È solo l'inizio.

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«Lillyyyyy!!!» Sento urlare dal piano di sopra di casa mia. In questa casa abitiamo solo io e mia madre, per cui per esclusione si può capire che la bellissima voce angelica (adesso no) è quella della mia splendida madre.
«Sì mamma!! Sono pronta!! Mi fai il piacere di riempirmi la bottiglia d'acqua??!» Urlo da camera mia, intenta a rianimarmi il viso, completamente pallido, aggiungendo del blush. Non mi è mai piaciuto mettermi il mascara : se mi prude l'occhio, come dovrei strofinarmelo senza diventare un mostro?
Butto tutto quello che trovo nel borsone: deodorante, asciugamano, il mio amato labello alla ciliegia, cuffie, elastici e chi ne ha più ne metta.
Mi ricontrollo per l'ultima volta allo specchio, vedendo riflessa per la prima volta la me che indossa un completo sportivo.
Non si è ancora capito? È il mio primo giorno di palestra.
Banale no? Per me no. È un nuovo capitolo, andare in palestra non significa andarci e fare qualche banale esercizietto, bisogna prepararsi al cambiamento.
Devo essere sincera, il mio corpo è senza infamia e senza lode.
Non sono grassa, non sono snella.
Non sono in sovrappeso, sono al limite del "normale".
A volte vedo quella ciccia in più, a volte no.
Sinceramente non mi considero brutta, ma forse bella.
Sì sono belli i miei capelli rossi, anzi meglio dire ramati, sì sono belli i miei occhi azzurri dalla forma tonda ma leggermente tirati all'insù, sì è bello pure quel naso dritto, anche se non è all'insù. Sì è bella pure quella pancetta, pure quelle cosce che si toccano leggermente tra loro.
Mentre i miei pensieri viaggiano per la mia mente alla velocità di un mezzo secondo, ritorno alla realtà grazie alla voce stridula (mi dispiace mamma) dell'omonima.
Scendo le scale il più velocemente possibile e con una presa da olimpiadi riesco a prendere la bottiglia azzurra da un litro.
Mi infilo le scarpe delle champions, la giacca, faccio passare prima mia madre ("che gentildonna che sono!") e chiudo la porta.
Mi metto le mie amate cuffie e inizio ad ascoltare la mia amata playlist.
Il noioso tragitto lo passo ascoltando le note di "I Wanna be yours" per poi continuare la playlist, e qualche volta il mio occhio vaga a sinistra, dal finestrino, rimanendo delusa dato che non c'è nessun paesaggio particolare... "che cosa ti aspettavi Lilly?".
Meno di 25 minuti e mi trovo davanti alla palestra che mi ospiterà per ben cinque giorni alla settimana, e dove ci sara il famoso capitolo del "cambiamento".
Sembra molto grande dall'esterno, è impossibile non capire dove ci si trova: vi è un grandissimo logo con su scritto: London Gym. Choose the better for you.
Entriamo, rimaniamo 10 minuti all'ingresso per sistemare l'abbonamento e grazie al braccialetto rosso riesco a passare le sbarre che bloccavano l'ingresso.
Vado nei spogliatoi e pochi minuti dopo entro nella sala fitness.
«Lilly, io vado in piscina, ce la fai a muoverti da sola no? Avrai un personal trainer che ti guiderà nelle prime lezioni. Sii te stessa, non ti imbarazzare, non ti vergognare.» conclude mia madre con la cuffia viola sui capelli e il costume intero dello stesso colore.
Avrei voluto che almeno i primi giorni non mi avrebbe lasciato da sola, ma mentre sto per obbiettare mi ferma : «Evelyn, sei grande, non sei più una bambina, smettila di fare così. Mento in sù, petto ben in mostra e fai sport».
«Mh...va bene mamma»
Devo essere sincera, sono intimorita al quanto all'idea di un personal trainer che mi guiderà.
Sono molto impacciata e le figure di merda non mancano mai.
Sentendo quelle parole mia madre si precipita al piano di sotto, dove c'è la piscina.
Riesco a fare solo due passi nella sala fitness che eccomi già piombare davanti a me un ragazzetto. Se non avesse avuto la maglia giallo fluo come la avevano tutti i personal trainer (con su scritto il logo della palestra), avrei giurato che era un semplice ragazzo che faceva sport.
«Benvenuta! È inutile che ti ripeto il nome della palestra, ormai è scritto ovunque...comunque come ti chiami?» sembra abbastanza (dico abbastanza) simpatico, e il sorriso ancora non gli è scivolato giù dal viso.
Forse ci sto mettendo troppo a rispondere dato che continua a fissarmi costantemente "mio Dio Evelyn sembra che non sei mai uscita da casa tua" "Lasciala stare!" mentre le due parti del mio cervello litigano tra loro (sì lo so sono pazza) mi affretto a rispondere.
«Evelyn, ma tutti mi chiamano Lilly, tu chiamami Evelyn» non voglio che il mio soprannome sia utilizzato da un completo sconosciuto (anche se è molto bello come sconosciuto)
«Va bene Evelyn... sì allora... ah sì eccoti! Piacere, sono il tuo personal trainer, Louis» dichiara guardando una piccola agenda bianca.
Mi limito a sorridere.
«Vedo che sei di poche parole signorina...» continua a guardarmi insistente, e pur non volendo perdere all'eye contact, cedo.
Perché mi ha fatto arrossire quel "signorina"? "Ti prego dimmi che non sono diventata rossa, ti preg-"
«Perchè sei diventata rossa? Ho detto qualcosa che non va?» Oddio!
«Non sapevo che faceva così caldo sai, mh... forse meglio se mi tolgo la felpa» "Non pensavo fossi così intelligente da  trovare una scusa"
«Oh, certo! Scusami, dammi a me la felpa... profumo di Calvin Klein? Lo riconoscerei tra mille» Deve farmi da personal trainer o deve continuare con queste imbarazzanti domande?
«Esatto»
Ciò che segue è un imbarazzante silenzio tombale.
Spero che sia tutto uno stupido sogno perché sono imbarazzata più di quanto lo sia stata in vita mia, più di quanto in quinta elementare tutti avevano scoperto chi mi piaceva, e lui non ricambiava; più di quanto in prima media sono caduta davanti al ragazzo di terza media che amavo per il suo splendido profumo; più di quanto mi sporcai i pantaloni bianchi per colpa del mio ciclo... Dopo tutte queste figure di merda pensavo che era stata la fine, ma no: in quel cavolo di 18 settembre si era verificata un'altra figura di merda. Io davanti al personal trainer, rossa per le sue domande, non sapendo minimamente che cosa fare e mi limito a stare zitta. Non sorrido nemmeno, mi potrebbe uscire una risata isterica.
