40. Zac

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«Me ne vado un attimo e tu ti svegli».

«Era tutto programmato».

Mi sorride, il viso pallido, stanco, almeno quanto il mio.

«Non hai un bell'aspetto», mi fa notare.

«A dirla tutta nemmeno tu».

«Sei rimasto qui?»

Annuisco e prendo posto accanto a lei sul letto. Le passo delicatamente una mano tra i capelli, spostando un ciuffo ribelle.

«Anche se odi gli ospedali sei rimasto qui».

«L'amore è mettere il bene di qualcun altro prima del tuo».

«Zac, mi dispiace tanto».

«No. Avevi ragione. Hai fatto bene. Quando ti ho vista qui, inerme, su questo letto, mi sono dato una svegliata. Ho visto le cose per quello che sono e ho capito che hai fatto l'unica cosa che io non ho avuto il coraggio di fare in questi anni perché sono sempre stato troppo codardo. Quindi non devi scusarti, ma sono io che ti dico grazie».

«Ho sbagliato comunque. Dovevo dirtelo».

«Forse, ma adesso non importa più. Non pensiamoci più. Ricominciamo».

«Ricominciamo?»

«Piacere, sono Zac», le porgo la mano e lei la afferra con incertezza. «Sai, ero di passaggio e ti ho vista dal vetro, ti trovo molto carina qui in questo letto d'ospedale senza trucco e con i capelli spettinati. Vorresti uscire con me?»

«Cretino!»

«Non sto scherzando. Mi piaci davvero Nats. Allora? Devo aspettare ancora tanto per una risposta?»

«Vorresti uscire con me?»

«Sì».

«Con una che probabilmente non riuscirà a camminare dritta per i prossimi mesi?»

«Totalmente».

«E a cui probabilmente dovrai portare l'acqua perché non riuscirà ad alzarsi dal divano per prendersela da sé?»

«Esatto».

«E la spesa. Dovrai anche farmi la spesa».

«Amo fare la spesa».

La guardo con gli occhi grandi, immersi nei suoi, ricordando quella sera, quando mi ha trascinato fuori da quel bar con l'idea più assurda che avessi mai sentito in vita mia. Fingermi il suo fidanzato. E adesso eccomi qui a chiederle di esserlo per davvero, senza freni, finzioni, inganni. Solo noi.

«Voglio chiarire una cosa», mi dice d'un tratto.

«Spara».

«Se stiamo insieme non è perché ho bisogno di un fidanzato per le convenzioni sociali. Ma perché mi piaci, e l'idea di stare insieme non si prospetta così terribile».

«Il tuo sarebbe un modo goffo per dirmi di sì?»

«Sì!»

Non aspetto altro tempo, la prendo tra le braccia e la bacio mentre ridiamo come due scemi. E capisco che è lì, l'essenza delle cose, il motore del mondo, le nostre risate che si confondono tra loro, le mie labbra sulle sue, il suo sguardo che mi scava dentro. È tutto lì. Dove deve essere.

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