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Quando la tua anima è pronta,
Lo sono anche le cose.

William Shakespeare


«Assurdo.» Camilla addentò il suo hamburger strappando un morso dal panino, dopo aver sorriso al racconto che io e Mitch le avevamo descritto.
Deglutì e riprese a parlare. «È assurdo che tu ti sia fatta insegnare l'italiano da un madrelingua inglese.» Rise inzuppando nella maionese una patatina svogliatamente, rigirandola nel contenitore della salsa con fare riflessivo.
Quel giorno portava i capelli raccolti con un mollettone e delle ciocche bionde le ricadevano sul volto. Era struccata e stanca per una pessima nottata passata in clinica a calmare gli attacchi d'ira di una giovane paziente.
Mitch si voltò verso di me e con un cenno del capo e tanta falsa criticità indicò Camilla. «Ѐ davvero la migliore delle tue amiche?»
Camilla sbuffò e si finse offesa. «Siete voi che mi avete chiesto di pranzare con me. Sfottermi è controproducente se volete che psicanalizzi il vostro caro avvocatino.»
Mitch alzò le mani arrendendosi, e poi si consolò dalla sconfitta mordendo il panino. Mimò la chiusura di una cerniera lampo sulle sue labbra e zitto attese che la specialista della situazione parlasse.
«Credo che lo faccia con tutti quelli con i quali pensa di avere una posizione superiore.» Gesticolò con grazia. «Sa come entrare nella mente di una persona e sfrutta le sue capacità.»
«Ma dai? Non l'avevamo capito.» Mitch ironizzò sfottendola, e lei lo liquidò con un gesto della mano, riprendendo il suo discorso. «Non mi hai detto niente del suo carattere, eppure scommetto sia definito da rigidità, con un forte bisogno di imporre la propria opinione, e un forte controllo, sia delle sue emozioni, che delle tue.» Mangiò una patatina. «E scommetto ti chiami spesso per nome, ti faccia spesso domande alle quali si risponde da solo e che ti imponga la sua autorità ponendosi ad un livello superiore del tuo.»
Annuii, lei continuò a spiegare sistemandosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio. «Ѐ bravo con le parole, e te l'ha sbattuto in faccia questa mattina, con paroloni impegnati che ostentano la sua cultura. Inoltre, tende a dominare su di te, sottomettendoti, e poi ti provoca fino a portarti all'esaurimento, che è un'altra pratica di manipolazione.»
Imbambolata mordicchiai la cannuccia della mia Coca Cola senza berne nemmeno un sorso. «E questa è una cosa grave?»
Mitch sospirò adagiandosi allo schienale della sedia. «Io ho capito che Camilla è una donna con grandi capacità comunicative che talvolta stordiscono, ma tu hai appena fatto una domanda che mette in grande dubbio la tua intelligenza.»
Camilla lo fulminò con lo sguardo e lui fece roteare gli occhi seccato, incrociò le braccia al petto e mise il broncio, da bravo uomo maturo che era.
Gli occhi ambrati della bionda tornarono su di me, mi sorrise come a intimarmi di ignorare Mitch e mi rispose. «Non è grave se tu continuerai a resistere al suo soggiogamento.»
Lui intervenne ancora. «Forse non ti è chiaro, mia cara, ma Anastasia non sa resistergli. Non ha resistito a niente di ciò che lui le ha imposto.»
«Sei esagerato Mitchell.»
Mitch trattenne il nervoso per il nome intero che odiava e ignorò la provocazione di Camilla. «Non sono esagerato, dico quello che è vero. Si è lasciata sottomettere, è stata al suo gioco e quando ha cercato di ribellarsi lui l'ha rimessa al suo posto dimostrandole di essere superiore a lei», disse accartocciando un tovagliolo e tirandolo nell'involucro di un hamburger nel vassoio. «L'ha confusa con tutti i suoi giri di parolone impegnate e le ha imposto la sua disciplina distorta umiliandola e portandola a stare al suo punto di vista. Stando ai tuoi sproloqui da donna studiata ha reagito come lui avrebbe voluto a due delle pratiche di manipolazione.» Sospirò. «E poi è impazzita, si è messa sulla difensiva dimostrandogli di essere riuscito a portarla all'esasperazione.» Prese un sorso d'aranciata e alzò tre dita. Quando deglutì si appoggiò con i gomiti al tavolo e si sporse verso Camilla. «Ha risposto in maniera positiva anche al terzo punto da te elencato, quindi.» Mitch mi indicò. «Chiedilo a lei se non mi credi.»
Mi trovai il cristallo degli occhi di lui e l'ambra di quelli di lei addosso mentre io, da brava innocente, continuavo a giocherellare con i denti sulla cannuccia del bicchierone della Coca Cola, bevendo di tanto in tanto un sorsetto. Li vidi fissarmi con insistenza in attesa di una risposta.
«Allora?»
Staccai le labbra dalla cannuccia. «A me fanno paura questi discorsi.» Sospirai e mi rivolsi a Camilla. «E credo che tu sia una manipolatrice, comunque.»
Mitch scoppiò a ridere di fronte all'espressione esterrefatta della nostra amica, e imperterrito non mancò all'occasione di punzecchiarla.
«Ora, fenomeno, che altro monologo ci farai?»
Ed ecco a voi Mitchell Reed, da tutti conosciuto come Mitch. Ventisei anni, e originario da nientepopodimeno di Washington DC, moro, con una corta barba curata, dagli occhi di ghiaccio con dei zaffiri incastonati, il fascino dello straniero e la spiccata simpatia, che attraeva a sé le donne che prontamente venivano allontanate non appena lui mostrava loro la fede che portava all'anulare da appena un paio d'anni, e che usava la sua carta dell'ironia contro la nostra amica.
«A questo punto, dobbiamo aiutare la vittima ad uscire dalla manipolazione.» Camilla tentò di recuperare. «E questo significa cercare di contrastare la tua spiccata capacità di empatia, e eventuali desideri di approvazione e rapporti intensi.»
Mitch la schernì. «Ѐ normale che se le parli così si spaventa.»
Lei finse un sorriso. «Dobbiamo farlo uscire dalla sua testa, va meglio così, Reed?»
«No, nella sua testa non ci deve proprio stare.»
«Devi sempre avere l'ultima parola?»
Mitch si piegò in avanti verso di lei, le andò a pochi centimetri dal volto e le indicò le proprie labbra, attirando completamente l'attenzione della bionda: «mira mi boca», e poi le disse, a bassa voce e ostentando il labiale «quanto ti rode, da uno a dieci, avermi tra le palle?»
Quei due erano così, sempre a provocarsi l'uno con l'altro. Li avevo fatti conoscere io quando ancora frequentavo il mio primo anno di università e lui mi dava una mano con lo studio per prepararmi agli ultimi esami.
Lui giocava la sua ironia pungente, lei non voleva essere da meno, ed io mi divertivo a vederli litigare e sfottersi come due ragazzini.
Eppure, mai una volta sono stati indifferenti ai problemi dell'altro che a modo loro tentavano di aiutare a risolvere, spesso, aggravandone la gravità, ma ridendoci sopra.
«Non meriti che io rosichi per te, Mitchell.»
Appurato che l'avvocato Alexander Aaron Rivera fosse un ottimo illusionista, o come la mia amica l'aveva chiamato, manipolatore, ed io la vittima perfetta, avevo insistito per parlare con Camilla e Mitch anche nel pomeriggio.
A mio discapito, loro due erano gli unici amici che avessi avuto in quel periodo, e avrei dovuto sopportare le loro discussioni se avessi voluto dei consigli e avessi avuto bisogno di parlare con qualcuno senza allarmare la mia famiglia, che già pativa la mia distanza.
Seduti sul comodo divano del mio bilocale, comodo soprattutto perché preso a metà prezzo, avevamo chiarito le caratteristiche della vittima, cioè io, e avevamo ampliato il disegno della figura del manipolatore, ovvero l'avvocato Rivera.
Tutto ciò che avrei dovuto fare era tentare di trovare la stessa sua freddezza, prendere consapevolezza dei segnali che il mio corpo mi mandava e di ogni mia sensazione; senza liquidarla e fare come se non fosse mai esistita, ma anzi accogliendola, elaborandola e comprendendola, poiché il mio corpo sapeva riconoscere prima di me le situazioni di pericolo.
Adesso sapevo cosa lui stava cercando di fare, sapevo come funzionasse la manipolazione e avevo la presunzione di sapere come porre resistenza al suo volere e come tenerlo fuori dalla mia mente, ma non sapevo quando l'avrei rivisto, particolare che lasciava una grande lacuna nel nostro piano quasi infallibile.
L'avvocato Valentini, il responsabile legale della azienda che aveva lasciato la delega ad Alexander, restava nell'ufficio all'interno dell'azienda ogni mattina, ma Rivera, che aveva una carriera da portare avanti, dei clienti da difendere e delle udienze in cui rappresentarli, non poteva di certo permettersi di perdere ogni mattina a svolgere un lavoro per il quale era semplicemente stato delegato da un collega andato in malattia improvvisa.
Tutto mi sembrava sotto controllo, quindi, ma l'incognita del giorno in cui l'avrei rivisto mi toglieva sicurezza. Se mi fosse capitato di fronte ed io non fossi stata pronta, forse non gli sarebbe risultato difficile soggiogarmi e ottenere il pieno controllo della mia mente.
Ma ve ne prego, soffermiamoci per un secondo sul verbo che ho appena utilizzato e che nelle pagine precedenti è già apparso: soggiogare.
Tengo che sia ben chiaro il significato di questa parola, in quanto strettamente legata a qualsiasi cosa ci fosse stata tra me e il mio aguzzino.
La parola deriva dal latino subiugare, e il suo significato è quello di sottomettere con la forza al proprio dominio, piegare alla propria volontà e dominare esercitando un'irresistibile influenza con mezzi che limitano gravemente la libera volontà.
Ecco dunque, quello che Alexander Aaron Rivera faceva su di me, o ancora peggio, ciò che io gli permettevo di fare con un semplice sguardo, un tono di voce, un gesto o con il suo odore.


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