CAPITOLO PRIMO

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Poniamo, per un motivo che non è necessario specificare, un filo di spago ben teso a unire la Terra alla Luna. E poniamo anche una persona qualunque che, sulla Terra, si trovi a passare accanto a questo filo.  Qualcuno potrebbe chiedersi, senza tanta concentrazione, cosa potrebbe accadere sulla luna se una Persona Qualunque cominciasse a strattonare lo spago.  Il filo si staccherebbe dalla sua superficie, probabilmente, e nello stesso momento in cui la Persona Qualunque ha cominciato a strattonarlo. La conclusione non ci porta a dire che un filo di spago è più veloce della luce, ma che lo è un altro tipo ancora di energia che lo percorre.

La stessa energia con cui una falena muoveva e si massacrava le ali sbattendo a ripetizione contro qualsiasi fonte di luce le capitasse a tiro. Come, ad esempio, la lampadina traballante che qualcuno si accorse di aver lasciato accesa in uno sgabuzzino. Oppure come tutti i lampadari che percorrevano il corridoio in cui la falena fu costretta a svolazzare subito dopo.

Prese a rimbalzare di luce in luce in preda all'ebbrezza, fin quando non si spalancarono le porte di ciò che di più bello avesse visto nella sua breve vita: luci di ogni colore, luci al neon, luci sgargianti e intermittenti. Oramai ubriaco, l'insetto si lasciò guidare dai fotoni prima sulla parete a destra, poi in alto, quindi a sinistra. Infine si acquietò in un punto luminoso, ma non troppo, che trovò particolarmente confortevole. Poco le importava delle figure che ogni tre o quattro secondi si muovevano ad alta velocità sotto di lei.

Della stessa energia che potrebbe percorrere il filo di spago a una velocità superiore a quella della luce e della stessa che faceva volare la falena, usufruiva un giovane uomo che da due ore circa si stava accanendo contro una slot machine. Guardò i pochi soldi che gli rimanevano nel palmo e la falena che si era piazzata fra lui e il suo assurdo piano per diventare milionario. Per qualche strana ragione, quel patetico insetto sciupato gli fece venire sete e così decise di comprare un paio di birre: un investimento ben più proficuo rispetto a delle ore passate davanti a una macchinetta che si abbeverava di soldi altrui senza mai ricambiare il favore. La salutò con un leggero calcio, non voleva dare troppo nell'occhio ma nemmeno che quella profittatrice la passasse del tutto liscia.

Con una bottiglia quasi vuota e una ancora da aprire, si diresse verso la spiaggia. Guardandosi il polso constatò che erano solo le ventidue.

Ingurgitò il restante contenuto della prima bottiglia e la gettò sulla sabbia, l'avrebbe raccolta prima di andare via. Forse. Con la bocca piena di birra, meditò sul tornare a casa e su quale film guardare disteso sul divano. Anche se con ogni probabilità si sarebbe addormentato subito, la monotonia era piuttosto stancante e cuscini talmente comodi.

«Che vita banale», bisbigliò alla risacca.

Con altre abbondanti sorsate, rimuginò ora su cosa avesse avuto più dignità fare: se terminarla lì in compagnia delle stelle e del mare, quella giornata inutile, oppure assieme a qualche vecchietto con la faccia rossa e le carte in mano intento a riempire di schiamazzi il bar dove lui, Adriano Ferrari, era solito andare a bere birra, tè, cappuccino e mangiare panini. Il caffè no, riteneva che fosse meglio non berlo prima dei quaranta anni. Chissà, forse fra cinque avrebbe allora iniziato.

Scelse di restare in solitudine sulla spiaggia, un po' perché era una di quelle giornate in cui provava un'antipatia generale per due terzi degli esseri umani e schifo per il rimanente un terzo - a parte rare eccezioni-, ma soprattutto perché aveva quasi finito i soldi in tasca.

Si sedette a terra e alzò lo sguardo, di sicuro ognuna di quelle stelle che riusciva a vedere aveva un nome. Ridacchiò tra sé e sé pensando a quelli che se li erano imparati tutti, poi si fece serio rendendosi conto che lui, in compenso, non sapeva riconoscere nemmeno una banale costellazione o capire quale fosse il nord e quale il sud.

«Io in questo mondo non ci voglio più stare.» Continuò a bere.

Ultimamente aveva iniziato a desiderare una vita da eremita, ma sapeva fin troppo bene che non ce l'avrebbe mai fatta a vivere in una solitudine assoluta. Non amava la sua vita, la gente che lo circondava, il luogo dove viveva.  Ma nemmeno li disprezzava. Era indeciso. Forse detestava solo se stesso? Non poteva essere, no, non era lui il problema.  Magari il cibo, è sempre colpa di ciò che si mangia e di cosa si respira. Aveva sentito dire così una volta, in qualche programma tv. 

Infine terminò il suo sproloquio mentale con un «Alieni, pigliatemi!» gridato al cielo e un confuso chiacchiericcio al bancone del bar «... Che poi, dico, la gente va a piagnucolare in televisione di essere stata rapita dagli alieni. Perché non prendono me? Io sarei disponibile, non mi lamenterei». Mentre l'uomo grassoccio al suo fianco si limitava ad annuire e a fissare con gli occhi sgranati un bicchiere vuoto di fronte a sé. Per di più Adriano non poté far niente per evitare, poi, le risatine e le sgomitate di tutto il paese al suo passaggio. Andarono avanti per circa un mese, ma la cosa non lo turbò più di tanto. 

"Se ciò li fa divertire, che si divertano con poco", pensava. 


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