STANZA BIANCA

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| BUCKY POV

Stanza numero 317.

Me la ero tatuata in testa; quella era la sua stanza di ricovero, ma la mia porta verso l'inferno.

Sapevo che Isabel era forte quando era in guerra, questo pensiero mi aiutò a tenermi sveglio in sala d'attesa nonostante fosse mezzanotte passata.

Mi passarono di fronte barelle, medici con cartelle in mano, persone in lacrime e chi invece gioiva dopo essere stato dimesso, c'era chi si sedeva di fianco a me in silenzio senza neanche chiedere se fosse occupato. L'ansia per me era straziante: nessuno mi degnò di uno straccio di notizia... e questo mi spezzava. Non avevo nessuno su cui fare affidamento, inoltre non potevo avvisare nessuno dato che non c'era campo in ospedale. Poi vidi entrare cinque infermiere in fretta nella stanza, l'aria intorno a me iniziò a sapere solo di preoccupazione e ansia.

"Barnes," mi domandò una dottoressa uscendo dalla piccola sala dove giaceva Isabel. "è lei, vero?" Vidi l'uniforme bianca, un blocco in mano e il volto stanco - probabilmente lavorava da poco e ancora non si era abituata ai lunghi turni notturni.

"Si." Risposi cercando di riprendermi dall'ansia.

"Prego, mi segua."

Mi incitò con un lieve sorriso, da quello intuì che stesse bene, che lei ce l'aveva fatta... come sempre. Trascinai lentamente i piedi lungo i corridoi bianchi e inquietanti mentre la ragazza mi disse che potevo entrare, non sapevo perché ma esitai nel tirare giù la maniglia e varcare la porta.

Sentii il groppo in gola annodarsi sempre di più mentre emisi un sospiro d'incoraggiamento.

"La sta aspettando, se fossi in lei... andrei."

Mormorò l'infermiera nel vedermi titubante, sentii un tremolio nella sua voce, un tono di paura.

Sa chi sei. Sa chi sei. Sa chi sei.

"Posso farcela."

Sussurrai aprendo la porta e lei era lì. Stesa, con gli occhi socchiusi, un ago nel braccio destro, due nel sinistro e un sorriso sforzato e molto stanco sul viso.

"Sei rimasto, ancora una volta."

"Lo facevo e lo farò sempre."

Restare, perseverare, non cedere.

I suoi occhi, rigidi come l'inverno, mi invitarono a sedermi accanto a lei. Mi accomodai su una poltroncina piuttosto scomoda, ma ero così preso dalle preoccupazioni che non me ne curai.

"Probabilmente devo aspettare altre due notti, forse tre, prima che mi dimettano," mi disse, rompendo quel silenzio opprimente.

"È una notizia grandiosa!" esclamai, desiderando abbracciarla, ma sapevo che avrei potuto farle male, era in un momento troppo vulnerabile, e lo notai quando i suoi occhi si velarono di lacrime.

"Ancora non riesco a crederci."

"Piccola peste..." I suoi tratti caldi vennero oscurati dalla gravità del dolore. La sensazione di terrore mi percorse la spina dorsale, mi sentivo impotente in quella situazione.

"Sono... sono solo stanca, forse è solo colpa di tutto il sangue che mi hanno tolto," poi cercò di alleggerire la tensione con un sospiro, ma riconobbe quanto fosse difficile. Cerca di confidarsi con me, di condividere i suoi sentimenti con un'altra persona, ed io semplicemente la ascoltai, senza dire una parola. "L'ha baciata, solo ed esclusivamente per vendetta."

Non riguardava il sangue, neanche la malattia, riguardava solo lui e la sua necessità di andare sempre avanti: nel bene e nel male.

Sputò fuori quella frase con decisione, come se fosse un fuoco dentro di lei, poi scoppiò in un pianto straziante.

Non era così forte da poter trattenere tutto quel dolore, ma riconobbi la sua forza nel fatto che continuò a parlarne, e riconobbi quanto fosse forte ripensando a come aveva superato il lungo intervento.

Vidi la paura nei suoi occhi, la paura di ciò che il giorno successivo avrebbe potuto portare, e permisi alle sue lacrime di scorre sulle guance candidi fino a raggiungere il letto.

"Hai un piano, lo vedo."

"Se te lo dico, penseresti che sono pazza."

Mi rispose, asciugando con lentezza le ultime gocce di dolore dagli occhi.

"Solo le cose più folli sono realizzabili in questo mondo."

"L'istinto mi dice di ucciderla." Deglutii sentendo quella frase. "Ma prima voglio solo uscire da qui e godermi la bella stagione." Aspettai in silenzio. "Mi manca, James."

Sospirai e le presi la mano, non sapendo come rispondere a quella sua affermazione. La ascoltai in silenzio mentre i suoi singhiozzi cercavano di nascondersi.

"Mi dispiace."

Potevo dire solo questo.

"Solitamente non ci sono problemi, perché dovrebbero esserci oggi?"

Lei cercò di essere ottimista, come sempre. Aveva sempre avuto la particolare dote nel vedere la luce anche nei momenti più bui.

"Giusto."

"Eppure, oggi sento che faceva tutto schifo."

Borbottò emettendo un sussulto di dolore non appena cercò di tirarsi di poco su con il busto.

"Giusto."

𝐒𝐇𝐄 | laufeyson.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora