“Anche un pacchetto di quelle grazie.”
“Queste?”
“Sì quelle.”
Tommaso posò sul bancone il pacchetto di corde Augustin per chitarra classica e fece il conto sulla calcolatrice: quattro plettri, uno spartito di Segovia, una pinza, un cavalletto, un ponte in osso e le corde.
“Fanno 48 euro e 60 centesimi.”
Il cliente poggiò 50 euro sul posacenere della coca cola che fungeva da poggia-resto, Tommaso li prese e diede due euro di resto.
“Va bene 48.”
“Oh, grazie. Ci vediamo presto allora! Buon pomeriggio.”
“Buon pomeriggio a lei.”
Il grande e grosso Tommaso si sedette sullo sgabello nero dietro la cassa e cominciò a sfogliare “Chitarre”, nota rivista per chitarristi. Tommaso aveva una barba folta e scura, gli occhi neri e pesava circa centocinquanta chili. Inoltre non era un gran musicista, si limitava a vendere strumenti e strimpellare ogni tanto qualche pezzo dei Dream Theater.
Ormai erano sette anni che era chiuso in quel buco di negozio; aveva raggiunto quella situazione emotiva tra l’apatia, la tristezza e il cinismo, che non gli permetteva di voltare pagina. Una mattina si svegliava con l’idea di licenziarsi e iscriversi al conservatorio e un’altra con il desiderio di trovare una donna che gli volesse bene e mettere su famiglia, anche se non credeva possibile quest’ultima possibilità.
Un giorno qualunque, mentre il buon Tommaso cambiava le corde a un ukulele di seconda mano, arrivò Andrea. Una ragazza bellissima, era alta almeno un metro e settanta, capelli neri e folti, con tanti boccoli che le ricoprivano la testa, un rossetto vibrante e due occhi che fermavano il tempo. Non c’è molto da dire sul corpo se non che non aveva nulla da invidiare alle modelle che posano per note marche di intimo. Vestiva con una gonna a coste con colori scozzesi e un top nero senza spalline.
Tommaso ebbe una lieve fascicolazione all’occhio sinistro e non si rese conto che si era dimenticato di respirare. Quando lei incontrò il suo sguardo lui si spaventò e sgranò gli occhi, come se fosse stato scoperto in un atto riprovevole.
“Mi serve un sassofono.”
“Bu… buongio… sì… u… sì un sa… sì.”
“Tutto ok bestione?”
Tommaso restò sbigottito al sentirsi chiamare così, per quanto bella fuori dal limite del concepibile non poteva davvero aver detto così. Corrugò la fronte e assunse un’espressione truce e minacciosa, anche se poco credibile.
“Non prendertela dai! Tanto lo sai che sei obeso, il non dirtelo non cambia le cose. Sei un grassone. Ora veniamo a noi, ce l’hai o no un sassofono? Oh, sì ne vedo uno lassù.”
“Lei… lei non puà pa… parla…”
“Il mio nome è Andrea – gli porse la mano come per farsela stringere – e tu sei sconvolto dalla mia bellezza e dai miei modi poco educati. – Lui ipnotizzato la strinse - Mi stai anche giudicando per i miei modi bruschi, è ovvio. Se posso permettermi però ti dico che sbagli a prendertela, io non lo faccio con cattiveria, semplicemente credo che far finta che la realtà non esista sia idiota. Anche io ho i miei difetti sai? – Si sedette sullo sgabello alto dall’altra parte della cassa rispetto a quello di Tommaso – Per esempio non so trattenermi dal ruttare, dico davvero. Poi vediamo, ho le gambe storte, le ginocchia grosse, i denti gialli, le sopracciglia troppo folte, i capelli crespi…”
Nessuna di queste cose era minimamente vera, almeno oggettivamente, ma per Andrea era così davvero e quando Tommaso si rese conto che parlava sul serio, che pensava davvero quello che diceva, smise di avere quello sguardo arcigno e si ammorbidì.
“Mh… Ok, ammetterai però che… che sei strana?”
“Oh sì, più di quanto pensi.”
“Che sassofono ti… che sassofono ti serve?”
“In realtà nessun sassofono.”
“Come?”
“Sono qui solo perché volevo conoscerti.”
Ci fu qualche secondo di silenzio, intanto il bastoncino d’incenso sul mobile accanto alla vetrina si esaurì
“Perché mi guardi così? Un mio amico è venuto qui un paio di settimane fa e mi ha parlato di te, raccontandomi di quanto sei simpatico e gentile. Ovviamente mi ha detto che eri grosso come una balena, così ero curiosa e sono passata.”
Tommaso era visibilmente scosso da questa situazione assurda. Erano da soli nel negozio e non capiva se fosse tutto una sua fantasia o se la ragazza era davvero pazza e gli stava parlando in quel modo.
“Ti vedo sconvolto, non pensavo avresti avuto questa reazione. Di solito quando la gente mi conosce sembra felice, mi sorride e ammicca. Ma forse tu hai altri gusti.”
Si alzò in piedi e saltellando su quelle scarpe col tacco che la portavano a essere alta quasi un metro e ottanta fece un giro del negozio. Tommaso non poteva impedire ai suoi occhi di fissare le gambe di quella gazzella in forma umana, la gonnellina si alzava un poco a ogni suo passo e Tommaso volava con l’immaginazione.
“Senti, parlami un po’ di te. Dimmi almeno come ti chiami, io sono Andrea, te l’ho detto.”
“O… Ok…” e smettila di balbettare! Pensò fra se Tommaso “Ehm, io sono Tommaso.”
“Evviva, almeno ora so con chi sto parlando. Non sei più ‘il tipo del negozio’, e dimmi, a parte stare dieci ore al giorno in questo buco con le ragnatele fai qualcosa? Non dirmi che fai sport perché non sei credibile.”
I modi di Andrea sembravano meno violenti alle orecchie di Tommaso adesso, era come se si stesse abituando
“Beh, io… io suono.”
“Suoni eh?“
“Sì, la chitarra.”
“Allora perché non mi fai sentire qualche pezzo? Nulla di triste per favore.”
Tommaso esitò per un attimo, poi si decise, pensò che era giunto il momento di dimostrare qualcosa a se stesso e non solo, che anche se era obeso e timido poteva farcela, che a volte l’aspetto non conta, che la vita a volte riserva sorprese e che i treni passano per tutti. Prese la Les Paul color argento e iniziò ad accordarla.
“Che lagna!” Disse lei sbuffando.
“Un attimo, devo accordarla!”
“Quali sono gli strumenti migliori?”
“Beh se parliamo di chitarre” intanto girava le chiavi sulla paletta della Gibson per portare il mi cantino sulla giusta frequenza “la migliore è quella semiacustica appesa alla parete. Non è in vendita però, è del capo, l’ha presa a un’asta. Dice che l’ha usata BB King in persona, effettivamente l’ho fatta valutare da un amico e pare abbia un bel valore.”
“Capisco. Allora, cosa mi suoni?”
“Ancora un attimo… ok. Ti posso suonare un blues.”
“Che Blues sia. Nulla di triste però.”
Blues. Il blues ha dentro di se la parola stessa della tristezza: blue. Il blues è fatto di “blue note”, cioè note che danno una sensazione di angoscia e tristezza, impongono uno stare sovrappensiero e un’aria trasognante, ma soprattutto malinconica. Per quanto si esegua un ritmo allegro un blues è pur sempre un blues.
Tommaso era impegnato in un’improvvisazione veloce ma poco melodica. Cominciava a sciogliersi, le mani iniziavano ad essere calde, stava per sentirsi un tutt’uno con lo strumento, come quando suonava da solo. Non si accorse infatti della pallottola che gli stava perforando il cranio. E quindi nemmeno di Andrea che andava dietro la cassa a prelevarne il contenuto e infilarlo nel top. La ragazza andò verso la Gibson del ‘75, quella di cui gli aveva appena parlato Tommaso. Con un saltino la staccò dal supporto e prima di uscire dal negozio disse
“Te l’avevo detto di non suonare nulla di triste, grassone.”