CAPITOLO XXIII

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A scandire l'inizio della partita, un tuono in contemporanea del fulmine lunghissimo e scheletrico che partiva dal cielo sino a disperdersi nel mezzo dell'arena.
Illuminò le facce dei miei compagni, da Dorothée a Tyrian i più preoccupati e infine i due vampiri a cui sembrava non far mai paura nulla.
A quel segnale, entrambe le squadre sapevano di dover partire. Tutti e dieci quegli studenti ignari di ciò che li aspettava di lì a poco, stavano per incamminarsi nel gioco più traumatico e sadico che probabilmente avrebbero mai visto.
«Sei forte, Eireen.» Mi sussurrò Uriel. Accarezzandomi il dorso della mano con le dita e quell'espressione maledettamente criptica ma appena leggibile adesso, sembrò volermi chiedere scusa per qualcosa.
«Perché me lo dici?»
«Perché pensi di non uscirne viva, ed è impossibile, visto che ci sono io con te.» Si voltò verso gli altri ed ora il tono di voce era tornato normale. «...Non è un caso se siamo tutti qui, ma penso ormai sia ovvio.»
Marek annuì, guardando l'inizio del labirinto, fu il primo ad incamminarsi.
No, non era un caso che quei nomi fossero balzati contro tutti e cinque, qualcuno ci voleva lì dentro per una ragione precisa.
«Siamo pronti per questo.» Disse prima di sparire oltre i cespugli altissimi. Lo seguimmo subito dopo.
Pensai che dall'alto, da quegli spalti dove cominciarono a levarsi i primi incitamenti, dovevamo sembrare delle formiche pazze e disperante, in cerca di una qualsiasi via di fuga. Peccato ce ne fosse solo una e dieci vite in gioco.
«Davvero, dovreste calmarvi...» Disse Marek guardando me e la wiccan, palesemente nervose.
«La morte è un eventualità, non una certezza in questo caso.» Sopraggiunse Tyrian, spiazzandoci un po'. «Anche se non arriviamo tutti alla fine, gli spiriti non ci faranno necessariamente del male. È un caso raro quello in cui impazziscono e...»
«Shhh!»
Uriel a capo della fila aveva alzato un indice per farci zittire; le pareti d'erba attorno a noi cominciarono a tremare, trivellandosi di buchi dove dal vuoto tetro cominciarono a spuntare una miriade di occhi osservatori. Le iridi roteavano da una parte all'altra su sclere venose e rigonfie, così tanto che pareva stessero per esplodere da un momento all'altro.
Ci bloccammo sul posto tentando di capire da dove provenissero quei tonfi, sicché per quanto fossero inquietanti capimmo che non era opera di quegli occhi che invece parevano solo futili spettatori.
«Non mi sembra una buona idea star fermi qui.»
Tyrian si guardò attorno, poi prese per il polso Dorothée facendola allontanare da quegli occhi scrutatori, lei si era avvicinata così tanto che pareva stessero quasi per acciuffarla in uno scatto di palpebre.
«Sta attenta!» Lo spintone la fece aderire al petto di lui, la wiccan arrossì ringraziandolo a voce bassa.
Forse fu una mia impressione, ma lo sguardo intenso che si scambiarono mi fece ben sperare per lei.
«Concordo... proseguiamo nella parte opposta al suono.» Dissi risoluta e dopo ciò ci muovemmo a passi svelti, sempre con alle calcagna quegli occhi rotondi. Ci avrebbero seguito tutto il tempo, stando sempre un passo in più a noi.
Imboccammo vicoli a caso, fino a fermarci di botto di fronte ad una schiena bellissima.
Finimmo tutti contro Uriel, una catena goffa per ammirare quella femminilità sconvolgente.
«Chi sei tu?» fu proprio il primo ad andarle più vicino, lei si voltò scostando i lunghissimi capelli neri dal viso, che le finirono sulle spalle che prima spiccavano per il candore.
La donna scoprì un viso bellissimo e delle labbra rosso fuoco, eppure rese macabre dalla lunghezza spropositata. Le arrivavano quasi alle orecchie quando sorrise debolmente, cominciando a borbottare cose incomprensibili.
Era vestita di una tunica blu notte messa su in modo smorto.
«Superiamola.» Disse Dorothée sbrigativa.
Noi asserimmo in silenzio, ma non appena avanzammo di un passo, ella spalancò le fauci in modo disumano. Urlò stonandoci, mentre raccoglieva i suoi lunghi capelli in uno chignon perfetto, si voltò, esattamente come prima eppure stavolta non furono le sue spalle ad incantarci. Stavolta, all'altezza della nuca vi era una bocca. Anch'essa spalancata e mostruosa. Somigliava ad un fiore carnivoro e si apriva in tre lembi, ognuno con molteplici file di denti affilati, storti e grondanti di saliva.
Affamata ci veniva incontro, smise di urlare e riprese a borbottare, alzando via via il tono, pareva una litania in una lingua sconosciuta o ancora incomprensibile.
Uriel si mosse velocissimo, le bloccò le spalle mentre lei cominciò a dimenarsi; sprigionando una forza che persino lui faceva fatica a contenere.
«Passate, andate oltre, forza!»
«Uriel no! Non vado via senza di te.»
Marek mi bloccò, usò la sua forza per non lasciarmi andare verso l'amico. Mi costrinse a superare l'ostacolo mentre mi dimenavo almeno quanto quello spirito.
Uriel mi sorrise dicendomi di stare tranquilla, che sarebbe venuto anche lui.
Fu strano, anzi forse direi buffo il fatto che lui mi sorrise per la prima volta in quel momento assurdo. Avevo atteso così tanto e poi alla fine nemmeno ero riuscita a godermelo, quello sprazzo di serenità destinato solo a me. Quell'incurvarsi di labbra che sprigionavano una rassicurazione terapeutica.
Mi calmai però, mentre Marek ancora mi trascinava via e semplicemente lo fissavo perdendomi in lui.
Almeno fino a quando la donna non lo scaraventò via, approfittando di quel momento di debolezza, Cacciò Uriel tra i cespugli ferendoli in una enorme voragine. La miriade di occhi si spostò prima del tonfo tutta da un lato ed abbassarono le proprie iridi sul maestoso corpo di Uriel.
Fui io ad andargli incontro, a tirarlo via dai rovi un secondo prima che quelle palpebre mostrassero i loro denti minuscoli ed aguzzi.
«Cazzo...» Bofonchiò lui. «Mi indebolisci, ecco cosa intendo sempre.» Lo sputò via con un certo rammarico, appellai al mio orgoglio per non restarne ferita.
«MAREK!» Il grido di Tyrian ci fece voltare, Marek era sospeso in aria e tenuto per la caviglia in una morsa micidiale, mediante la stretta dei capelli di quel mostro, nuovamente sciolti.
Lui si era quasi trasformato, tentando di proteggere gli altri due aveva dato addosso alla donna che invece era finita con l'intrappolarlo. Marek adesso aveva il muso più allungato e gli occhi color ambra, tentava di spezzare quei capelli con i suoi artigli, ma non ci riuscì. Parevano duri come l'acciaio.
La maledizione che si portava addosso in quel caso non era stata d'aiuto.
«Andate, andate avanti cazzo vi raggiungo il prima possibile!»
«No, non ci muoviamo di qui, scordatelo!» Tyrian si svenò, fu tirato via giusto in tempo da Uriel quando un'altra ciocca di quei capelli l'aveva quasi acchiappato.
«dodici ore è il tempo che a Marek rimane, per sfuggire a quelle ciocche arcane.» La voce fastidiosa di quell'essere che aveva presentato il gioco all'inizio, riprese a rimbombare nell'aria. «Se questo tempo supererete, di lui più nulla vedrete.»
Sfumò poi in una risata assordante.
«Hai sentito larva? Ho dodici ore, non mi succederà nulla prima di allora e sicuramente sarò già riuscito a liberarmi. Non guardarmi con quegli occhi da cucciolo o vomito qui e adesso.»
