𝐈𝐍𝐒𝐄𝐆𝐍𝐀𝐌𝐈 𝐀 𝐃𝐈𝐅𝐄𝐍𝐃𝐄𝐑𝐌𝐈
Quella mattina Seoul si svegliò ombreggiata e bagnata.
Aveva iniziato a piovere alle prime luci dell'alba e non aveva più smesso.
Uno dei tanti temporali estivi che ti coglieva di sorpresa, rendendo l'aria fresca e meno pungente.
Questa volta la perturbazione non era solo di passaggio, non si trattava di uno scroscio fuggevole, stava cadendo d'impegno, ripulendo ogni strada dalla polvere e dal fogliame seccato dal sole, innaffiando tutta la vegetazione sofferente.
Il sole nascosto dietro alle nubi si intravedeva appena, tutto l'ambiente aveva assunto un colore grigiastro.
Mi svegliai con il rumore picchiettante delle gocce d'acqua pesanti e dense, colpivano violentemente il vetro sottile della mia finestra in legno.
Rimasi nel letto con la faccia schiacciata nei cuscini a fissarle per un po', quel suono dall'effetto calmante mi fece riaddormentare profondamente.
Due ore dopo, tra uno sbadiglio e l'altro decisi di tirarmi su, non perché avessi un qualcosa in particolare da fare ma giusto per dare un senso a quella giornata.
Andai alla finestra e feci arieggiare la stanza, piovigginava ancora, constatai con piacevole sorpresa un'arietta briosa e vivace, il cielo ero rimasto lo stesso, forse si era incupito leggermente di più.
Accesi il televisore e scostai le tende dalla finestra del salotto per fare entrare all'interno un po' di luce fredda.
Mentre aspettavo che la macchinetta del caffè si scaldasse a sufficienza ne approfittai per lavarmi."Si alterneranno schiarite e annuvolamenti. Addensamenti di nubi soprattutto nelle zone interne con qualche scroscio di pioggia, acquazzone fugace anche in serata.."
Mi versai il caffè caldo in una tazzina che mia mamma si era portata dall'Italia, l'aveva lasciata a me prima di ripartire.
Sentivo la mancanza della mia famiglia, soprattutto di mio fratello, sentivo nostalgia della mia terra d'origine, di quella mia solitaria e accogliente casetta in campagna situata tra verdi colline.
Non c'era posto nel mondo che eguagliasse quel piccolo spazio di terra in cui ero nata e cresciuta.
Sarei tornata a casa per una visita la prossima estate, almeno così avevo pianificato, magari sarei rimasta di più questa volta, un mese o due.
Mi sarei presa un congedo dal lavoro e chissà forse avrei lasciato per sempre questo paese.
La mia impulsività comandava da sempre la mia vita, quando ne avevo abbastanza di una cosa non ero di certo una persona che perseverava, tutt'altro, voltavo pagina alla ricerca di qualcos'altro.
Voltavo all'istante, non ci riflettevo nemmeno, non mi facevo andare bene una cosa per forza.
Chiamavo i miei genitori a giorni alterni, e quando era possibile facevamo delle brevi videochiamate, in cui mia madre finiva quasi sempre per piangere.
In quel momento di nostalgia con ancora la tazzina in mano decisi di chiamare casa.
In Italia erano le dieci di sera e mentre io ero sulla soglia della porta a guardare un cielo illuminato a giorno, loro sotto lo stesso cielo ammiravano un cielo stellato.
Dopo la chiamata mangiucchiai qualche avanzo dal frigo e passai l'intero pomeriggio spaparanzata sul divano, alternando la televisione col fumare sigarette.
Ne approfittai per risistemare le fotografie, le ricollocai una ad una, aggiungendo didascalie negli spazi bianchi e annotando sull'agenda tutta una descrizione dettagliata.
Valeva per ogni foto.
Scrivevo sull'agenda, dove, quando e perché l'avevo scattata, appuntavo le sensazioni che avevo provato in quel momento, le caratteristiche che più mi piacevano della foto, e i miglioramenti che avrei dovuto attuare per renderla migliore di com'era venuta.
Inoltre di tanto in tanto scribacchiavo su fogli e foglietti i pensieri che mi venivano leggendo i libri, per ogni libro accumulavo una miriade di appunti che lasciavo sparsi per tutta la casa.
E considerando che avevo il tempo necessario per leggere quasi un libro al giorno, avevo accatastato un bel po' di carta.
Leggere non era una semplice passione, divenne col tempo una necessità, necessità dettata dalla solitudine.
Dopo quel fatidico giorno le mie priorità erano cambiate, io ero cambiata.
Uscivo per recarmi al lavoro oppure sporadicamente, quando riuscivamo a ritrovarci, mi vedevo con le mie tre pazze amiche.
Ma c'erano dei periodi che per motivi logistici e lavorativi riuscivo a vedere le altre solo un paio di volte al mese.
Il periodo invernale era quello più difficile da affrontare.
D'inverno Ye-ri lavorava praticamente giorno e notte con sua madre, la gente si rifugiava nei locali per mangiare, inoltre gli eventi atmosferici non permettevano esibizioni per strada, Jun molto spesso veniva mandata a Busan per ricoprire il suo ruolo da responsabile lì, mentre Sun lasciava proprio la Corea, per recarsi in America o in Europa.
Ed io non uscivo di casa se non per le commissioni, come la spesa o altre necessità di sopravvivenza e appunto il lavoro.
Non sono mai stata una persona da passatempi multipli, di certo ero interessata a scoprire tante cose, la curiosità e la voglia di fare qualcosa per occupare il tempo c'era, ma effettivamente non facevo niente per iniziare un "qualcosa" di nuovo, e questo per via della mia pigrizia e la mia inclinazione all'asocialità.
La solitudine mi fece scoprire la lettura, mi rifugiavo vivendo le storie degli altri, e quando entrai nel mondo della letteratura e della poesia capii che era ora di comprare una vera e propria libreria.
Alla fine fui costretta a comprare ben quattro librerie, esse circondavano il televisore che vi era posizionato nel mezzo.
Alcuni libri erano sparsi un po' ovunque, in camera sopra i comodini, in cucina sopra il frigorifero, persino in bagno c'era qualche libro.
Degli altri libri erano accomodati dentro agli scatoloni pronti da dare in beneficenza.
Questa divenne un' abitudine, una volta al mese riempivo uno scatolone da dare a chi ne avesse bisogno.
Finivano nelle scuole il più delle volte, oppure venivano consegnati alle associazioni che li distribuivano poi alle famiglie in difficoltà economiche.
Se un libro entrava nel mio cuore in particolar modo, entrava automaticamente nella mia libreria privata, altrimenti finiva nello scatolone.
Capitava spesso che sostitutivo un libro della libreria con uno appena terminato, se lo reputavo migliore a livello emotivo.
Perciò quella libreria era in continuo cambiamento, di pari passo con i miei stati d'animo e sentimentali.
E proprio verso le otto di sera mentre ero fuori a fumare la quindicesima sigaretta della giornata, da dietro l'angolo vidi spuntare Jun e Sun.
«Abbiamo il pollo!», mi urlò Sun.
Mangiammo quel pollo delizioso e croccante sedute a terra davanti il divano, ci scolammo qualche birra in lattina chiacchierando, sfogandoci e lamentandoci di tutte le cose riguardanti il lavoro.
Non potevo raccontare a Sun di quello che era successo la sera prima al lavoro perché lì con noi c'era Jun, e lei ancora non sapeva nulla del ragazzo con cui saltuariamente mi vedevo.
Questa cosa iniziava a dispiacermi, facendomi sentire uno schifo, ma dovevo trovare il momento giusto per dirglielo.
Avevo paura di una sua reazione, la conoscevo come le mie tasche, già sapevo che avrebbe reagito peggio del mio amico Joon.
Una volta finito di mangiare decidemmo di raggiungere Ye-ri che si stava esibendo con la sua band a Sinchon.
Dopo una giornata di pioggia l'aria si era rinfrescata parecchio, soprattutto a serata inoltrata.
Indossai sopra la maglietta a maniche corte un'enorme felpa nera, arrivandomi praticamente quasi alle ginocchia fungeva anche da vestito, presi lo zainetto, infilai le sneakers bianche e andai.
La strada principale di Sinchon era impercorribile.
Per camminare tranquillamente dovevamo rimanere attaccate, una di fianco l'altra così che riuscissimo a ricreare uno spazio tutto nostro, in cui erano gli altri a doversi scansare.
Quel luogo era una meta tipica della movida notturna giovanile ma la vera attrazione erano gli artisti in strada.
Ye-ri con la sua band avevano ipnotizzato una bella fetta di pubblico.
Anche quella sera il suo stile era super punk, con i capelli sparati da tutte le parti e tenuti artisticamente dalla cera.
Due occhi affilati e colorati di nero quasi fino alle tempie.
Guardando dentro la custodia della chitarra notai il gruzzoletto di soldi che si erano guadagnati.
«Stasera sono riusciti a guadagnare qualcosa, menomale, sono proprio contenta per lei», disse Jun.
«Anche io! Guarda quanta gente c'è qui, sono emozionata per lei», rispose Sun.
Tutte le loro canzoni avevano un ritmo ed uno stampo tipico del punk rock, forte e caotico, tutte le canzoni, tranne una.
Io adoravo quell'unica canzone che stonava da tutto il suo repertorio.
Ye-ri la cantava sempre per ultima, in chiusura.
Solo con la sua voce e la sua chitarra, accarezzava le corde cantando dolcemente una breve canzone di appena due minuti.
Avevo parecchie foto di Ye-ri mentre si esibiva, in ogni sua esibizione c'era sempre un qualcosa di diverso, un particolare in più, una lei diversa che volevo immortalare.
Arrivò una folata di vento.
Per la prima volta invece di iniziare a cantare il pezzo, alzò lo sguardo al cielo, con il braccio distaccato dalla chitarra non ancora pronto per accarezzare le corde.
Il suo viso manifestava un'espressione tanto tenera quanto nostalgica, con un impercettibile smorfia un po' crucciata che si sciolse.
Suo padre.
Pensò a suo padre.
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𝙸𝚕 𝙵𝚒𝚘𝚛𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚊 𝙻𝚞𝚗𝚊
Hayran Kurgu𝐿𝑎 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑙𝑖𝑐𝑖𝑡à 𝑒 𝑙𝑎 𝑏𝑒𝑙𝑙𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎 𝑞𝑢𝑜𝑡𝑖𝑑𝑖𝑎𝑛𝑎, 𝑑𝑖 𝑑𝑢𝑒 𝑟𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑖 𝑖𝑛𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑎𝑠𝑜. 𝑇𝑟𝑜𝑣𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑝𝑜𝑖, 𝑙'𝑢𝑛𝑜, 𝑛𝑒𝑙𝑙'𝑎𝑙𝑡𝑟𝑎, 𝑢𝑛 𝑙𝑢𝑜𝑔𝑜 𝑖𝑛 𝑐�...