Non è che Wei Wuxian non li senta, i sussurri alle sue spalle, mentre si sposta per il campo militare.
«Per tre mesi è scomparso» borbotta uno, le labbra coperte dalle lunghe maniche della veste «Nessuno sa che fine abbia fatto, per quei tre mesi. Poi torna e porta con se i morti?»
«Inquietante» risponde il compagno.
«Mostruoso, blasfemo, dico io» continua il primo.
«E sembra uno dei suoi cadaveri» aggiunge un terzo.
«Sembra? Per me lo è. Nessuno ha pensato di controllare?»
«E rischiare una maledizione? Vai tu se hai coraggio!»
Davvero, sono suggerimenti legittimi. Anche lui il più delle volte dubita di essere in vita, di essere umano. L'energia rancorosa scorre nei suoi meridiani, fa da collante alle ossa rotte, benda le sue ferite. Non cura, no, non anestetizza. Ogni danza di dita sul Flauto Fantasma, ogni passo, ogni respiro è agonia. Davvero, l'unica cosa che lo distingue da un cadavere feroce è l'aria che gli gonfia i polmoni, che sfrega contro le costole rotte. Lo sa, Hanguang-jun, che insistere a suonare per lui il brano fatto di luce tanto intensa da corrodere le sue ombre finirebbe per consegnarlo alla Morte dalla quale fugge da tre mesi, anzi, da anni? Il rumore degli artigli che sbattono contro il selciato, il dolore delle zanne che affondano nella carne tenera dei polpacci, le piccole dita che si serrano intorno alla buccia d'anguria, la speranza di un pasto spazzata via tra il ringhiare dei cani.
Sapendolo, continuerebbe ad insistere?
Le voci dei morti sussurrano «sì», il suo cuore batte «no». Teme la risposta.La sua tenda è ai margini dell'accampamento, isolata dalle altre. È la più piccola – due passi per tre -, una di quelle di scorta rimaste inutilizzate perché non desiderate da nessuno. Ha un buco nel soffitto. Quando piove, l'acqua batte sui piedi stesi sulla stuoia di bambù che gli fa da letto. Jiang Cheng non ne era rimasto impressionato. Aveva insistito che dormisse con lui, le sopracciglia aggrottate e il labbro superiore arricciato. Wei Wuxian aveva scosso la testa, gli angoli della bocca tirati nella parodia di un sorriso.
«Tu russi!» aveva risposto, facendogli digrignare i denti indignato.
«Non voglio svegliarti con i miei incubi» non aveva detto.
«Ho bisogno di starti vicino, fissare il tuo petto che si alza e si abbassa nel respiro, controllare che l'energia spirituale ti scorra nelle vene, assicurarmi che il mio dono non sia stato vano» aveva taciuto, scegliendo di gettare la testa all'indietro in una risata, pantomima di tempi più felici.
«Puoi tenere la luce accesa? Il talismano non dura tutta la notte. Non posso a restare al buio. Non voglio tornare nei Tumuli» il bambino di nove anni arrampicato su un albero troppo alto aveva supplicato dietro la risata vuota del suo sé pochi anni più grande – ha diciassette anni, il Patriarca di Yiling, un ragazzo senza peli sul mento-.
La sua tenda è isolata, piccola, umida, fredda. E Lan Zhan lo aspetta all'interno. Ha in mano delle bende, in volto nessuna espressione.
«Wei Ying» dice. «Sei stato ferito. Ho visto. Non eri in infermeria.»
"Sono molte parole per Lan Zhan" è ciò che pensa, mentre sbatte le palpebre sorpreso dalla vista che fa il Signore Portatore di Luce nel suo squallido alloggio. Non può non pensare alla stanza che aveva fin da bambino, al Molo del Loto, le due figure stilizzate scolpite rozzamente sulla testata del letto, piegate in un bacio, quello che sembra il nastro Lan sulla fronte del profilo a sinistra.
Lan Wangji non lo lascia rispondere. Determinato, lo afferra per il polso sottile e lo trascina all'interno, per poi farlo sedere sul baule di pelle che ha come unico mobilio. Non lo libera dalla presa per alcuni istanti.
Wei Wuxian è frastornato – lo sta toccando, l'innavicinabile Seconda Giada Gemella che trova insopportabile un disattento sfiorare di dita, lo ha afferrato deliberatamente -, appena registra cosa sta facendo mentre si ritrova a seguire i suoi comandi. Denuda la schiena, i lunghi capelli tenuti su un lato. Una freccia l'ha raggiunto sulla spalla destra, poco distante dalle vertebre definite dalla fame. Automaticamente, allunga una mano scheletrica a coprire il buco già tappato dall'energia risentita. Diventa appiccicosa di sangue.
«Niente energia spirituale» trova abbastanza lucidità per dire.
L'altro emette un ronzio basso in accordo. Bene. Il discepolo capo dei Jiang non ha le forze per un combattimento, non ora.
La mano di Hanguang-jun è grande, calda, mentre con delicatezza, come se non volesse sgualcire una peonia lanciata da una fanciulla innamorata, scosta l'arto del Patriarca. Sente polpastrelli irruviditi da uno strumento a corde percorrere il bordo della ferita, poi sfiorare le vertebre aguzze.
«Wei Ying è troppo magro.»
Il sussurro lo raggiunge solo a causa della vicinanza. Wei Wuxian non trova risate o battute per deviare, rimane in silenzio.
La tenda isolata, piccola, umida, fredda si riempie del rumore di bende srotolare e avvolte con cura, di mormorii bassi che provano a mettere insieme un corpo spezzato.
E d'improvviso non importa se è isolata, quando li allontana dal mondo intero.
Non importa se è piccola, quando basta a contenere entrambi.
Non importa se è umida, quando una mano gentile asciuga lacrime che non si è reso conto di versare.
Non importa se è fredda, se due forti braccia l'avvolgono tenendolo al caldo.
Il Patriarca di Yiling è un mostro, più morto che è vivo, trabocca di energia risentita e dolore lancinante.
Non importa, quando il Signore Portatore di Luce riaccende la sua umanità._________
Note: Non scrivo letteralmente da anni e questo è il mio primo lavoro nel fandom. Sono leggermente in ansia. Nella mia testa lavoro ad una long da una vita, ma non riuscendo a scriverla ecco qui questa cacatina. Sarebbe fantastico sapere che ne pensate✨✨
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Una tenda isolata, umida, piccola, fredda
Fanfiction[Tratto dalla fanfiction:] La sua tenda è ai margini dell'accampamento, isolata dalle altre. È la più piccola - due passi per tre -, una di quelle di scorta rimaste inutilizzate perché nessuno voleva. Ha un buco nel soffitto. Quando piove, l'acqua b...