«Andiamo, forza.» Uriel ci incalzò, dopo essersi scambiato uno sguardo con l'amico ed aver comunicato probabilmente tramite il solo pensiero. Tyrian era sicuramente tra i più titubanti, promettendo all'altro di venirlo a prendere quanto prima.
Poi toccò a me salutarlo e le parole si persero. Mentre gli occhi luccicavano pieni di lacrime per lui, mi rimproverò con lo sguardo. "Non farle cadere, mai"; sembrò dirmi.
Mi staccai a forza da quel contatto quando Dorothée mi prese per il braccio trascinandomi via.

Non era reale, tutto quello non poteva essere possibile. Marek era rimasto dietro di noi ed avevamo appena cominciato, nelle grinfie di un essere terrificante ed era successo per proteggerci.
Fu inutile guardarmi indietro, siccome non appena sorpassammo quel punto, i cespugli si chiusero a muro alle nostre spalle, cancellandone la strada appena percorsa.
Come avevamo potuto lasciarlo lì? Chi ci dava davvero la certezza che quell'essere sarebbe stato buono per dodici ore? E se poi ne avremmo impiegate di più? No, non potevamo impiegarne di più, per nessuna ragione al mondo.
Ero l'unica a star zitta, mentre gli altri discutevano animatamente sulla questione – io mi chiedevo se davvero i vertici di quell'accademia erano disposti a tanto.
Dorothée mi aveva detto che era risaputo quanto potente ed influente fosse la famiglia di Marek. Mi chiedevo cosa sarebbe successo se il loro figlio fosse morto in un gioco scolastico, in un gioco sadico messo a punto per saziare i capricci di un preside abominevole.
«Zitti, zitti, fate silenzio...»
Ammutolimmo subito, lo stregone trattenne persino il respiro mentre i tonfi che ci avevano accolto all'inizio tornavano a farsi più persistenti.
Li vidi da lontano, quei tonfi erano passi pesanti e sincronizzati. Era una fila di uomini senza volto, al posto di esso infatti una semplice nube nera, e con grandi cappelli sul capo.
«Olum...» Uriel mi portò dietro di lui col braccio, in un gesto protettivo e preoccupato.
«Sono... uomini morti, giusto?»
«Esatto Tyrian...» Parlai a voce bassa, nel mentre prendendo la mano di Dorothée, che era caduta già in un religioso silenzio. «sono innocui se non ti sentono, non hanno occhi per vedere quindi ci basterà star zitti e quando più possibile distanti dal loro raggio di movimento, non dobbiamo sfiorarli per nessun motivo.»
«E se invece ci sentissero o toccassero?»
«In questo caso siamo tutti morti.» Dorothée, a completare la catena, fece indietreggiare Tyrian come il vampiro aveva fatto poco prima con me. «...per trovare la pace eterna impossessano le persone e le asfissiano fino alla morte.»
Dopo quella frase ci fu il silenzio totale, gli Olum erano sempre più vicini e quelle siepi maledette andavano stringendosi creando una via fin troppo stretta per il passaggio di entrambi i gruppi, o almeno rendevano impossibile farlo senza toccarci.
Ci appiattimmo in fila indiana, ad un millimetro dalle siepi occhiute fino a che non vedemmo quella schiera di spettri passarci affianco. Ormai la via era strettissima e fummo costretti a metterci in punta di piedi per non creare spessore anche solo per sfiorarli.
I loro passi entravano nella testa ed erano così lenti, troppo lenti. Era come un loop che invogliava al sonno.
Cominciammo a sentire quei dentini aguzzi tra i cespugli graffiarci le schiene e i polpacci, ma era impossibile scostarci di lì con quell'esercito di Olum che sfilava davanti a noi.
Strinsi la pancia e voltai il capo di lato quando uno in particolare stava per toccarmi col suo bastone da riposo. Quegli esseri erano sempre in cammino, vagavano per l'eternità col loro cappello ed il loro bastone alla ricerca disperata di qualche umano da possedere e trovare finalmente la loro pace eterna.
