29 - Questioni di famiglia (III)

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Il suono della sveglia anticipò di poco il bagliore che colpì i miei occhi.

Strizzai le palpebre e una tosse silenziosa scosse il mio corpo. Avevo la gola secca e un caldo insopportabile mi si era appicciato addosso. Perché diavolo mi sentivo così?

Allungai un braccio per spegnere il mio cellulare, ma qualcuno fu più veloce di me.

«Cristo, che suoneria di merda».

Bastò quella voce maschile per mettere in allarme ogni fibra del mio corpo, così come la consapevolezza di non essere sola nel mio letto bastò a farmi capire che il caldo opprimente che avevo percepito non era prodotto dal mio piumone.

Mi scostai di colpo, ritrovandomi faccia a faccia con Christian Case.

L'angolo della sua bocca si tese verso la guancia. «Ciao, secchiona».

Avvampai di colpo: ero appoggiata al suo braccio, e la sua mano mi stringeva morbidamente il fianco. Con il battito del cuore in veloce aumento, realizzai che probabilmente avevamo dormito abbracciati per tutta la notte.

«Perché sei ancora qui?» mormorai, appoggiando i palmi al suo petto per allontanarlo.

Indossava solo una maglietta bianca, la felpa con cui lo avevo visto la sera prima giaceva abbandonata dietro di lui. Istintivamente mi ritrovai a guardare il mio busto. Anche io portavo una vecchia maglietta scolorita, insieme a un paio di pantaloncini discutibili con i cupcake. Il fatto che non fossi mezza nuda, però, mi fece sospirare di sollievo.

«Sono le cinque e venti» lo sentii ribattere pacato. «Non mi sembrava il caso di far partire tutti i sensori nel mio giardino».

Non appena mi ero svegliata, il mio istinto mi aveva detto di allontanarmi da Christian. Il fatto che fosse così tranquillo e collaborativo, però, mi fece sentire una stupida. Perché volevo sempre attaccare quando c'era di mezzo lui?

Tornai a rilassare i muscoli, cercando di non pensare al suo braccio ancora incastrato tra la mia spalla e il collo. La sera prima mi ero comportata da buona amica e avevo evitato che la sua famiglia lo vedesse ubriaco. Perché non potevo concentrarmi solo su quello?

«Alex li avrebbe disattivati per te» commentai, arrotolando una ciocca ribelle di capelli.

Christian si limitò a ruotare sulla schiena. «Ma qui stavo meglio, secchiona» commentò, strofinando i polpastrelli sugli occhi. «Anche se non capisco perché diavolo ti svegli così presto».

Ignorai quella frecciatina e mi ritrovai a osservare il suo profilo con attenzione. Christian era quel genere di persona che poteva giocare a football per quasi tre ore per poi uscire dal campo con l'aria di uno che aveva fatto una banale corsetta di riscaldamento. Anche quel giorno sembrava ingannare i postumi della sbornia: aveva gli occhi assonnati forse, ma le guance arrossate e i lineamenti distesi lo facevano passare per uno perfettamente riposato.

«Come ti senti?» gli domandai sospettosa.

Christian si bloccò e lentamente tornò a guardarmi. «Ho avuto sbronze peggiori, non preoccuparti per me».

Il tono solenne con cui aveva pronunciato le ultime parole sembrava voler dire tutt'altro. Avevamo smesso di parlarci perché io avevo insistito che lasciasse il football e, anche se ammettevo che non fossero affari miei, non sapevo come lasciar perdere. «Sai che non ci riesco» mormorai, continuando a ricambiare il suo sguardo.

L'ultima volta che era stato da me, mi ero spogliata davanti ai suoi occhi. Eppure, neanche in quell'occasione mi ero sentita tanto nuda come in quel momento. Stavo ammettendo di tenere a lui. Stavo ammettendo di tenerci così tanto da non sapere come evitare di preoccuparmi per la sua salute.

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