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Avvolta nella mia pelliccia nera fumavo una sigaretta, ammirando dal balcone di Ca' Rezzonico il riflesso della luna sul mare.
La serata procedeva, tra alti e bassi, tra verità e bugie, tra sorrisi falsi e occhiatacce.
Avevo bisogno di un po' d'aria.
Faceva freddo, fin troppo freddo, così tanto che l'aria pulsava nelle mie vene e arrivava fino alle mie tempe, quasi facendomele scoppiare. Forse ero semplicemente stanca; non sarebbe stato strano visto le occhiatacce e i sorrisi tutt'altro che sinceri che avevo rivolto e che mi erano stati rivolti quella sera.
Presi il telefono e cominciai a scrollare senza un vero e proprio senso. Mi mancava Giovanni. Era in momenti come questi che avevo bisogno di lui.
Nessuna notifica però, era arrivata; non era strano che non si facesse sentire durante le serate e da un lato era meglio così: se mi avesse scoperto al telefono durante la serata mi avrebbe come minimo dimezzato la paga e questo non sarebbe stato per nulla buono.
Mi appoggiai alla balaustra in pietra del balcone, stavolta rivolgendo il mio sguardo alla porta finestra, dalla quale proveniva una luce divampante, fortissima, così forte che ti faceva credere di essere vicino al sole. Una musica invece, soffusa, proveniva dalla sala e un chiacchiericcio altrettanto leggero ed elegante la accompagnava. Sembrava tutto calibrato e perfetto. Tutti erano calibrati e perfetti in quella sala; tutti tranne io.
Proprio mentre stavo per afflosciarmi su me stessa la porta finestra si aprì e comparve un signore, sulla cinquantina. In mano aveva un pacchetto di sigarette, dunque perveniva su quel balcone per il mio stesso motivo. Non fu quello però ad attirare la mia attenzione: i capelli erano ancora folti e sembravano morbidi, benché fossero grigiastri. Le braccia erano muscolose e la pancia asciutta e lo avvolgeva come un manto divino un completo nero da sera, che lo facevano sembrare molto più giovane di quanto fosse. Gli occhi erano neri, impenetrabili e quando si posarono su di me quasi mi fecero venire voglia di scappare.
Mi schiarii la voce e cercai di ridurre il più possibile la mia presenza in modo tale che potesse fumare in pace. Cercai di non guardarlo e fissarlo a terra ma sentivo il suo sguardo attraversare il mio corpo e bruciare ogni volta che ritornava in un punto in cui aveva già guardato. Il mio imbarazzo crebbe a tal punto che mi venne voglia di lanciare la sigaretta dalla balaustra e andarmene, ma fu lui a fermarmi.
" Signorina, la prego, non si agiti" disse, con un tono sorprendentemente calmo, troppo calmo per quello che invece esprimevano i suoi occhi, per quello che tutta la sua presenza emanava.
"Non sono agitata" risposi senza guardarlo e con un tono che sicuramente mi aveva tradito.
Rise di gusto.
Mi diede in un certo senso fastidio. Quella sera ridevano troppo di me. Era come se avessero un sesto senso e avessero capito sin da subito che non ero una di loro.
"I suoi movimenti la tradiscono". Continuava a fumare tranquillo, guardando il mare.
La mia sigaretta era ormai giunta al filtro e la spensi con delicatezza nel posacenere che c'era sul piccolo tavolino nero che divideva me e il signore. Mi fissò nel mentre e la cosa mi inquietava, ma al tempo stesso mi incuriosiva, quindi decisi di accenderne un'altra.
"Non siete un po' troppo giovane per fumare così tanto, ragazza" chiese, sempre prendendosi gioco di me.
Decisi di non rispondere alla domanda, ma di attaccarlo nel vivo, per rendere il tutto più personale
"Mi chiamo Emma" mi limitai a dire, accendendo la sigaretta e tirando profondamente.
"Anche mia nipote si chiama Emma" disse, rivolgendo lo sguardo verso il vuoto. Poi tornò a guardare me, sempre imperturbato, sempre sorridendo. "E' la figlia di mia sorella... ha sette anni ma è ancora una peste" Lasciò che un po' di cenere cadesse nel posa cenere e poi si rivolse di nuovo a me. "Non vi ho mai vista qui e il che è molto strano perché io conosco letteralmente tutti in questa sala" fece una piccola pausa, prendendo il calice di prosecco che aveva appoggiato sul tavolino da quando era arrivato e sorseggiandolo leggermente; scosse poi la testa " e credimi se ti dico che sono persino stanco di vedere tutti gli anni gli stessi mediocri volti".
Io ero immobile. Fissavo il mare.
Dovevo mantenere la calma e continuare la mia messa in scena. Ero la compagna di Gabriele Leonardi. Da poco tempo ci frequentavamo ma le nostri sorti erano state decise dai nostri genitori ormai da tempo. Se mi avesse chiesto chi erano i miei genitori, mi sarebbe bastato dire che mi avevano adottato qualche anno dopo la mia nascita ed ero finita sotto l'ala della famiglia Pessina, che avevano deciso di mantenere lo stesso il mio cognome di origine per ragioni che ad oggi nessuno comprende. Sarebbe bastato aggiungere una battuta come "solito capriccio da ricchi" e avrebbe funzionato. Era tutta la sera che ripetevo le stesse cose. L'avrei fatto anche ora.
"A cosa pensa?" la domanda mi spiazzò e mi fece voltare di scatto verso di lui. I capelli si scompigliarono leggermente, andandomi a coprire il volto
"A nulla" deglutii "stavo guardando il mare" dissi, riportando lo sguardo verso l'orizzonte.
"Non sapete proprio mentire eh" disse nuovamente bevendo "questo mondo non vi appartiene per nulla"
Arricciai le sopracciglia
"Sono nata e cresciuta in ambienti come questo, non capisco dove vogliate arrivare" stizzita, continuavo a fumare, sempre più nervosamente.
"Se lo dice lei"
Ci fu un momento di silenzio imbarazzante. Entrambi avevamo esaurito il nostro desiderio di comunicazione. O forse no
"Dunque siete qui come accompagnatrice del signor Leonardi?"
Eccola qua, domanda che non mi sorprendeva
"Si" mi limitai a dire
"Un ragazzo molto particolare" affermò "Molto diverso dal nonno sicuramente"
Stavolta non sapevo proprio che cosa dire; chi conosceva suo nonno?
Rise.
"Non avete idea di chi sia Arturo Leonardi vero?"
Arturo. Ecco come si chiamava. Me lo dimenticavo da tutta la sera.
Di nuovo rise.
"Non dovete preoccuparvi Emma. Non siete l'unica a svolgere il lavoro che so che state facendo stasera."
Sbiancai. Ma poi ricordai.
C'era un signore all'entrata vicino ad Alice e fino a quel momento non ci avevo fatto caso, ma era sorprendentemente simile a colui che si stagliava davanti a me.
Ricordai anche la mazzetta che aveva lasciato ad Alice, una sorta di acconto, qualcosa di schifoso.
Indietreggiai leggermente, facendo finta di stringermi nella pelliccia.
"Non so di cosa stiate parlando" mentii. La prima regola era di non far saltare la copertura.
