𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝟸𝟷

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𝐋𝐀 𝐏𝐑𝐈𝐌𝐀 𝐍𝐄𝐕𝐄

Ogni stagione arriva e se ne va in questo ciclo infinito che ci accompagna da quando veniamo al mondo.
Sono assai poche le stagioni di cui ci ricordiamo, quelle che danno un significato al nostro breve passaggio su questa terra.
Ricordo molto bene una stagione della mia infanzia, non so di quale anno fosse, fa parte ormai di un ricordo sbiadito dal tempo, ma posso dire con assoluta certezza che fosse nel pieno dell' estate.
A pensarci ora, le mie stagioni più belle ricorrono sempre nelle estati, oggi come ieri, ora come allora.
Nel mio cuore avrei per sempre ricordato quest'ultima estate, e avrei pensato a lui, probabilmente il tempo ne avrebbe cancellato i dettagli, sicuramente un giorno lontano mi sarei dimenticata l'anno in cui tutto successe, forse quello stesso giorno lontano ricordando il passato, penserò che tutto questo che ho vissuto sarà stato breve, e che la mia memoria sbaglia ad amplificarne lo spessore.
L'autunno ci stava lasciando, e la stagione dei suoni ovattati stava piombando in città, il freddo pungente riusciva a penetrare fin dentro la tessitura intricata del maglione, il vento gelido era l'osso più duro da combattere, ce ne andavamo in giro tutti coperti fin sopra la testa, con lunghi e pesanti cappotti fin sotto le caviglie, scarpe pesanti e calzini spessi, mai abbastanza spessi.
Uscita di casa non si incontravano più sorrisi, non si riusciva più a vedere i volti delle persone, ognuno se ne andava per conto suo, di fretta, per correre via dal freddo e trovarsi un riparo caldo al più presto.
Un silenzio piacevole da vivere.
Osservavo attentamente ogni cosa, per scattarne un ricordo, non tanto per me, ma più per colui che un giorno avrei rivisto.
Non mi mettevo fretta nel camminare, gustavo ogni passo.
Sentivo freddo ai piedi, anche se avevo indossato cautamente due paia di calzini pesanti, il mio viso continuamente pizzicato dalla stagione fredda prudeva sotto la sciarpa di cotone, il pelo del pon pon attaccato all'estremità della cuffia inumidito si era pian piano ghiacciato, le mani nei guanti erano al riparo e reggevano la mia macchina fotografica, stranamente le sentivo calde.
Le vetrine dei locali spogliavano le persone dai vestiti ingombranti, ed era possibile vedere tutto.
Li osservavi entrare dalla strada silenziosa, e fino a quel momento era impossibile distinguere chi vi si nascondeva lì sotto, poi una volta entrati, quando il calore li avvolgeva, e li metteva a proprio agio, si svestivano di ogni cosa, e così ecco che comparivano i volti, le risate, gli abbracci e la vera vita di ognuno di noi.
Basta del calore.
Tutti noi forse siamo esseri estivi, ecco perché i miei ricordi più belli appartengono a quel tempo, perché nel calore siamo noi stessi, noi abbiamo bisogno di calore, c'è una sorta di libertà, scoperti e nudi non c'è più fretta.
La prima neve calò copiosa e improvvisa su Seoul, stavo tornando a casa dal lavoro, ed era notte inoltrata quando quel primo fiocco di neve si posò sulla punta del mio naso, non c'era nessuno in strada, soltanto io e la mia ombra riflessa grazie alla luce del lampione, così alzai il naso all'insù e la vidi nascere, la neve, morbida e fluttuante nel suo valzer notturno.

La prima neve calò copiosa e improvvisa su Seoul, stavo tornando a casa dal lavoro, ed era notte inoltrata quando quel primo fiocco di neve si posò sulla punta del mio naso, non c'era nessuno in strada, soltanto io e la mia ombra riflessa grazie a...