Non so per quanto tempo continuai a fissare quegli occhi color nocciola, non so per quanto tempo guardai i suoi capelli ricadere sulla fronte, non so per quanto lui mi abbia guardato o annusato il profumo presente sulla mia felpa. Non so, non so, non so.
Cosa dovrei fare? Stare zitta? Fare domande? Mi limito a ispezionare con lo sguardo la grande sala.
A quanto pare lui se ne accorge, e palesemente imbarazzato (ma autocontrollato) mi invita a vedere la grande sala, o per lo più me la descrive.
Facciamo qualche passo avanti: «Allora Evelyn, questa è la zona cardio, tapis roulant, cyclette, step... Forse non sai nemmeno come funzionano, ma non ti preoccupare: sono qui per un motivo» sorride mentre dice le ultime parole.
"Sono rossa?", "Sono pallida?" sono le uniche cose che riesco a pensare... vadano al diavolo il tapis roulant e la cyclette, vadano al diavolo la bilancia e i pesi, mi trovavo davanti a un maschio al quanto carino e volevo sapere se ero presentabile o no.
Sfrutto i grandi specchi nel vedere come sono: rossa come un peperone sulle guance, ma la fronte rimane bianca come la mozzarella che mangiai nel 2016, quando andai in Italia.
«Ti vedo ancora molto rossa. Sei sicura che stai bene?» Noto un velo di preoccupazione nel suo tono di voce, mascherato dall'ironia data dalla domanda: sapeva bene che era bello, sapeva bene il motivo del mio rossore.
«Mh sì sto bene, sono perennemente rossa, è una cosa mia ... Dicevi?» quanto sono patetica.
Ridacchia leggermente dato il mio imbarazzo, ma sembra così onesto nel farlo e capisco che non vuole mettermi a disagio. Per non farlo rimanere male, ridacchio pure io.
«Ti sto dicendo: quello è il tapis roulant, oggi è la prima cosa che faremo, è un riscaldamento. Oggi camminerai, faremo una camminata normale e poi una veloce. Le prossime giornate penseremo a qualcosa di più» Dice mostrando il tapis roulant, macchinario visto solo una volta o due, ma non sapevo minimamente come funzionava e non volevo salirci data la mia paura: quando avevo sette anni, vidi mia madre sul tapis roulant che avevamo nella vecchia casa. Fui molto curiosa. Mi feci male.
Tuttavia, vedo che il suo sguardo non lascia i miei occhi. Mio santo Dio, chi glielo dice che già sono imbarazzata di mio? Avere quegli occhi color nocciola, leggermente tirati all'insù, mi fanno scaldare le guance, colorandole di un rosso vivace.
Cerco di sistemare la situazione mettendo le mani fredde sulle guance.  Non funziona.
Provo a bere dell'acqua.
Non funziona.
Maledizione.
«Non perdiamoci alle chiacchiere e iniziamo la pratica» afferma porgendomi la sua mano, la afferro (per educazione) e mi lascio trasportare.
«Vai, sali. Bene, reggi le mani qua» Indica un manubrio nero, con due parti metalliche che si trovano alla stessa distanza dal centro.
«Scusami, a cosa servono queste parti metalliche? Dopo reggermi, ovviamente»
Mi ha risposto con molto entusiasmo, sembrava che aspettasse questo momento da tutta la sua vita.
«Indicano il battito cardiaco...Una figata vero?»
«Giusto»
«Ritorniamo a noi. Va bene, adesso premi quei pulsanti, sì esatto, quello e poi questo. Aumenta la velocità...Brava! Puoi pure lasciare il manubrio se vuoi» Stavo per premere il pulsante per aumentare la velocità, ma guarda caso Dio ha voluto che nello stesso momento lui lo premesse. Ho potuto toccare le sue nocche, le sue mani, cosa che prima non ho potuto notare, dato i miei pensieri sulle mie guance rosse. "Come sono morbide" pensai.
Solo a quel punto mi resi conto che avevo ancora le mani poggiate sul manubrio, e ciò provocò un'altra figura imbarazzante. Il mio battito cardiaco, che cresceva sempre di più.
Cazzo.
Se n'è accorto, ma risponde con un semplice sorriso: non come quello di prima, un sorriso diverso. Forse più perverso.
«Dato che non voglio lasciarti da sola, starò vicino a te, su quel tapis roulant» mi mostra il macchinario distante meno di un metro dal mio.
«Va bene» mi limito a rispondere.
Vedo che fa la stessa procedura, sale, preme pulsanti a caso e cammina.
Lo stavo guardando, ma guarda caso mi aveva sorpreso a guardarlo, e ciò che seguì fu un imbarazzo totale, causando un rossore ancora più accesso sulle mie guance.
«Penso che dovremmo conoscerci meglio...» Non è affatto titubante sulla richiesta, anzi, la dice in modo completamente diretto.
"Come fa ad essere così sicuro di sé?"
«Sì, hai ragione...Inizia tu»
L'eye contact fra me e lui non si ferma mai, anche se molte volte capita che io (per imbarazzo) lascio cadere gli occhi su qualcos'altro, come la piscina che si trova al piano di sotto, resa visibile dalle grosse finestre che si trovano davanti ai tapis roulant.
«Ai vostri ordini Evelyn»
Perché risultava così bello il mio nome detto da lui? Evelyn. Non avevo mai amato così tanto il mio nome fino a quel momento.
«Mi chiamo Louis, non sono un personal trainer vero e proprio, però mio padre è il propietario di questa palestra e ha voluto inserirmi come volontario»
Lo interrompo.
«Scusa, non servirebbe una laurea in scienze motorie... o alimentari? Non so»
«Esatto, ma ho appena finito il liceo»
Spalanco gli occhi.
«Che ho detto che non va?»
Perché si accorge sempre delle mie espressioni o rossori?
«Nulla... cioè insomma... sembravi più grande, cioè non tanto... cioè non lo so. Quindi scusa quanti anni hai?» La mia curiosità prende il sopravvento.
«19. Tu?»
«16»
«Quindi va bene...» lo sento dire a voce bassa, appena percettibile.
«Come scusa?»
«Cosa? Nulla nulla. Ritorniamo a noi.
Ho 19 anni, sono il tuo personal trainer e insomma non c'è nulla di speciale da ricordare di me» Conclude.
«Tu invece? Parlami pure di te»
«Nulla di interessante, cose già dette. Mi chiamo Evelyn, 16 anni, tua allieva...Nulla di speciale» Che vita monotona.
Data la mancanza di argomenti, giro la testa avanti, mi metto le cuffie e ascolto la mia amata playlist.