Sarebbe bastato un minuscolo errore e sarebbero scattati, un brevissimo mugugno per il dolore che ci provocavano quegli occhi malefici e tutto sarebbe finito in meno di un'ora. Con noi, nemmeno Marek avrebbe visto la fine.
Non potevo, non dovevamo. Avevamo promesso a Marek di tornare da lui e viceversa.
Stringemmo gli occhi continuando a trattenere anche il respiro, quando finalmente la scia di morti superò quella strada, sparendo tra i cespugli che li inghiottirono. Era ormai divenuta così stretta che nessuno sarebbe riuscito a passare se non in fila indiana, ma dopo che il pericolo era passato, prese a riprendere la sua larghezza normale.
Il lamento di Dorothée catturò l'attenzione di tutti, c'eravamo scostati dalle siepi con urgenza, ma all'altezza delle scapole lei aveva un taglio davvero profondo.
«Stai bene? Dorothée, rispondimi!»
Lei annuì poggiando i palmi sulle ginocchia, le spostai i capelli dalla schiena e vedendo la ferita mi coprii la bocca per lo spavento. Mi stracciai subito un petto della camicia per tamponare il sangue.
«Non puoi continuare così.» Tyrian la fece appoggiare a lui. «Ehi mi sentite! EHI! Una persona è ferita!» Urlò al niente.
O meglio, urlò all'indifferenza.
«Ce la faccio, non preoccupatevi.» Si tirò su, liberandosi del nostro aiuto mero. «Usciamo di qui alla svelta e liberiamo Marek.»
Proseguimmo con estrema apprensione, Uriel sempre a guidarci in avanti, come se poi conoscesse la strada.
Andava alla ceca, proprio come noi. Eppure al solito era sempre coraggioso e inaspettatamente protettivo.
Era teso da quando quella donna aveva catturato Marek, diventato se possibile ancor più taciturno e con l'espressione seria e corrucciata, troppo concentrato anche solo per sentire i piccoli mugolii di dolore che Dorothée prorompeva durante il cammino.
I suoi capelli corvini sembravano mescolarsi con le tenebre oltre le siepi ed il naso perfetto sull'attenti pronto a scovare qualsiasi odore. Ma per quanto si impegnasse, nessuno dei due ne era capace.
Il mio olfatto e quello di Uriel erano diventati inutili in quel posto. Chiaramente un incantesimo ne aveva neutralizzato tutti gli odori, sfavorendoci. Come se la situazione non fosse già critica di per sé.
Percorremmo diversi chilometri, svoltando in più punti che non ci condussero di certo al traguardo. Ma ad un certo punto, le siepi si aprirono dando spazio ad una visione quasi surreale.
Pareva un miraggio quello che si stagliò dinanzi a noi.
Allentai la presa sulle spalle di Dorothée, illudendomi che quella fosse forse la strada che conduceva all'uscita.
Gli uccellini cinguettanti presentavano l'ambiente primaverile e fiorito in cui ci trovavamo. Uno stagno ampio posto proprio al centro mi regalò nell'immediato una sensazione di benessere.
«No, non può essere... non può essere...»
Ci voltammo verso Dorothée, aveva il viso pallido e gli occhi sgranati. Cadde sulle ginocchia e la vista di quello stagno la destabilizzò talmente tanto che prese a gridare, dando pugni all'erba umida.
«Non può essere, non può essere!»
«Dorothée.» Uriel con voce ferma tentò di farla tornare in sé, mentre non toglieva gli occhi dallo stagno. «Dorothée!»
Alzando la voce, lei tacque. Tremava mentre Tyrian la teneva tra le braccia ed io mi sentii persa, inutile.

«Cosa diavolo succede?» Chiese il magicante, aiutandola ad alzarsi.
«Loro sono qui e non ci lasceranno passare in nessun modo.» 

L'ultima Kitsune - I misteri della Saint BaràDove le storie prendono vita. Scoprilo ora