"davvero?" si avvicinò fin troppo, troppo per i miei gusti. "eppure ripeto, ricordo ogni singolo volto, ogni singola ragazza venuta sin da bambina a queste feste e lei.." solo quando superò il tavolino nero capì quanto era piccolo lo spazio in cui ci trovavamo e quanto fosse pericoloso che io rimanessi lì. Eppure non sapevo che fare, avevo paura. Finii per indietreggiare ancora di più e le mie spalle avvolte nel caldo pelo nero si scontrarono contro il muro freddo del balcone: avevo finito lo spazio a disposizione. Il signore invece si avvicinava, sempre e sempre di più, fino a quando non mi accarezzò il volto con un dito. Cercai di dimenarmi, ma mi aveva chiusa in uno spazio con le sue braccia che non mi permetteva alcun movimento. "... lei Emma non è uguale a nessuna delle ragazze viste fino ad ora"
"Mi lasci andare!" alzai maggiormente la voce. Mi veniva da vomitare. Il signore mi mise una mano sulla bocca, che ebbi un'istintiva voglia di mordere.
"Non c'è bisogno di arrabbiarsi Emma, ti sto offrendo di venire con me a fine serata e con la tua amica, guadagnereste solo di più". Al dito aveva una fede. Che schifo. I miei mugolii di paura si potevano sentire anche mentre mi teneva tappata la bocca e con le braccia tentavo di liberarmi dalla sua presa. Eppure nulla da fare, rimanevo sua prigioniera.
Non so come ci riuscì ma con una mano cercò di slacciarsi la cintura, mentre con l'altra mi teneva bloccata affinchè né mi potessi muovere né potessi urlare. Fu solo in un istante di sconsideratezza che tolse la mano dalla mia bocca e io la usai per urlare.
Tutto accadde molto velocemente: gli occhi del signore diventarono ancora più rabbiosi e neri di quanto già normalmente non lo fossero e la sua mano si mosse velocemente, tirandomi uno schiaffo. Io battei la testa contro la balaustra e per un attimo fui convinta di svenire. Mi accasciai a terra mentre il signore ancora cercava di prepararsi per fare di me ciò che voleva. Una lacrima silenziosa solcò il mio viso: ero abbastanza convinta che non sarebbe andata a finire bene.
I miei urli però avevano attirato qualcuno, in quanto, dal nulla, la porta finestra si aprì e arrivò sul balcone un ragazzo, che a primo impatto mi sembrò Gabriele. Cercai di pulirmi gli occhi dalle lacrime e mettere a fuoco la figura: era molto simile a Gabriele, in quanto capelli e statura lo ricordavano, nella sua prepotenza e statuaria, ma la barba era leggermente sfatta e gli occhi erano scuri e non riflettevano la chiara luce della luna.
"Che cosa sta succedendo qui signor Savelli?" tuonò la sua voce.
Quello che a quanto pare era il signor Savelli era stato colto sul fatto. Io ero ancora però incapace di muovermi. Il signor Savelli rise, con la stessa risata che mi diede prima che io scoprissi che razza di uomo fosse.
"Edoardo, calmati. La signorina qui si era sentita male e attaccandosi alla mia cintura l'ha sfilata" si mise in sesto e si tolse la polvere dai vestiti, sempre sogghignando. Io spalancai gli occhi, esterrefatta. "Di a tuo fratello la prossima volta di scegliersi le sue ragazze con un po' più attenzione, almeno capaci fisicamente" sottolineò ragazze con tono sprezzante, cercando di far capire ad Edoardo cosa intendesse. Io mi soffermai invece sulle parole del signor Savelli. Fratelli? Possibile che avessi letto così male il fascicolo di Gabriele da non aver colto l'esistenza di un fratello? Si era possibile e ciò era anche testimoniato dal fatto che guardandoli bene la somiglianza tra i due era davvero incredibile. La mascella pronunciata di Edoardo si contrasse, comunque, davanti alle parole del Signor Savelli. Forse aveva capito tutto.
Nuovamente, successe tutto in pochi istanti: Edoardo ruggì delle parole che inizialmente parvero non aver senso a me, urtò il tavolino che cadde a pochi metri da dove giacevo io e con un braccio spinse la testa del signor Savelli contro la balaustra. "A me non sembra proprio che la ragazza di mio fratello sia caduta, sa?" gli ruggì contro, per poi tirargli un pugno sul volto

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 14, 2022 ⏰

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