Capitolo 21. Poltiglia di patate?

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Cucinare non aveva mai fatto per me. Non avevo mai capito come facessero, in quei programmi con tempo limitato, i partecipanti a cucinare in un batter d'occhio e facendo fuoriuscire un piatto stellato.
In questo momento mi trovavo davanti ad una poltiglia di patate schiacciate che ancora non avevo capito cosa fosse. La infornai comunque, fregandomene del suo aspetto. Sperai che la regola del brutto ma buono valesse anche per quella volta.
Mi stavo togliendo il grembiule quando il campanellò suonò. Mi affrettai a raggiungere il portone, e con mia grande sorpresa era l'ultima persona al mondo che mi sarei aspettata mi facesse visita.

«Papà,» rimasi imbambolata davanti alla porta d'ingresso.
Non mi aveva mai fatto visita da quando mi ero trasferita, non che fosse cambiato qualcosa da quando vivevamo insieme, visto che non si degnava neanche di venire in camera mia.

«Posso entrare o?» Esitai un po', ma non ero tanto crudele da lasciare mio padre, che per tutta la sua vita aveva fatto lo stronzo con me, fuori dalla porta.
«Certo»
Mi spostai per farlo passare e sentire il suo odore familiare spargersi sui muri e sui quadri iniziò a darmi fastidio.
«Cosa ti porta qui?» Mi appoggiai al muro incrociando le braccia. Se parlava con me, ci doveva essere per forza un secondo fine. Era sempre vestito di tutto punto, anche se oggi, rispetto alle altre volte, lo vedevo piuttosto stanco e trasandato.
«Siediti Diana.» Stava analizzando la casa quando si voltò verso di me, puntando la sedia davanti a lui. Un po' timorosa mi avvicinai e ci sedemmo all'unisono.

«Come sta andando?»
«L'azienda sta andando bene. Mitchell sta già lavorando sul logo dell'applicazione.» Risposi quasi meccanica. Vidi nel suo viso qualcosa di strano, sembrava preoccupato.
«No intendevo tu, la tua vita. Come sta andando?» Quella domanda mi spiazzò. Era la prima volta, da quando la mamma si era ammalata, che mi aveva chiesto come stessi.
Certo, la mamma doveva aver a che fare con questa cosa, lui non arriverebbe mai a tante dimostrazioni di affetto.

«Bene.» Non volevo sapesse altro. Non si era mai interessato, era sempre stata la mamma a chiedermi come stessi, con chi stessi e cos'avessi in mente per il futuro. Era sempre stata lei che, ogni giorno della sua vita, non aveva mai smesso di preoccuparsi per me. Anche se a distanza lei c'era sempre stata.
Calò un silenzio tombale, e io non avevo intenzione di romperlo.

«L'università? Ti trovi bene?»
Adesso ti interessi anche dell'università che hai scelto tu perché vicina alla tua azienda?
«Sì, mi trovo bene.» Certo che mi trovavo bene, ma non era ciò che volevo.

«La mamma non fa altro che parlare del tuo amico di corso. Dice che le sta simpatico nonostante non lo conosca neanche.»
Tipico di mamma. Tendeva a fidarsi di tutti senza neanche conoscerli veramente. Era davvero genuina come persona.
«È simpatico in realtà»
«Potresti farmelo conoscere»
Strizzai gli occhi, facendo un'espressione confusa.
«Perché vuoi conoscerlo?»
«È tuo amico e...è difficile da spiegare.»
«A parole tue, papà» Si tolse gli occhiali da vista e iniziò a massaggiarsi le tempie.

«La mamma non ha molto tempo ormai, e in poco saremo solo io e te. Voglio solo che instauriamo un rapporto migliore»

«Non è sembrato importarti sette anni fa, quando durante le feste mi hai lasciata al tavolo da sola, a mangiare da sola e a festeggiare il nuovo anno da sola. E sai chi è stata l'unica compagnia che ho avuto tutte quelle sere? La televisione. Mettevo qualunque programma purché ci fossero persone allegre che parlassero, perché tu, Curtis, non ci sei mai stato.
Hai idea di quanto sia stato triste arrivare a capodanno pensando che non fosse cambiato assolutamente niente? Che tu non fossi cambiato per niente?»
Ricordare quei momenti mi faceva solo che male. Non festeggiavo più nulla, e questa regola valeva tutt'ora. Mio padre mi aveva lasciata completamente sola, facendomi odiare persino il mio compleanno, questo perché per lui erano giorni comuni agli altri. Visto dagli occhi di una bambina, iniziai a credere che forse era vero, era inutile festeggiare, per questo avevo smesso di celebrare Natale, Capodanno e anche il mio compleanno. Era solo grazie a Eleonor che avevo ricominciato a credere in queste feste, anche se di poco. Almeno a Natale c'era un albero, e a Capodanno aprivamo una bottiglia di Champagne.
Rimase muto e, scrutandomi sotto le sue folte sopracciglia, si decise a parlare.