Louis pov.
Vorrei ancora parlarle, sembra una persona molto interessante, anche se molto silenziosa.
La vedo che è imbarazzatissima. È rossa dal primo momento che ha messo piede nella palestra. Però è molto carina.
Vorrei sapere qualcosa in più di lei, vorrei sentire qualche parola in più dalla sua bellissima voce.
Però, prima che le potessi chiedere qualcos'altro, la vedo indossare le cuffie. Per cui inizialmente giro la testa, ma di volta in volta giro la testa per vederla. "Non sono diventato pazzo no?"
Devo dire che vederla concentrata con le cuffie, vederla sorridere (forse per una delle sue canzoni) e vedere il suo lieve rossore, è la cosa più carina che abbia mai visto.
Vedo il suo profilo. La mascella non del tutto sottolineata, il naso leggermente all'insù... la sporgenza delle sue labbra rosate.
È davvero molto carina.
Però mi devo ricordare che sono il suo personal trainer, e devo rimanere tale e quale.
"Sarà difficile".



Ciao ragazzi!!! come state?
È da tantissimo tempo che non ci sentiamo...scusate ancora per l'altra storia, ma davvero, non me la sento di continuarla. Non ho più ispirazione.
Però invece, ho guardato i film di Enola Holmes, e ho notato la bellezza di questo Louis Partridge...Fino a innamorarmi.
Quindi vi propongo questa storia, dove Louis è un semplice personal trainer, conosciuto solo per suo padre.
Scoprirete altre cose su di lui un po'più tardi.
Detto questo, spero vi piaccia la storia, se così fosse, fatelo vedere: like, stelline, commenti; sono più che utili!
Ci vediamo al prossimo capitolo!

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 19, 2023 ⏰

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