La mattina seguente mi svegliai all'alba. La sera precedente non avevo dormito, il pensiero di ospitare uno sconosciuto in casa mi rendeva agitata e non poco. Finii di prepararmi e spruzzai del leggero profumo che era tutto tranne che leggero perché riempì in due secondi la stanza. Misi i tacchi e sistemai il vestito con ricami argentati. Troppo esagerato? Forse, ma a me non interessava, a lavoro andavo quasi in pigiama e alle interviste di certo non potevo andare in quel modo. E questi vestiti erano ancora col cartellino perciò prima o poi li avrei dovuti usare.
Vacillai se bussare alla porta di Valentín o meno per avvisarlo che stavo uscendo ma decisi di non fare niente e scendere in cucina. Tra un'ora sarei dovuta arrivare nel mio studio e scommetto che Hideo lo aveva sistemato e pulito come un gioiellino. Ho sempre pensato che soffrisse di misofobia ma forse era una mia paranoia. Mi preparai un po' di caffè e qualche fetta biscottata con la marmellata, tutto questo in meno di dieci minuti. Ero insicura se andarmene e lasciare Valentín da solo nella mia casa oppure portarlo con me. Non avrebbe trovato un vero divertimento rintanato dentro queste quattro mura. Le porte erano chiuse a chiave e le chiavi le avevo nascoste dentro una mattonella fuori al balcone sotto un vaso. L'altra ala della casa era completamente bruciata, era rimasta solo della cenere e qualche pezzo di legno intatto. Non gli conveniva avventurarsi da quella parte se non avesse voluto prendersi le peggio malattie, ma alla fine a me che interessava di quello che faceva, tanto oggi se ne sarebbe andato, lo aveva detto anche lui. Proprio per questo motivo salii e lo andai a svegliare. Bussai più volte ma nessuno pareva rispondere. Il cuore aumentò i battiti senza il mio consenso e continuai a bussare insistentemente. Nella mia mente, un flashback: Gennaio di otto anni fa, la neve scendeva leggiadra senza disturbare neanche un fiore e papà stava picchiando mamma con un attrezzo di metallo. Sentivo le urla strazianti e dolorose di mamma che piangeva, convincendolo a fermarsi. Kate aveva avuto un'altra ricaduta e a papà non andava a genio. <<Avremmo dovuto mandarla via quando ne avevamo l'opportunità. Stava piangendo come una forsennata e ha fatto infastidire i nostri più grandi ospiti. Cosa faremo quando gli assistenti sociali vedranno una figlia del genere? Finiremo su tutti i giornali e perderemo tutto! Porta il suo culo via da qui e con lei sparisci anche tu!>> Urlava così forte che tutti i parenti aprirono le loro porte delle camere e si diressero fuori il corridoio. Li guardai con le lacrime agli occhi, incapace di pronunciare parola. Tra di loro non erano presenti mia sorella e i miei fratelli, non seppi neanche che fine avesse fatto Kate. Mia zia si avvicinò silenziosamente verso di me, senza fare rumore perché sapeva che se mio padre ci avesse beccato ad origliare le avrebbe date anche a noi. Mi portò via da quella porta e mi fece scendere al piano di sotto. Scendevo attentamente le scale, da quando Philip mi aveva buttato giù per scherzo ne avevo il terrore. Non riuscivo a percorrerle senza una persona al mio fianco e la signora Ward non mi aiutava con le sue sedute da strizza cervelli. <<Guarda chi ce>> disse mia zia indicando un punto davanti a me. Una figura si era manifestata all'orizzonte ma a causa della luce non riuscivo ad inquadrare chi fosse. Poi la luce man mano scomparì e vidi Jake che mi sorrideva con un mazzo di fiori in mano. <<Le ho raccolte per te! Le tue preferite! Le nebbioline!>>
Quel silenzio fu così straziante per me. Perché Valentín non risponde? Continuai a bussare fin quando non decisi di aprire la porta con la forza. La stanza era vuota, il bagno anche. Il letto era sistemato come se non avesse mai dormito nessuno e la finestra era chiusa. Se Valentín se n'era andato, io non lo avevo minimamente sentito. Mi sedetti sul letto e guardai ogni angolo della stanza in cerca di qualche sua dimenticanza che avesse potuto aiutarmi. Una goccia d'acqua bagnò il mio vestito e alzai gli occhi curiosa di dove potesse cadere. L'acqua cadeva dalla mia fronte che era imperlata di sudore e solo quando passai la mano su di essa me ne resi conto. Avevo sudato freddo senza accorgermene. Dannati traumi che mi perseguitano. Sarà stata la tredicesima volta che mi accadeva. Portavo il conto di quante volte si manifestassero quelle orribili scene durate il giorno. Avevo capito che nella stanza di Valentín lui non c'era  e che era andato via questa mattina presto, se non la notte. Mi chiesi da dove fosse uscito visto che il portone di ingresso era chiuso a chiave che tenevo io sotto il cuscino e le finestre erano troppo alte per lui che soffriva di vertigini. I dubbi si fecero sempre più grandi e la diffidenza nei suoi confronti crebbe esponenzialmente. Se era andato via, sicuramente doveva aver scassinato il portone d'ingresso, come poteva averlo anche fatto ieri. Se la storia della porta aperta era tutta una bugia, lo avrei scoperto.  Buttai lo sguardo sul mio orologio e mi sbrigai a chiudere la sua camera e a dirigermi verso la macchina. Tra non meno di quaranta minuti mi sarei dovuta fatta trovare pronta nel mio studio e il tempo sembrava esser passato così in fretta che era difficile pensare che fosse già trascorsa un'ora. Durante il tragitto ripetei nella mente almeno una ventina di volte il flashback del giorno per non dimenticarmelo. Per il momento me lo sarei appuntato sulle note del telefonino e quando sarei ritornata a casa lo avrei trascritto sul taccuino nascosto nell'armadio. Parcheggiai davanti l'ascensore e corsi sopra. Dal corridoio udivo le voci di Hideo e se non erravo anche di Diana. Solo a sentire il suo tono starnazzante e vanitoso mi veniva voglia di togliermi i tacchi e buttarglieli appresso. Un'entrata principesca, solo per informarla del mio arrivo. Li raggiunsi con un sorriso che partiva da un lato e finiva dall'altro solo per infastidire la mia collega che mi teneva gli occhi addosso come un avvoltoio, pronta a deridermi se avessi sbagliato. 
<<Buongiorno Hideo, la giornalista è qui?>> Chiesi prendendo una bustina di zucchero con dell'acqua, rituale che facevo prima di ogni intervista di buon augurio.
<<Il giornalista ti sta aspettando, mancano cinque minuti all'inizio, potresti anticiparti e andare a salutarlo>> ingoiai sia lo zucchero che l'acqua in un boccone solo e annuii concordando con lui. Quindi è maschio.
<<Sai per chi lavora?>>
<<Per la KEGI News, dovrebbe essere abbastanza tranquillo contando che non lavora da molto. Ha ancora il pass come altri trecento apprendisti, tra l'altro. Adesso vai, prima inizi e prima ti sbrighi.>> Negli anni passati non dimenticai solo un viso che mi avesse intervistato. I giornalisti e reporter non erano infiniti come sembrava essere adesso. Percorsi il tragitto dalla cucina nel mio studio ripetendo per un'ultima volta la scena vista in casa ed entrai sfoggiando il mio miglior sorriso al giornalista. Solo quando mi sedetti e potei vederlo in faccia sussultai intirizzita. 
Non lo riconobbi inizialmente dal pregiato tessuto di cui era fatto il suo smoking, né dai capelli tenuti meticolosamente indietro col gel. Per non parlare del profumo che non gli apparteneva; un odore speziato e pesante. Lo avevo già sentito, ma dove?
<<Buongiorno, signorina Gold>> sorrise porgendomi la mano.
<<A lei, Jake Montgomery>> ricambiai stringendola. 

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