«Mi dispiace, ma pensare a tua madre in quello stato... mi ha causato tanto dolore»

«E a me no! Non ho perso solo mia madre, ho perso anche mio padre. Sono cresciuta senza affetto, e l'unica persona che me ne abbia mai dato è stata-» mi zittii.
Elia.
Nonostante lo respingessi, nonostante gli avessi detto tantissime volte che io non volessi avere nulla a che fare con lui, è stata la prima persona a restare. Mi ha confortata, mi ha fatto divertire, mi ha fatto vedere sfumature della vita che non conoscevo. Ha fatto di tutto per farmi stare meglio ed è stato l'unico a ridarmi quel calore che mi mancava.

«Non ha importanza, perché non ti è mai importato di me, se non per i tuoi stessi interessi.» Mi corressi io. Ero certa che avesse fatto ricerche su Elia e sapevo anche lui fosse a conoscenza del suo nome. Lo conoscevo.
«Voglio solo rimediare. Dimmi come posso farlo.»

Ero sincera, non mi importava più nulla, perché lui non faceva altro che spezzarmi il cuore ogni volta che gli ero accanto, ma purtroppo, per quanto volessi metterci una pietra sopra, mi veniva impossibile rifiutarlo. Era pur sempre mio padre.

«Inizia a comportarti da padre, e non come se fossi un mio superiore.»

«Ci proverò.» Lo osservai, e la sua espressione pareva sincera e determinata. Si toccò la lieve barba con le dita, forse non l'aveva neanche notata prima. «Volevo parlarti della situazione nell'azienda però.» Eccolo che ricominciava con gli affari. Non cambiava mai.

«Sono tornato da poco, ma da come mi hanno informato, tu e il figlio di Greens siete molto...intimi.» Rimasi in silenzio. Chi gliel'aveva detto, ma soprattutto, cos'avevano visto?

«Ecco, ti chiedo solo un favore da padre. Non farti coinvolgere da quella gente. La tua amica... Eleonor giusto? È stata un po' costretta, ma ciò non vuol dire che anche tu debba fare lo stesso.»

«Ho conosciuto Gordon, e non è il mostro che dipingi. È sensibile e ama la sua famiglia.»

«Almeno lui sa di chi sei figlia?» Silenzio di nuovo. No, non lo sapeva. Non avevo avuto il coraggio di dirglielo, per questo lui non ne era al corrente. Ma ero sicura che se lo avesse saputo lui non mi avrebbe odiato.
«Appunto. Se lui sapesse che sei mia figlia farebbe di tutto per metterti fuori gioco. Non ci arrivi Diana? È tutto rose e fiori perché lui non sa chi tu sia.» Non era vero. Gordon si era dimostrato così disponibile, mi aveva addirittura invitata a giocare a golf con lui e Eleonor. Non poteva essere così.

«Voglio solo il meglio per te, quindi per favore non farti coinvolgere da suo figlio. Non so chi sia, non so neanche come si chiami e non mi interessa, ma stanne fuori.»
Ero sicura sapesse il suo nome, ne ero più che certa, ma perché mi stava dicendo tutto questo? Aveva forse scoperto tutto?
Rimasi immobile, lo sguardo basso. Era vero quello che diceva? Oppure stava solo cercando di mantenere la sua reputazione come sempre? Sentivo un odore pungente, forse era il destino che mi diceva mio padre stesse davvero tentando di essermi amico per una volta. Era strano però come odore, mi ricordava il fumo.

«La politiglia di patate!» Mi alzai di scatto prendendo le presine e tirando fuori la mia creatura. Tirai un sospiro vedendo per la milionesima volta un piatto malriuscito.

«Poltiglia di patate?» Ripetè mio padre con un'espressione piuttosto disgustata. Come biasimarlo d'altronde.

«Ho provato a fare un polpettone di patate, ma è uscita fuori una poltiglia quindi...vuoi un po' di poltiglia di patate?» Gli domandai impacciata, rivolgendogli un sorrisetto implorante. Non aveva mai assaggiato i piatti fatti da me, quindi era il momento di rimediare.

«Certo,» e così gliene servii una fetta, che sembrò piacergli molto, tanto che ne chiese il bis. Mi sentii riscaldare il cuore quel giorno, perché non avevo solo passato del tempo con mio padre senza fini lavorativi, ma avevo per la prima volta cucinato qualcosa di mangiabile. Era davvero questo che si provava a mangiare con il proprio padre?

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