Per i miei non era un problema che saltassi alcuni pasti. In realtà, erano proprio loro a spingermi a farlo, a volte. "Oggi andiamo a mangiare fuori, non fare colazione", "stasera c'è la pizza, a pranzo fai il salto della quaglia" dicevano. Non avevo la pancia piatta, la fessura tra le cosce o le clavicole in vista: questo era abbastanza per non potermi definire magra. Da parte loro, era un continuo tenermi a dieta, vietarmi cibi, riprendermi ogni volta che a tavola mangiavo un qualcosa in più. "Lo facciamo per il tuo bene" dicevano. Non fraintendetemi, lo facevano davvero per il mio bene, ma nel modo sbagliato.
Alle medie la maggior parte dei giorni mangiavo a scuola, il resto dai miei nonni, e le sere a casa. Iniziai un periodo in cui a scuola mangiavo massimo un panino, minimo niente; dai nonni quaranta grammi di pasta scondita, era quella la porzione che mi davano, per farmi dimagrire. Quaranta grammi di pasta a una ragazzina di dodici anni. La sera mangiavo meno possibile. Andavo a scuola, studiavo e mi allenavo. Dovetti smettere quando ad un allenamento quasi svenni perché senza forze, e il mio istruttore mi disse: "Mangiamo un po' poco?". Se ne era accorto.
Da più grande andai da un dietologo per alcuni mesi, e mi dette una dieta ben precisa da seguire, ma ai miei non bastava. "Ti ha dato settanta grammi di pasta? Te ne faccio cinquanta, cosi dimagrisci più velocemente"; "Ha scritto che puoi mangiare questa porzione di carne a pranzo e la pizza a cena, ma ti daremo verdure cosi non rischiamo". Per un periodo riuscii a seguire la sua dieta, perdendo tanti chili, in particolare dodici, ma non era mai abbastanza. "Non sei ancora arrivata al traguardo", "Con il duro lavoro che stai facendo arriverai al peso giusto!". Odiavo ogni parte di me, dimagrivo e mi vedevo uguale a prima, forse anche peggio, e non capivo perché tutto quel sacrificio se poi non c'erano risultati. Gli altri mi dicevano "Ma guarda che sei dimagrita molto, si vede!", ma per me non era cosi, io vedevo lo stesso maiale di prima. Smisi di andare dal dietologo ed entrai in un periodo buio della mia vita, da moltissimi punti di vista, tra cui quello alimentare. O non mangiavo, o mi abbuffavo mangiando qualsiasi cosa trovassi, per poi sprofondare nei sensi di colpa. Sviluppai un odio profondo verso il cibo, e ancora più profondo verso di me.
Feci delle analisi molto tempo dopo, trovando in me una malattia che comportava diverse cose, alcune gravi, per esempio stavo diventando sterile, mi causava disfunzioni ormonali, sbalzi d'umore, e mi impediva di dimagrire. Ovviamente l'ultimo punto era quello che mi premeva di più. Iniziai una cura che mi avrebbe liberato da questa malattia che chissà da quanto tempo mi portavo dietro, ma ormai era tardi, il mio corpo era formato, formato male. I commenti sul mio corpo continuavano come sempre, "Sei dimagrita? Stai molto meglio!" "Grazie zio", "Da piccola eri un figurino, verso i quindici anni sei diventata cosi come sei" "Lo so nonna", "Prima non potevo dirtelo, però eri orribile con quei vestiti, ora che sei dimagrita stai meglio. Non ti si poteva dire nulla che ti arrabbiavi" "Eh si mamma". "Non hai il fisico per quella gonna. Cosa ti metti" ripetuto quattro o cinque volte nell'arco di un'ora. Non la indossai più. Ero veramente stufa di odiarmi e di essere odiata, sembrava quasi che il mio aspetto facesse ribrezzo, eppure avevo solo qualche kg in più. Una volta un ragazzo mi disse "Ma come fai a fare quello sport con il fisico che hai? Non me lo spiego". Nessuno nella stanza mi aveva difesa, nessuno aveva proferito parola.
