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Odora di stelle e galassie, quel ragazzo.

È il ragazzo che fluttua nei suoi ricordi, quello che ha immediatamente catturato i suoi occhi, non per la sua ridicola altezza, ma per qualcosa di più istintivo, come se fosse destino che accadesse, come se fosse naturale.

La sua memoria ricorda affettuosamente tutto del suo viso, degli scenari e degli eventi, nitidi e raggianti, come le fotografie che metti in cornici che durano per tutta la vita. I capelli d'argento, gli occhi grandi, tutto di lui; lo ricordava dietro i girasoli, o appoggiato a lui sulle gradinate; mentre saltava, murava, con quelle le braccia magre e goffe ma comunque efficaci, come fossero un asso nella manica, come un miracolo, come se le cose finissero per andare sempre così quando si trattava di lui.

Come se fosse ciò di cui è fatto.

Odora di stelle e galassie. Lascia dietro di sé un traccia su tutto ciò che tocca.

Yaku poteva sentire le stelle scorrere nelle sue vene.

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«Mi sento come se tu stessi morendo.» disse Lev, contorcendo il viso in una qualche forma di cui Yaku stava facendo del suo meglio per non ridere.

«Morendo?» ripeté Yaku, alzando lo sguardo verso il cielo sotto cui si trovavano, guardava le scie bianche sopra la coltre blu.

«Lo sai, domani è la nostra ultima partita. È come un funerale.»

«Funerale?» ripeté ancora una volta, prima di scoppiare in una fragorosa risata. «Lev, mi sto solo diplomando. Potrai giocare ancora l'anno prossimo.»

«Non sarà lo stesso senza di te.» replicò Lev, con la testa sulle gambe di Yaku, che inclinò di lato per incontrare lo sguardo del ragazzo più basso. «Ma non mi pento di aver scelto il Nekoma ed aver giocato con te, Yaku-senpai.»

E poi sorrisero, le sue labbra e le stelle, il che era stupido perché il sole si trovava molto più in alto del salto di Hinata, ma poteva sentire un migliaio di galassie spostarsi e muoversi comandate dal ragazzo sulle sue gambe; e qualcosa che sapeva di "anch'io" e "non sarà l'ultimo" gli bruciava in gola. Ed era tutto poetico, davvero, così poetico che Yaku letteralmente pianse.

«Sei sleale.» mormorò, mentre Lev si metteva a sedere e gli prendeva il viso tra le mani, i pollici gli sfioravano gli angoli degli occhi, allontanando le lacrime, caldo, gentile e sorridente.

Galassie. Girasoli.

«Sta piovendo.»

Il cielo non si oscurò più quel giorno.

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Le sue dita si spostavano abilmente da un tasto all'altro, il pianoforte gli dava con eleganza i suoni esatti che voleva ottenere, che fluttuavano, circondandoli entrambi. Lev sedeva per terra, con la schiena appoggiata alla sedia occupata da Yaku, e quest'ultimo sapeva anche senza guardare che il russo stava sorridendo.

«Dmitri Shostakovich?»

«Pensavo che non sapessi parlare il russo.» rispose Yaku, le sue dita si muovevano di perfetta memoria muscolare, mentre spostava la sua attenzione su Lev. «Jazz Suite, No. 2.»

Lev decise in un primo momento di non rispondere e ruotò invece la testa per poggiarla sulle gambe di Yaku, mentre il più basso suonava; e Yaku sapeva che era un po' ingiusto, suonare quel pezzo mentre Lev era così, ma ne sentiva il bisogno. «Mia nonna lo suonava spesso.»

Yaku mandò giù le domande: com'era? Come parlava? Eravate uniti?

Passò al secondo movimento, la ninna nanna, e sentì Lev muovere la testa, solo di pochi centimetri, e baciargli le ginocchia.

Trading winds at dawn ITA  •  YakuLevDove le storie prendono vita. Scoprilo ora