Due uomini e una culla

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Louis Tomlinson pensava di aver raggiunto tutti i suoi obiettivi: dopo anni a lottare contro i bulli della scuola che lo prendevano in giro perché era sempre solo, dopo anni a litigare con sua madre che gli dava la colpa per l'abbandono del padre, che non poteva accettare un figlio gay, era riuscito ad ottenere quello che voleva.

Louis Tomlinson si era diplomato, l'aveva fatta pagare con l'arma migliore del mondo, l'indifferenza, alle persone che l'avevano deriso, aveva tagliato i ponti con sua madre che non riusciva ad essere fiera di lui nemmeno dopo i risultati scolastici eccellenti, e si era trasferito.

Aveva lasciato Doncaster e tutto quello che gli ricordava, e si era ritrovato a Bristol, perché ci era stato una volta in visita guidata ad una mostra di artisti di strada, e ne era rimasto affascinato.

Lì aveva trovato lavoro in un fast-food, perché non gli interessava minimamente laurearsi, e non riteneva di avere alcun talento particolare. 

A Louis Tomlinson piaceva il calcio, ma non era in grado di praticarlo; gli piaceva la fotografia, ma si limitava ad osservare gli scatti degli altri; e gli piaceva la musica, ma anche lì, si limitava ad ascoltarla.

Era fatto così, e gli stava bene. Solo sapeva che gli mancava qualcosa, un qualcosa che, il giorno della vigilia di Natale, che coincideva col suo ventiduesimo compleanno, gli si era presentato sotto forma di un ragazzo ventiquattrenne che stava tristemente festeggiando il Natale da solo nel suo fast-food.

Si chiamava Stan, e Louis pensava che fosse una persona interessante e con cui avrebbe potuto approfondire l'amicizia. Non aveva capito che non era un caso se quel ragazzo, da quel momento, avrebbe cominciato ad andare a mangiare lì quasi tutti i giorni.


Avevano iniziato a frequentarsi, Stan era un agente di commercio, o qualcosa del genere, e in pratica viaggiava spessissimo, ecco perché si era trovato solo proprio a Natale.

Era originario di Londra, e aveva perso i suoi genitori in un terribile incidente stradale, quindi non aveva proprio nessuno da cui tornare, durante le feste.

Per Stan, Louis era la sua festa, il suo porto felice, la sua pausa infinita, da quel lavoro che lo distruggeva e che, spesso, non gli faceva nemmeno ben capire in quale città si trovasse nè da quanto tempo fosse lì.

Per Louis, Stan era la novità, era quella parte di se stesso che non conosceva.

Lo pensava davvero, ne era seriamente convinto, e lo era rimasto per oltre tre anni, fino a quando arrivò il fagottino di casa che avrebbe cambiato la vita di entrambi.


Avevano deciso, dopo essere andati a vivere insieme, di adottare una bambina.

E Louis era felice, raggiante, al settimo cielo, come mai era stato nella sua esistenza, perché, ancora una volta, si era sentito forte. Perché aveva lottato duramente contro i pregiudizi delle istituzioni che voleva impedire a tutti i costi che due uomini si prendessero cura di una bambina così piccola, che sarebbe cresciuta confusa e senza capire che nel mondo c'è bisogno anche di una madre.

Ma Lux era una bambina intelligente, nonostante i suoi due anni e mezzo di età, non aveva mai chiesto ai suoi papà dove fosse la mamma, per lei loro erano la sua mamma, e a Louis e Stan stava benissimo così, non avrebbero potuto chiedere di meglio.


Stan aveva cercato di cambiare lavoro, o di evitare di viaggiare spesso come un tempo, ora che c'era la piccola in casa, invece Louis si sentiva ancora più carico di responsabilità, ed era quasi sempre al fast-food.

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