𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝟷𝟾

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𝐀𝐑𝐈𝐀 𝐃𝐈 𝐓𝐄𝐌𝐏𝐄𝐒𝐓𝐀

Gli stadi luccicanti, la folla urlante, i suoi compagni, la fama e la gloria.
Questa era la sua vita.
Infondo a tutta una serie di altre cose, oltre a queste, c'ero io, ma ero io, solo ed unicamente io.
Un giorno vicino a lui ci sarebbe stata la degna compagna della sua vita, quella ragazza che la sua famiglia e la società avrebbe accettato di buon grado, quella che viene al momento giusto e che sa essere giusta per uno come lui.
Una scintillante ragazza acqua e sapone, dolce al punto giusto, con due scuri e simili occhi come i suoi, un passato alle spalle esemplare, ed impeccabile.
Una giovane brillante, con un lato estroso ma elegante, gioviale e affabile.
Questo era il futuro che vedevo per lui.
Questa era la Lei che vedevo per lui, lei, non me.
Non ci mentivamo, entrambi sapevamo che saremmo stati di passaggio l'uno per l'altra, ma questo non ci fermava nel viverci.
Incoscienti.
Incoscienti sentimenti dettati da passione verace e focosa.
Nel tragitto in macchina verso casa mentre la sua mano accarezzava la mia, i pensieri più belli e malinconici si mischiavano nella mia mente, ingrigendo le mie emozioni.
L'amavo.
Caro ragazzo che vieni dalla luna, io t'amo.
Mai avrei pronunciato la parola amore.
Ma l'amavo.
Mai avrei permesso ad una parola di rovinare la sua vita.
Ma io, l'amavo.
Mai mi sarei concessa alla parola amore.
Ma t'amo, ti ho amato dal primo sguardo, e t'amo in ogni tuo ultimo sguardo.
Il sesso che ci eravamo concessi fu il culmine della nostra attrazione, ma pronunciare all'altro la parola amore ci avrebbe spezzati.
Ed eccolo quell'ultimo sguardo, la macchina li stava riportando alla loro vita, io e Sun li salutammo e li lasciammo andare serenamente.
«Ehi! Ho trovato la candelina Amy»
«Oh! Davvero?», il mio sguardo si allontanò dalla macchina e finii sulle mani della mia amica, «Per la miseria è distrutta, sicuramente ci sarà passata sopra una macchina. Dai pure a me, la porto a casa»
«Va tutto bene tesoro?»
Il calore di Sun era un porto sicuro, sentiva che ero provata psicologicamente da tutta la situazione non proprio semplice.
«Si sono solo stanca, è il caso che vada a dormire ci vediamo questi giorni, hm?»
«Hai bisogno di una bella dormita, vai a riposare, buonanotte»
Forse fu la mia inquietudine del momento, volevo girare quel quadro appoggiato allo scaffale e leggere la dedica dietro il disegno.
Avrei scoperto un suo pensiero intimo su di me, un qualcosa fin troppo imbarazzante da pronunciare a voce alta, dove sicurezza avrebbe trovato nelle parole scritte.
Avevo promesso di non leggerla, una promessa è una promessa dopotutto.
I miei pensieri furono interrotti dallo squillare del telefono, una distrazione arrivata al momento giusto, chiunque fosse stato mi stava salvando dal commettere un grande errore.
Appena lessi il numero sullo schermo del telefono rimasi perplessa, erano quasi le due, a quell'ora della notte non mi aspettavo niente di buono.

«𝘗𝘳𝘰𝘯𝘵𝘰?»
«𝘓𝘢 𝘴𝘪𝘨𝘯𝘰𝘳𝘪𝘯𝘢 𝘈𝘷𝘢𝘵𝘪 𝘈𝘮𝘢𝘯𝘥𝘢?»
«𝘚𝘪, 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘪𝘰»
«𝘗𝘢𝘳𝘭𝘢 𝘭𝘢 𝘱𝘰𝘭𝘪𝘻𝘪𝘢 𝘥𝘦𝘭 𝘥𝘪𝘴𝘵𝘳𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘥𝘪 𝘠𝘰𝘯𝘨𝘴𝘢𝘯. 𝘋𝘰𝘷𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘳𝘦𝘤𝘢𝘳𝘴𝘪 𝘪𝘯 𝘴𝘵𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘤𝘪 𝘩𝘢 𝘧𝘰𝘳𝘯𝘪𝘵𝘰 𝘪𝘭 𝘴𝘶𝘰 𝘯𝘶𝘮𝘦𝘳𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘵𝘶𝘵𝘰𝘳𝘦 𝘪𝘭 𝘴𝘪𝘨𝘯𝘰𝘳 𝘗𝘢𝘳𝘬 𝘑𝘰𝘰𝘯 𝘤𝘩𝘦 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘮𝘰𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰 è 𝘪𝘯 𝘤𝘶𝘴𝘵𝘰𝘥𝘪𝘢 𝘪𝘯 𝘤𝘦𝘯𝘵𝘳𝘢𝘭𝘦»
«𝘈𝘳𝘳𝘪𝘷𝘰 𝘴𝘶𝘣𝘪𝘵𝘰»

Rimasi di stucco, agganciai la chiamata sentendomi confusa, non era da Joon finire in un posto simile.

Joon?
Il mio Joon?

Mentre mi affrettavo a cambiarmi mettendomi qualcosa di meno appariscente, nella mente iniziò a vorticare un milione di domande.

Cosa diavolo ha combinato?

𝙸𝚕 𝙵𝚒𝚘𝚛𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚊 𝙻𝚞𝚗𝚊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora