XXXVI. A CASA

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Quella notte, dopo la partenza di Herman, mi si ruppero le acque, come se il mio corpo reagisse così al suo allontanamento. Il parto non fu difficile. Nulla in confronto a quelli di Lotte.

Ebbi due gemelli, un maschio e una femmina. Ero incredula. Io, che non riuscivo a creare neppure una creatura, ne avevo ora ben due. L'amore materno m'invase. Il baratro con Lotte si assottigliava. Eravamo ora più simili.

Albert era felice come ma lo avevo visto. Nonostante il clima politico fosse complicato decise di dare una festa. Fu lui a chiedermi di dare al maschio il nome di Adam.

-C'è un motivo?- gli chiesi, curiosa, cullando dolcemente il piccolo.

-Certo, è il primo nome di Herman-

Sentii lo stomaco contrarsi e per poco non lasciai cadere il neonato tanta fu la sorpresa. –Di Herman?-

-Sì, ma lui non lo usa mai... credo che sia una cosa carina chiamare così nostro figlio... in fondo gli dobbiamo molto-

Lo assecondai, annuendo, muta. In lontananza un pensiero riecheggiò nella mia mente. Mia zia Giselle che prevedeva a me e a Lotte l'iniziale dell'uomo della nostra vita. A. Avevo sempre creduto che la A stesse per Albert, ma adesso non ne ero più così sicura. Forse la A stava per Adam. Scacciai questo pensiero, certa che sarebbe tornato come uno spettro non appena fossi rimasta sola.

Per la femmina scelsi il nome di Rose con il benestare entusiasta di Albert. Lotte dichiarò, forse per contraddirmi, che era un nome sempliciotto, non adatto a una neonata che aveva occhi di un castano dorato, belli quanto i suoi.

-E comunque la volevo io una femmina-

Ammetto che fui davvero felice. I bambini finalmente mi davano un senso di completezza. Naturalmente ero doppiamente affettuosa con Julien. Temevo infatti che lui si sarebbe sentito escluso a causa dei nuovi arrivati. Lotte mi aiutò in questo. Fu una vera amica. In quel periodo il suo rapporto con il piccolo Roby si fece più stretto. Perfino Albert rinunciò ai suoi viaggi.

-Voglio stare con te- e faceva in modo di non farmi sapere nulla riguardo alla guerra. Era dolce e premuroso. Il migliore marito che potessi avere, un marito che non meritavo per niente.

E poi un giorno tornò Herman. Era una semplice visita, spiegò. Sapevo in realtà che si trattava di affari. Lui e Albert si chiusero in una stanza e parlarono a voce bassa perché non sentissi. Quando uscirono erano entrambi pallidi. Compresi che le cose nel mondo là fuori non stavano andando molto bene.

Herman si fermò a cena. Si parlò di molte cose. Albert gli mostrò i bambini. Lotte lo guardò male, come se fosse lui la causa di ogni male. Alla fine ripartì. Non ci fu nessuna occasione per parlargli in privato. Forse fu meglio così.

Un paio di mesi dopo scoprii di essere di nuovo incinta. Albert accolse la notizia con meno gioia della volta precedente. Forse pensava che, data la difficoltà della prima gravidanza, non sarei più rimasta incinta. Oppure ormai la situazione in Europa era tale da spaventarlo. Fu poco tempo dopo che iniziò a parlare della mia necessità di tornare a casa.

-Perché?- gli chiesi.

-Perché è meglio così... io dovrò allontanarmi- mi sussurrò, cingendomi la vita con un braccio.

All'epoca non capii cosa stava succedendo. Oggi ho qualche idea in più. Albert stava probabilmente facendo una sorta di doppiogioco. Herman era venuto ad avvisarlo riguardo a delle indagini interne che avrebbero potuto farlo condannare.

Preparai i bagagli con l'aiuto di Lotte. Poche cose, documenti falsi. Non sarebbe stato semplice attraversare i confini, ma dai documenti risultavo avere una doppia cittadinanza, tedesca e italiana.

-Perché non vieni con me?- chiesi ad Albert. Io avevo bisogno di lui.

-Non posso- mi posò le mani sulle spalle, dolcemente –ti raggiungerò, te lo prometto- i suoi occhi brillavano.

Indugiai, cercai parole che non trovai per riuscire a convincerlo.

-Ci rivedremo- mi promise.

E la mattina della partenza il cielo si colorò di lampi. Bombe. Sentii il mio corpo gelarsi. Frammenti di ricordi si fecero strada dentro di me. Io ed Herman che guardavamo quei lampi nel cielo, stando vicini. Allora ci era sembrato qualcosa di lontano, quasi un gioco. Qualcosa che era solamente nostro. Ora tutto aveva un aspetto diverso, tutto mi trasmetteva delle sensazioni diverse. Un lampo di luce, un rombo, uno spostamento d'aria. Mi portai le braccia davanti al viso, cercando di ripararmi. Dovevamo andarcene. Sentii la voce di Albert, i suoi ordini. Il pianto di Rose. Le urla di Lotte. E improvvisamente mi sembrò di essere lontana miglia e miglia, come se quella storia non mi toccasse, come se non fosse più la mia storia. Dov'ero finita? Casa, volevo solo tornare a casa, al mio castello, al...

Successe tutto nello stesso istante. L'esplosione. Qualcosa che mi afferrava e mi tirava a sé. Il rumore assordante e l'odore di bruciato. Affondai contro il petto di qualcuno. La mia mente urlò Albert. Doveva essere lui. Una parte di me però, una parte profonda di me, comprese la verità. Forse riconobbi il suo profumo, il suo tocco, la sua voce. E quando alzai la testa, i capelli che mi ricadevano indietro, il cuore che tuonava più forte delle bombe, incontrai quello sguardo grigio che conoscevo fin troppo bene.

-Herman- il suo nome era fuoco tra le mie labbra.

-Quando ho saputo quello che stava succedendo... sono venuto... te ne devi andare da qua- la voce quasi gli mancava.

-Sì, devo andare- ero agitata, tremante. Pensavo ad Herman, così vicino, ad Albert, che avrebbe potuto arrivare e vederci da un momento all'altro. Tutto ciò però perse importanza.

Ed Herman mi strinse a sé con più forza. Le nostre labbra s'incontrarono così, quasi per caso. Sapevo che non era un vero caso. Era un incontro che avevamo desiderato entrambi. Ma cosa mi stava succedendo? Possibile che io e Lotte ci fossimo davvero scambiate le parti, ora che eravamo lontane dal castello? Io ero diventata la cocotte e lei la principessa? Ignorai questo pensiero, che riusciva solo a ferirmi, a rendermi più infelice. Mi abbandonai invece per un istante a quel bacio, nonostante il rumore delle bombe, nonostante tutto.

Il viaggio verso casa fu lungo, irto d'insidie, confuso. Non ricordo molto, solo immagini congelate e sensazioni dolorose. Ero spesso in preda allo sconforto. Un sentimento che mi scuoteva fino in fondo. Il saluto con Albert era stato rapido, infelice, turbato da mille pensieri.

-Tornerò da te- mi aveva promesso.

-Fai presto- avevo sussurrato, il senso di colpa che premeva su di me come un macigno.

-Non temere-

Io però temevo. E il mio timore aveva i lineamenti aguzzi di Herman e la sua voce ruvida, ma carica di affetto.

Quando arrivammo al castello mi parve che il tempo non fosse mai passato. Mia madre ci venne incontro, identica a come l'avevamo lasciata. Sembrava addirittura più vivace. Lo sguardo castano scintillava. Lolò era leggermente dimagrita, ma volle subito vedere i bambini.

-Sei diversa- disse mia madre.

-Ehm no, non credo- mentii. Sentivo di essere diversa. E non era soltanto la nuova gravidanza, che mi appesantiva.

Lei non replicò, ma lessi la verità nel suo sguardo. Lei sapeva. La cosa mi rassicurò. Ero tornata alla normalità. Mia madre sapeva sempre tutto. E io ero felice di questo.

 


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate?

A presto!

La principessa e la cocotte: in amore e in guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora