Vieni per sempre con me

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Capitolo 1

Pemberton Township, 2002

Era una giornata piovosa, forse una giornata come le altre, in una modesta scuola superiore di una cittadina del New Jersey, circondata da fitti boschi di olmi e noci americani. Fuori, in cortile,
il lastricato lucido rifletteva il tempo imbronciato e i fogliami bruni dei faggi che bruivano cupamente.
E mentre era in classe, al piano di sopra, una ragazza era immersa nel suo reame segreto. Con un'inquietante tranquillità, giocherellava con una ciocca dei suoi capelli scuri, inanellandoli attorno al dito. E i suoi occhi, erano le tenebre, un abisso oscuro in cui si percepiva la volontà di essere senza catene, un abisso senza fine pieno di misteri. Un'avvilente tenebrosità dimorava in quello sguardo incompreso, un regno di ombre e fantasmi.
Alzò il suo avambraccio inclinando la mano in una posizione contorta e sensuale, aveva un polsino di lana nera, e una collana di perle scure. Si era voltata a guardare fuori dopo che un tuono aveva catturato la sua attenzione. La distanza fra lei e quella nuvolaglia imponente fu di fievole importanza, poiché non sentiva più forte quel confine tra sé stessa e quel firmamento turbolento. La luce dei lampi si rispecchiò nei suoi occhi abbacinati, inchiodati verso il cielo, e fissando abbarbagliata quelle nubi irrequiete, pensava...
"La felicità è una questione di attimi sfuggenti, tutto il resto è incline prima o poi alla noia. Gli oggetti, come le persone, così come l'autorità della stessa Chiesa, finiranno per sempre nell'oblio."
Così la vedeva Alison, tutto prima o poi finisce per diventare noia, la vita non ha senso, l'importante era stare bene in solitudine, perché quando non sei più utile ai ragazzi, rimani sola. La solitudine lei la apprezzava, e il dolore lo aveva accettato, ma mai avrebbe accettato l'abbandono dell'amore che l'avrebbe fatta perire in un cimitero di speranze, dove i ricordi erano l'ululo di un vento angoscioso. Alison Angel, di cui forse chiunque avrebbe riconosciuto il nome, era quella ragazza enigmistica che tutti volevano, che colpiva per la sua leggiadra bellezza, a volte un po' altezzosa, a volte un po' meno. Per colpa del suo temperamento, a volte miseramente arrogante, non aveva chissà quale reputazione tra le ragazze, ma a lei non importava. Sapeva di essere bella, e lei non aveva bisogno di compagnia. Le ragazze la disprezzavano, incolpandola di ammaliare i loro ragazzi. Nonostante la sua pessima nomea, l'odio che riceveva, le scritte nei bagni della scuola che la definivano in modo volgare, la verità di quell'angelo maledetto è che nessuno poteva resisterle. Una che viveva nel per sempre di un attimo, nell'importanza di una promessa, di una parola data. Alison Angel distruggeva, inconsapevolmente, il cuore di ogni tipo che osservava impotente la sua struggente bellezza.
E gelosamente, custodiva il suo segreto e il suo cuore. Mise una gamba sopra l'altra ascoltando le parole del docente durante la spiegazione. Sbuffò annoiata e si rivoltò verso le finestre rigate continuamente dalla pioggia. Un lampo balenò tra quella torma di nembi ferrigni, un tuono scoppiò facendo vibrare rumorosamente il vetro. Subito dopo due fulmini squarciarono il cielo antracite, e lei scossa da gelidi brividi chiuse gli occhi. Adorava la pioggia, e uno dei suoi sogni era proprio essere presa e baciata sotto l'acqua che cascava dal cielo. Immaginava che doveva essere una cosa stupenda, come in quei film romantici in cui i due amanti non riescono a staccarsi, e non era uno stupido pensiero adolescenziale. L'adolescenza, invece, è il pieno della vita, il momento di massima intensità, forse i momenti più importanti erano proprio verso i diciotto anni. Qualcuno la guardava sott'occhio, e lei lo sapeva, ma ne era abituata, e lei non voleva nessuno. Nessuno, a parte Gary. Gary Coleman, quel tipo, lui. E nonostante lei fosse convinta della mortalità delle cose, del decadimento dei rapporti sentimentali, quel ragazzo distruggeva il suo mondo, conducendola lentamente verso l'irrazionalità più femminile, rosea, che sarebbe potuta esserci. Si sentì un altro tuono, questa volta più intenso, e la pioggia riprese con più violenza. Lei si resse una delle sue ciocche tenebrose, infilando un dito tra quei capelli morbidi con i quali a lei piaceva giocare. Con quegli occhi inquietanti fissava il campo lontano, dove una catena di platani dai fogliami brunicci campava nella prateria smorzata. Nel frattempo continuava a inanellarsi le ciocche nere con espressione perduta tra quelle nubi tempestose. I suoi capelli erano così lunghi da ricordare la principessa Raperonzolo, e lei ne era ossessionata. La pioggia sbatteva contro i vetri generando un suono cupo e lei rabbrividì, sentendo quel vento impetuoso e profondo fuori dalla finestra. Si portò la mano verso la bocca, mordendosi piano un dito mentre pensava a quel ragazzo. In quel momento la campanella suonò con quel rumore acuto, squillante, separando il confine fra la noiosa formalità e la libertà degli studenti. Lei era una ragazza che amava essere libera. Lei non era di nessuno, lei era di chi voleva, così si ripeteva. I ragazzi si alzarono precipitosamente, un coro eccitato si disperse in tutta la scuola. Alison ritardò un paio di secondi per rimettere lo zaino apposto, poi proseguì verso i corridoi dove una fiumara di studenti procedeva irrequieta prima di stagnarsi all'atrio dove i lampi guizzavano e la tempesta infuriava. Quando Alison si avvicinò all'uscita diversi ragazzi rimasero a guardarla impotenti. Nonostante fosse magra aveva un seno abbondante che s'intravedeva sotto il tessuto di un maglione nero a costine.
Sotto le illuminazioni del corridoio, s'intravedeva quell'angelo orgoglioso che portava via con sé ogni speranza, ogni possibilità di resisterle. Il suo viso aveva le lentiggini sotto gli occhi, i quali erano cupi come il dolore o profondi come l'oscurità in una fossa pieno di mistero. Quasi tutti la guardavano, ma lei ignorò chiunque, lasciando meraviglia e sconforto quando passava ancheggiando indifferente. Con lo sguardo cercava quel ragazzo, e lo rincontrò all'uscita della scuola. Osservò quel tipo alto, con una felpa nera e il suo viso oscurato da un cappuccio, quasi come volesse nascondersi dagli altri, e chissà quali meravigliosi segreti teneva per sé. Il cielo si illuminò tutto e la luce intensa di quel lampo illuminò il ragazzo della sua vita, i suoi occhi scuri brillarono e la folgorarono. Il suo sguardo minaccevole e diretto intimò quella tempesta nel suo interiore. Teneva le mani per metà in tasca e le sue posizioni, i suoi movimenti lenti, la colpirono. I suoi occhi marroni e cupi, tendevano al nero, ma erano tutt'altro che spenti, era truci, accesi di quel castano scuro, ma ancora misteriosi. Alison che si era dimenticata del freddo in quell'istante, fu colpita dal vento e tornò a tremare poiché sotto indossava solo una gonnellina nera con delle calze a rete che le enfatizzano le gambe sensuali. Indossò la felpa che aveva con sé, aveva una taglia sproporzionata tuttavia le dava un aspetto dolce e noncurante. Tirò su il cappuccio e portò le mani nelle tasche del tessuto, ma quando ricambiò lo sguardo fisso di lui lei si abbandonò a un sorriso stregante.
Si sentivano la pioggia e il vento, le foglie turbinavano rumorosamente, poi ci fu un debole tuono, in lontananza, ma lei rimase fissa col sorriso a guardare quel ragazzo. Lui inclinò il volto, sfidandola con quei occhi scuri, piegò le labbra e sotto la luce di quei lampi lei si abbagliò di quel mezzo sorriso e ritrovò speranza e coraggio. Nella luce dei lampi che trionfò sulle tenebre di quei occhi castani, lei incantata trovò la ragione di vivere. Se per lei prima non c'era mistero alla vita, e niente poteva sfidare il pensiero razionale, adesso non poteva più ignorare ciò che aveva avanti. Fece qualche timido passo e si avvicino, giocando con le sue treccine e guardando il basso, nel cupo suono della tempesta poi sollevò lo sguardo sul suo.
«Ciao, Gary.»
Erano riparati dall'ampio portico della scuola, le pareti scure erano costituite da delle mattonelle marroni, e i faggi con i loro tronchi gessosi fiancheggiavano l'istituto. La facciata dell'edificio era sorretta da delle colonne di cemento, bianche ma con un leggero tono caldo, quasi un bianco crema, con sfumature di giallo o avorio, e portava l'insegna della scuola. Subito dopo la scritta in giallo "Peamberton Township High School",
forse un tempo bianco ghiaccio che degradò in un avorio non troppo marcato, vi erano disposte in modo uniforme le finestre rettangolari, con i vetri piuttosto scuri che rispecchiavano il cielo plumbeo, fosco. La scuola si stagliava contro il cielo arrabbiato, col suo marrone principalmente scuro, quasi rossastro. Lei abbassò di nuovo lo sguardo, un'ondata di emozioni la travolsero prepotentemente.
Lui non smetteva di fissarla.
«Come stai, Alison?», le chiese con quella voce profonda.
«Non male, tu?», rispose con voce smorzata.
Sentiva il desiderio persistente di baciarlo, voleva avvicinarsi a lui, per sentire il calore che il suo corpo emanava. Voleva avvicinarsi, per ascoltare il suo respiro unirsi al suo, avere le sue mani sul proprio corpo, sentirsi controllata, dominata, fisicamente e spiritualmente. Desiderava le sue labbra sulle sue in quello che era il tormento più bello della sua anima. Con quegli occhi civettuoli e terrorizzati diceva di corromperla, di distruggere quel muro invisibile, fatto di silenzi e omissioni. E nonostante quello che si diceva in giro, che era una poco di buono, lei voleva scappare da quella prigionia di vecchi valori. E se lei voleva vestire o comportarsi in modo provocante, lo faceva
Lui ritardò la risposta, l'aria era fredda, mordace.
«Indifferente», disse lui gelido, appoggiandosi alla colonna bianca con un poco di bagliore, che creava un contrasto con le pareti marroni, anche se non così netto. Lui incrociò le braccia, e Alison nel suo sguardo castano e privo di chiarezza trovò il suo destino.
Si sentiva il vento tra le frasche e qualche corvo che si lamentava, lei cercava di non sorridere, ma era inutile. Fu impossibile non far trasparire le emozioni, i sentimenti, l'anima fu irrecuperabile, persa in quei suoi occhi marroni, incompresi. Lei alzò gli occhi su di lui, dei fili dei suoi capelli li svolazzavano sul viso; piegò le labbra rossa, per poi scapparle un largo sorriso bianco, luminoso. Lui ne osservò quel sorriso smagliante, perfetto, gli occhi neri come l'oscurità sulle montagne, talmente neri da essere la notte, l'essenza del buio. I suoi occhi manifestarono, con quel buio opprimente, il tormento interiore, così fu un luogo di perdizione, specchio di un'anima complessa. Si soffermò, con attenzione, a osservare quel viso pallido e carino coperto da quel cappuccio grigio. La sua faccia era puntellata dalle lentiggini sotto gli occhi, e quei capelli nerissimi, morbidi e folti le coprivano le spalle, giungendo fino i suoi fianchi.
«Pioverà per tutto il giorno», si lamentò lei, giocando col suo braccialetto, cercando di rompere l'imbarazzo, perché bastava una sua frase, per assoggettarla, e per farla sentire così, immoralmente, bene.
La sua voce era dolce, trasudava passione. Era bella come quella di una sirena che cerca di condurti irreparabilmente nelle profondità degli abissi. E lei lo avrebbe condotto a sé, ci sarebbe riuscita ad avere quel ragazzo solo per sé, e al contempo essere solo sua, e di nessun altro.
Nel frattempo la pioggia si fece meno intensa.
«Non importa, mi piace la pioggia.»
«Noi adoriamo le tempeste», si azzardò lei civettuola, non era così con nessuno.
Lui guardava lontano, con sguardo perso, versi i campi lontani, sorvolati dai corvi.
«Sei sempre così freddo, Gary?», chiese lei, intimorita ma affascinata da quel meraviglioso silenzio.
«Le persone hanno sempre la necessità di parlare. Io, onestamente, non ne trovo il bisogno.»
Lei si prese una ciocca di quei capelli neri e la fece girare attorno a un dito.
«Addirittura, Gary?»
Da lontano, verso i prati, si sentì un corvo che lanciava versi lugubri e lei tremò all'arrivo di un'ondata di vento rumoroso.
«Tu torni a casa, Alison?», chiese lui, guardando gli abeti oltre la sua spalla, i cui tronchi sembravano quasi azzurri.
«Preferirei, stare con te, Gary.»
Lui si grattò il viso, e lei osservò i suoi occhi marrone scuro cercando di capire quali reconditi pensieri nascondeva in quel suo piccolo mondo.
«Va bene, ma a una condizione.»
Lei sbatté le ciglia nere rapidamente.
«Quale, Gary?»
Attese la sua risposta, con sguardo attento, i suoi occhi furono abbagliati da una luce cenerina, con le mani incrociate sul petto, il cuore batteva forte.
«Verrai dove dico io.»
Lei le sfuggì un sorriso, lento, sguainando i bei denti bianchi.
«Ci sto.»

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