Dopo anni di commenti da parte delle persone, dopo essere stata rifiutata o offesa tante volte per questo, dopo aver vissuto in una casa in cui il cibo era sempre il problema, avevo deciso di cambiare, e cosi iniziai a fare la dieta a modo mio. Saltavo prima la colazione, poi mi accorgevo di potercela fare e saltavo anche il pranzo. A cena? Quel che c'era, una piccola porzione ed ero piena. "Brava, saltare qualche pasto non ti farà male" "Hai ragione papà". I kg sulla bilancia scendevano e io mi sentivo sempre più felice dei miei obbiettivi, si vedeva che dimagrivo ed era questo l'importante.
"Non va bene che vai a scuola senza cena di ieri sera e senza colazione, non hai forze poi" "Non mi va di mangiare al mattino mamma"; "Ma stai mangiando?" Chiedeva la mia migliore amica.
Ero sempre impegnata durante il giorno, il che mi distraeva e non avevo fame, il problema sorgeva quando dovevo uscire a mangiare fuori. In una vacanza in estate con le amiche e i genitori cercavo di prendere un piatto solo, cose salutari, ma ovviamente mi facevo trascinare dal momento e dicevo si anche all'antipasto prima del primo, si al panino anziché all'insalata. "Non esagerare, hai preso il coktail di gamberi e prendi anche la pasta?" "Scusa mamma". Sentivo sempre cose contrastanti, da una parte amiche che mi dicevano di mangiare e dall'altra persone che mi consigliavano di stare attenta.
"Dobbiamo stare in quattro nei sedili posteriori, tu mettiti davanti visto che sei quella più robusta e occupi più spazio". Quella sera mangiai una pizza trattenendo le lacrime, con la volontà di lasciarla li e non mangiare più.
Continuavo la mia dieta funzionale-non-funzionale, quando mangiavo anche solo un qualcosa in più vedevo che il numero sulla bilancia cresceva non di poco e questo mi spingeva a mangiare sempre meno, riuscivo anche a digiunare un giorno intero, a volte. Perdevo peso, più ne perdevo più piacevo alla gente, i miei si congratulavano con me, i ragazzi mi notavano di più, era perfetto. Io però ero sempre lo stesso maiale di prima, io Vedevo sempre lo stesso maiale di prima. Da una L sono arrivata a una S, poi XS, poi dovevo indossare gli abiti con le cinture. "Devi mangiare questo piatto, almeno questo", "Per favore almeno finisci le carote". Non stavo bene. Non sto bene. Mi danno le flebo, mi danno il cibo ma non riesco ad accettarlo e il mio corpo non ce la fa. Penso spesso alla ragazza che ero e mi rendo conto di quanto stupida fossi, ad ascoltare gli altri e non me stessa.
Non avevo la pancia piatta, ma avevo la forza per camminare, non avevo la fessura tra le cosce, ma le persone non mi venivano a trovare in ospedale con quelle facce dispiaciute, non avevo le clavicole bene in vista, ma avevo una vita. E sapete qual è la cosa più triste? Adesso mi faccio più schifo di prima. Riguardo le mie foto e penso "Cavolo, se ero bella". Ho sprecato la mia vita dietro a una cosa che mi ha portata alla morte.
Chiedo a voi di non fare gli errori già commessi da me, in fondo servono a questo, ad imparare. Migliorate voi stessi nel modo giusto, andare da un dietologo vi farà raggiungere i vostri obbiettivi senza rimetterci la salute, guarite e siate felici per me, perché io non ho potuto farlo.
Ora vi saluto, il sonno si fa sentire e non ho intenzione di resistergli. Buona vita, dalla vostra Alice.
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Le ultime parole di Alice
Non-FictionCi tengo a specificare che il personaggio è fittizio, e le informazioni riportate sono un insieme di cose prese qua e là.