornato per me, mi ama!- non sapeva dire che questo.

Io restavo in silenzio, pensavo, rimpiangevo. Non potevo neppure confidarmi con Herman.

-Mamma, perché Herman non mangia più con noi?- mi chiese un giorno Julien, fissandomi con lo sguardo vivido.

-È molto impegnato- mentii. Non credo che Julien credette alla mia bugia.

Le cose tra Abraham e Lotte peggiorarono dopo poco. Le loro urla facevano tremare la casa. Io mi sentivo confusa, mi chiedevo come avrei potuto aiutarla, ma non mi veniva in mente nulla. E poi una sera tutto degenerò.

Furono i gemiti di mia cugina ad avvertirmi. Lotte piangeva. Io non compresi subito il motivo di quelle lacrime. La sentivo piangere disperatamente. Mi avvicinai alla porta socchiusa della stanza che ormai condivideva con Abraham. Volevo capire cosa stesse succedendo.

-Smettila- urlò Abraham.

Lotte singhiozzò più forte, disperata.

Fu come un fulmine a ciel sereno. Cosa stava succedendo? La gola mi si strinse in una morsa.

Abraham imprecò, poi cominciò a insultarla. Non potevo stare semplicemente ferma. Era come se aggredisse me. Perché io ero Lotte e Lotte era me. Un filo ci univa. Da sempre e per sempre. Mi lanciai dentro. Ho dei ricordi confusi di ciò che successe dopo. Probabilmente lanciai un grido quando vidi Lotte con il viso sanguinante, probabilmente mi lanciai in mezzo, probabilmente fui colpita in faccia perché ricordo il dolore. Un male accecante. Arretrai e caddi a terra. Abraham m'ignorò, si lanciò nuovamente su Lotte come una furia. Fu in quel momento che sentii dei passi. Quando voltai lo sguardo incontrai il viso di Herman. Ed era furente. Non lo avevo mai visto così.

Le immagini che seguirono sono ancora vive in me. Lotte con l'occhio nero. Abraham che cerca di colpirla ancora. Herman che solleva la pistola, lo sguardo gelido, quello dell'ufficiale tedesco, non del ragazzo con cui passavo il tempo. Sogno ancora quella scena, me la porterò dietro per sempre. Lo scrivo solo oggi che è passato moltissimo tempo. Lo scrivo soltanto ora... per onestà, perché ho promesso di essere sincera. Non voglio però dilungarmi su questo punto. Ho promesso di essere onesta, non di soffrire per questo. Voglio solo aggiungere una cosa. Io, Herman, Lotte, siamo tutti e tre uniti da quel segreto, da quell'uomo ucciso perché stava per fare del male a Lotte. Albert non ne ha mai saputo nulla. Abraham era pur sempre suo padre. Sono consapevole che Herman lo fece per me. Non sopportò di vedere il dolore nel mio sguardo. Fu lui a occuparsi di tutto. Fece scomparire il cadavere, ripulì ogni cosa, rese tutto come se nulla fosse successo. Io mi occupai di Lotte che tremava, ancora sconvolta.

-Com'è possibile?- chiese in un soffio.

-Non è successo nulla- le mentii. Era successo tutto, ma non aveva nessuna importanza. L'abbracciai forte, la strinsi a me, la dondolai, come se fosse stata una bambina. Alla fine la misi a letto.

-Mi dispiace per il tuo zigomo- sussurrò, un istante prima di scivolare nel sonno.

Fu così che mi resi conto di essere ferita. La cosa però quasi non mi turbò. Mi sentivo stanca, orribilmente stanca. Uscii dalla stanza. Herman era in piedi, in attesa. Non mi sorprese la sua presenza lì, al contrario, mi diede uno strano senso di sollievo e di familiarità. Restai immobile. Avrei voluto gettarmi subito tra le sue braccia, buttando via tutta l'ipocrisia del mondo.

-Tua cugina sta bene?- mi domandò. Io sapevo che in realtà voleva sapere come stavo io.

-Dorme- sussurrai, imbarazzata.

-Bene... tu?- c'era indugio nella sua voce.

-Sto bene-

Herman annuì, poi si voltò, come se volesse andarsene.

-Aspetta- lo richiamai.

Herman si fermò, dandomi sempre le spalle. Ebbi l'impressione che stesse trattenendo il fiato.

-Grazie- sussurrai.

-Dovere- fu la sua risposta. Forse mi sarei aspettata qualcosa di più.

-No, non era tuo dovere, ma lo hai fatto comunque- tremavo per l'emozione. Mi appoggiai al muro. Sentivo le gambe molli.

-Dovevo farlo... e poi quell'uomo era pericoloso-

Non controbattei. Aveva inevitabilmente ragione. E poi lui si voltò. Lessi la disperazione nel suo sguardo.

-Violett- sussurrò il mio nome con le labbra tremanti -Non posso più andare avanti così, non posso... - e mi si lanciò addosso.

Mi baciò, come l'assetato si disseta in un pozzo. Mi strinse, come chi cerca di non affogare in un mare in tempesta. Mi sussurrò parole indicibili, come il condannato a morte. Io piansi. Per un amore che non poteva essere, che mai sarebbe stato, che era condannato alla bara prima ancora di vedere la luce.

Si staccò da me all'improvviso. Tremava e parlò con voce triste. -Vai a riposarti, Violett, ne hai bisogno- e se ne andò, lasciandomi sola e infelice.

Non dormii quasi. Ero nervosa, agitata, inquieta. Pensavo a Lotte, a Herman, ad Albert. I miei pensieri volavano irrequieti. Non potevo andare avanti così.

La mattina successiva Albert tornò. Lo vidi non appena scesi per la colazione, le tempie che mi pulsavano, gli occhi che mi bruciavano per le lacrime.

-Più bella ogni volta che ti vedo-

Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi verdi. –Albert- gemetti, aggrappandomi a quel nome.

-Sono tornato prima- rispose, con un sorriso che avrebbe potuto farmi scoppiare il cuore –non resistevo più lontano da te... spero di esserti mancato- aggiunse, con un velo di timidezza che non si confaceva a lui.

-Mi sei mancato tantissimo- e mi buttai tra le sue braccia.

Albert mi afferrò al volo, facendomi fare un mezzo giro. –Ho in mente una giornata solo io e te... che ne pensi?-

-Che sia un'ottima idea- risposi, sforzandomi di sorridere.

Mi piace pensare che fu quel giorno che rimasi incinta.

Seppi da Albert che Herman era partito. –Era di fretta- mi disse –ma tornerà... prima o poi-

Io mi limitai ad annuire. Lui non avrebbe mai dovuto sapere del dolore che quelle parole mi provocavano.

-Cosa ti sei fatta sullo zigomo?-

-Nulla- mentii agilmente -Lotte ha chiuso la porta e non mi ha vista-

-La solita maldestra!-

-Già- e lo baciai, per soffocare tutti i miei dubbi. Io lo amavo ancora. Di questo ero sicura. Dovevo essere sicura.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di questo capitolo? E del ritorno di Albert?

A presto!

La principessa e la cocotte: in amore e in guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora