CAPITOLO XXIV

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Non avevamo avuto bisogno di chiedere delucidazioni, non avevamo avuto modo di ignorare il panico di Dorothée ed oltrepassare lo stagno nel più totale silenzio.
Ogni sentiero preso, sembrava un passo più vicino alla rovina. Persino un paesaggio così bello si riempì ben presto di paura e terrore.
Avevamo appena messo piede nel territorio dei Kappa; spiriti giapponesi che alla Saint Barà erano diventati sinonimo di morte.
Cominciarono a sbucare dallo stagno, dapprima sommersi in esso, i Kappa crearono delle voragini nell'acqua per risalire in superficie. Quando uscirono striscianti da esso, si aggrapparono al terreno strappando i ciuffi d'erba per risalire. Si eressero fiacchi, palesando l'altezza che era simile a quella di un bambino, la pelle verdognola e squamosa, il carapace da tartaruga e mani e piedi palmati.
Si misero a schiera, ne erano tre. Ma tutti noi sapevamo che sul fondale ce ne erano almeno altri cinque o sei.
Il loro viso suggestionava parecchio, col becco simile a quello di un uccello acquatico, gli occhi piccolissimi e vicini, il naso contraddistinto solo dai buchi delle narici.
Era la sommità del capo però ad interessarmi. Un buco posto proprio nel centro che conteneva acqua per tutta la sua profondità – sconosciuta.
«È qui che quel ragazzo ha perso la vita, prima che quest'assurdità venisse sospesa...» Dorothée parlò con voce tremante, sembrava di sentire su di me la gola bruciante ed arrancante che aveva in quel momento. Il suo terrore s'irradiava nell'aria con una facilità tale che persino senza olfatto riuscivo a captarlo.
«Perché è stato stupido.» Tuonò Uriel. Aveva il capo leggermente basso e gli occhi puntati su quegli esseri sorridenti. «Balam ha dedicato più di una lezione a questi esseri, siamo pronti per affrontarli.»
Poi trafisse con gli occhi Dorothée, che come risvegliata da un sonno turbolento, scosse la testa cercando di tornare in sé e sconfiggere a spalle larghe la sua paura.
Le regole di quel gioco erano solo due: prima l'astuzia e poi il soprannaturale. Se i propri poteri venivano usati senza ragione di causa, venivamo spediti all'inizio del percorso costretti a rifare tutto da capo e senza certezza che sarebbe stato tutto uguale. E la seconda, che più che una regola era un avvertimento; ogni spirito ucciso od affrontato, indebolirà la forza del carnefice.
Una sfida di sopravvivenza a tutti gli effetti.
Non sapevamo cosa ci aspettava dopo quel punto, semmai l'avessimo superato o quante ore ancora dovevamo passare lì dentro, questo ci aveva fatto scegliere di usare i nostri poteri solo in pericolo estremo. Era un po' la nostra tattica, per assicurarci quanto meno di arrivare al presunto traguardo con le forze per affrontare la sfida finale.
«Questi sono i momenti in cui mi pento di essere distratto a lezione.» Tyrian sospirò concentrato, scaturendo qualche riso tra gli sfalti. Da quando eravamo entrati lì dentro tutte le urla esterne erano cessate in un silenzio mistico e surreale, solo bisbigli e risolini si levavano dall'alto di tanto in tanto.
«Forse era questa la nostra vera punizione... come ha detto Uriel, non è un caso se siamo tutti qui.» Mi tolsi la giacca della divisa, arrotolando le maniche della camicia stracciata sul bordo.
I Kappa sono quasi sempre affamati e si nutrono di sangue ed interiora umane, esclusivamente. Per quanto feroci, però sono degli spiriti estremamente educati.
Fui la prima ad avanzare e tutti e tre cominciarono ad annusare l'aria sfoggiando un sorriso più euforico ed arrossendo gli occhi minuscoli.
Alle spalle, i miei compagni furono tutti pronti a scattare ma io li bloccai con un gesto di mano.
Adesso solo lo stagno mi separava da quegli esseri, ma m'inchinai a loro, semplicemente. In un saluto cortese.
I Kappa, educati e cerimoniosi ricambiarono il mio inchino lasciando che l'acqua dalla depressione delle loro teste scivolasse via. Era esattamente ciò che volevo, privarli di quell'acqua che li rendeva più forti.
Io al contrario di Tyrian ero stata attentissima alle lezioni di Balam, ed avevo sfruttato a mio vantaggio la stramba creanza di quei mostri.
«Giusto... l'acqua.» Bisbigliò Dorothée, in quel momento più energica di pocanzi. Mi raggiunse e fece lo stesso, lasciando che i Kappa si inchinassero anche a lei, perdendo ancora un po' della loro acqua.
Quando Tyrian sopraggiunse per fare lo stesso però, loro non ci cascarono più. Erano troppo attratti dal mio odore per badare al resto. Mi fissavano con la bava alla bocca e presero a saltellare di contentezza; probabilmente convinti che avrebbero banchettato con le mie interiora.
«Fermi, non vi muovete... hai un piano per caso? Perché non ti lascerò avvicinare a quelle cose senza un motivo sensato.»
«Uriel, hai detto tu che sono forte abbastanza.»
«Tra forte e stupida c'è una linea sottile.» Mi prese il polso per trattenermi.
«Li dobbiamo superare, sono ghiotti del mio odore.» Mi legai i capelli in una coda disordinata e poi mi voltai verso i miei compagni, dando le spalle allo stagno. «Li distraggo e voi passate.»
«Te lo scordi.» Tuonò il vampiro, trattenendomi.
«Sei impazzita? Non sono riusciti a fermarli una volta, figurati cosa potrebbe fare a loro la fragranza di una kitsune, non ne usciresti viva Eireen.» Tyrian mi prese l'altro polso ed esercitò tutta la sua forza per trattenermi, ma non fu sufficiente. Non fu sufficiente perché mi divincolai da entrambi e non appena questo accadde, uno dei Kappa allungò la lingua di metri e con essa m'afferrò la caviglia in una viscida morsa.
«Eireen!» Gridarono all'unisono quando fui scaraventata via dal ritiro della lingua, un movimento così veloce che con la schiena sfiorai solo l'acqua finendo catapultata dall'altra parte.
Quel passaggio risvegliò qualcosa sotto le acque altrimenti quiete.
La lingua attorno alla mia caviglia si slacciò lasciandomi addosso la saliva verdognola. Ero distesa sul prato dopo aver sbattuto violentemente la testa e ciò che vedevo sopra di me erano solo quei cosi inquietanti che mi guardavano con ingordigia, talmente eccitati da far strabordare dai loro capi ancor più acqua.
«Non possiamo perdere altro tempo.» La voce di Dorothée era fioca e troppo lontana. Voltandomi, l'avevo vista immergersi nella riva dello stagno dall'altro capo, ancora prima che Uriel e Tyrian se ne accorgessero.
Urlare il suo nome fu inutile, tentare di andarle incontro ancor meno, le prime punte dei capelli cominciarono a bagnarsi e dall'acqua proruppero bollicine sempre più ampie e copiose. I Kappa nel fondale stavano risalendo tutti insieme per il ghiotto spuntino.
Il profumo di Dorothée si sprigionò nell'aria, per un attimo l'incantesimo che impediva l'uso dei sensi, si spezzò. Sapevo che era stata lei a farlo, solo per attirare a sé maggiormente l'attenzione con l'odore della magia – amplificandolo solo per loro.
Si diffuse delicato nell'aria, ci riempì le narici e il petto. Ci annebbiò la vista e ci inzeppò la testa di campi fioriti e radure fresche, ci solleticò la gola e la lingua quell'aroma frizzante che solo la magia poteva sprigionare.
Dorothée fu tirata giù in fondo allo stagno sparendo proprio dinanzi a noi. In un balzo improvviso verso il basso.
I Kappa sulla mia riva saltellarono euforici, gioivano e schiudevano le branchie ritmicamente. Con la bava al becco e gli occhi irrequieti, nemmeno il momentaneo maremoto li fermò dal festeggiare. Ma questo, più l'acqua che avevano perso, servì a farmi perdere di vista, facilmente distratti da ciò che stava accadendo ebbi il tempo di strisciare tra le loro gambe – non riuscii ad andare lontanissimo, ma per fortuna Uriel sopraggiunse prendendomi tra le braccia e trascinandomi con sé e Tyrian.
L'acqua si alzò in una torre violenta, la wiccan ne uscì dopo diversi attimi, sorretta da un gruppo di Kappa che sfociò dallo stagno mentre l'onda si infrangeva ovunque, bagnando qualsiasi cosa là attorno – compresi noi.
La sorreggevano distesa sopra le loro teste, con le braccia verso l'alto e i loro canti gracchianti e fastidiosi, oltre che incomprensibili.
Dorothée ad occhi chiusi si lasciava trasportare sino alla riva, dove si unirono agli altri mostri e la adagiarono sotto la chioma di una quercia, che ignara come se niente fosse lasciava fluttuare la sua chioma libera e quieta nell'aria.
Era diventato il loro bottino.
«La wiccan ha sfidato la sua paura, immergendosi nella radura ha però consumato la sua frescura.» né uscì un suono stridulo, ci volle un po' a capire che sia l'uomo senza volto, che i Kappa sfociarono in una fragorosa risata. «adesso le ore son dimezzate, dovreste proseguire a gran falcate!»
E ridevano, ridevano. Ridevano tutti mentre la nostra Dorothée dormiente era assediata da quel branco di Kappa che tanto la terrorizzava. Lei, proprio come Marek si era sacrificata per mandare noi avanti, per salvarci. Per salvarmi.
E tutti ridevano, persino la quercia sembrava farlo. Persino quella quercia che lei avrebbe protetto fino alla morte pareva prendersi beffa di noi e di lei; la povera ingenua wiccan che si era sacrificata per il banchetto.
Avevamo solo sei ore adesso per salvarla. Mentre scivolavamo in una disperazione tale da renderci immobili, sprecavamo i minuti in un momentaneo spaesamento.
«Forza, andiamo, dobbiamo andare. COSA DIAVOLO STATE FACENDO!»
Uriel strattonò me e Tyrian che invano tentavamo di sorpassare quella barriera di Kappa per riprendercela.
«State rendendo i suoi sforzi inutili, Eireen cazzo torna in te!»
La sua voce mi riportò alla realtà, i kappa adesso non erano attirati solo dalla wiccan, adesso speravano con tutte le loro forze di accalappiarsi anche noi.
Le mani palmate e viscide quasi non ci raggiunsero, Uriel mi attirò a lui stringendomi al suo petto – ero così disperata che quel contatto non mi tranquillizzò come era solito fare.
«Ascoltami...» Le sue labbra sfiorarono il lodo del mio orecchio ed una lacrima scese sulla guancia attirando maggiormente quelle bestie. «Adesso noi andremo avanti e torneremo a prenderla, hai capito? Se ci afferrano è la fine. Se ci prendono accadrà esattamente ciò che è avvenuto l'anno scorso.» Il polpastrello di Uriel strusciò delicato contro la mia guancia, mi portò via la lacrima e poi lui portò via me richiamando anche Tyrian all'attenti.
Ce ne andammo giusto in tempo, ce ne andammo un secondo prima che le siepi ci sbarrassero la strada intrappolandoci lì.
Ce ne andammo lasciando lì la persona migliore che avessimo mai incontrato.
Torneremo a prenderla, ripetevamo a bassa voce – quasi come non volessimo farci sentire nemmeno da noi stessi.
Torneremo a prenderti, mi illudevo io. Bloccando tutte le lacrime al centro della gola. 

L'ultima Kitsune - I misteri della Saint BaràDove le storie prendono vita. Scoprilo ora