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In un attimo quelli che erano dei radi fiocchi di neve divennero un infinità.
Mi sentivo come se fossi finita in una di quelle meravigliose bolle di vetro natalizie appoggiate ad una mensola, qualcuno l'aveva afferrata e l'aveva scossa.
Abbassai la sciarpa e tirai indietro il cappello, e guardando verso il cielo lasciai che quei fiocchi si poggiassero uno ad uno sul mio viso, il respiro ricreava nell'aria delle nuvole fugaci.
Ripresi a camminare fino ad arrivare a casa, le scale erano per lo più gelate e già rivestite in un sottile strato nevoso, con minuziosa attenzione mi aggrappai alla balaustra e iniziai a salire, arrivata alla soglia di casa sentii una voce, e in un attimo ero tornata a quel giorno, cercai disperatamente con lo sguardo il fondo delle scale.
Non poteva essere lui, certo che no, non so perché pensai che sarebbe potuto essere lì, forse perché lo speravo con tutta me stessa.
Poco dopo vidi sbucare una giovane coppia, si erano rifugiati per poco tempo al riparo sotto casa mia, erano loro le voci che avevo udito.
L' usanza vuole che al cadere della prima neve si può dichiarare amore ad una persona, chissà se questa giovane coppia si era dichiarata ed ora se ne andavano in giro felici ed euforici del loro amore appena sbocciato.
La notte di Natale arrivò presto, Seoul in quei giorni era la protagonista di una fiaba incantevole, lucine colorate, fiocchi rossi, pini addobbati con palline luccicanti, ghirlande ad ogni ingresso, gli ambulanti in strada con le loro prelibatezze riscaldavano i passanti in cerca di qualcosa di sfizioso da mangiare, si udivano voci su voci, era forse l'unico giorno in tutto il periodo invernale in cui si assaporava l'aria gelida in compagnia.
Sui marciapiedi un via vai di persone, i bambini indossavano cappelli buffi correndo in ogni dove, le coppie camminavano abbracciate, o mano nella mano per riscaldarsi.
La neve non aveva smesso di cadere in quei giorni, l'avevano accumulata agli argini delle strade per lasciare libero il passaggio, tra la folla non era poi così freddo, i respiri di tutti riuscivano a scaldare l'ambiente.
Era passato un mese dall'ultima volta che l'avevo sentito, il suo ultimo messaggio risaliva al giorno del mio compleanno, il trentuno ottobre, mi aveva inviato una nota audio in cui mi cantava tanti auguri, non era solo, aveva vicino a se alcuni dei suoi compagni, in sottofondo sentii le voci di Taehyung e Jimin che mi auguravano buon compleanno, ed infine delle dolci risate, Taehyung aggiunse a gran voce ; "Amy saluta per me Sun", poi capii che si era allontanato dal gruppo, c'era stato un lungo silenzio in cui sentii porte chiudersi ed aprirsi, forse erano in un hotel, o chissà dove, alla fine del messaggio Jay aveva aggiunto, "ti penso ogni giorno", la sua voce era sempre sommessa, silenziosa, sussurrava quasi, in risposta gli avevo inviato una mia foto con indosso il pigiama buffo che mettevo sotto le feste natalizie, c'era disegnato l'uomo di pan di zenzero, gli dissi che anche io lo pensavo ogni giorno, che ne sentivo la mancanza.
Al cadere della prima neve, pochi giorni dopo il mio compleanno, fu la prima persona a cui pensai, gli mandai una foto della neve mentre cadeva dal cielo, gli dissi che avevo bisogno di sentire la sua voce, ma non ci fu risposta per giorni, fin quando giorni dopo, mi scrisse che gli dispiaceva essersi perso quel momento, che aveva perso l'occasione per dirmi "una cosa".
Da quel giorno in poi era sparito.
Avevo scelto di non seguire e di non sapere dove fosse, e cosa stesse facendo, di sicuro lui non avrebbe avuto il tempo per aggiornarmi, e saperlo dalla televisione mi avrebbe scossa, vederlo lì mi avrebbe scossa, perciò in questo modo avrei pensato che quel ragazzo normalissimo si fosse allontanato da Seoul per lavoro e che presto sarebbe ritornato.
Avrei passato la sera di Natale con le mie amiche, ci saremmo ritrovate al ristorante di Ye-ri, quest'anno però era un po' diverso, di solito Jun nel periodo invernale veniva mandata nel negozio di Busan, dove vi era la sede centrale di tutti i negozi, quella più sfarzosa e famosa, ma la bufera di neve si era abbattuta tremendamente sulla città rendendo impossibile muoversi per strada, così lei rimase a Seoul.
E Sun che era sempre occupata con il preparare le ultime pubblicazioni per il nuovo anno, quest'anno aveva avuto la fortuna di avere nel suo team di lavoro un gruppo di apprendisti che avrebbero finito il lavoro al posto suo.
Non riuscivamo mai a stare tutte nello stesso posto per festeggiare la notte di Natale, ma quest'anno il destino con me era stato clemente e mi stava regalando tutto quello che mi era mancato.
Il Moon la notte di Natale era chiuso, così vista la fortuna sfacciata di questo anno così inusuale, ne approfittai per invitare anche i miei colleghi di lavoro al cenone.
Ero a casa aspettando Jun, stavo finendo di prepararmi, decisi di indossare una maglioncino blu notte con colletto bianco ricamato alla francese, una gonna a vita alta e svasata a campana con collant spessi ricamati, e per finire un paio di ballerine, visto l'inusuale Natale avrei concluso in bellezza con le stranezze, e mi sarei concessa anch'io di essere strana vestendomi in quel modo.
Quando Jun arrivò corsi ad abbracciarla, «Buon Natale»
«Buon Natale tesoro», rispose lei, «Hai chiamato i tuoi genitori per fargli gli auguri di Natale?», chiese Jun.
«Si li ho chiamati poco fa, ho salutato tutti, in più la mamma mi ha fatto fare un giro della casa per mostrarmi gli addobbi natalizi, erano tutti riuniti in salotto a bere e mangiare dolci, mio fratello è cresciuto così tanto che quasi non lo riconoscevo, la nonna stava seduta sulla sua poltrona a sonnecchiare»
«Pensa che in Primavera li rivedrai e potrai riabbracciarli», mi consolò con un altro abbraccio caloroso.
«Non vedo l'ora di rivedere casa mia e la mia campagna».
Era sempre graziosa, ma quella sera lo era più del solito, la ammiravo e la veneravo, si rendeva così bella tanto da sembrare una bambola, la sua bellezza era degna della sua dolcezza, i capelli lunghi raccolti in una alta coda legata da un bel fiocco rosso, coperta da un elegante cappotto verde scuro, le lunghe gambe snelle riparate da collant velati e un paio di tacchi.
«Ho un regalino per te, lo vuoi ora o al ristorante?», disse Jun con fare ammiccante, sapendo già quanto fossi curiosa, si mise a ridere nel vedere i miei occhi spalancarsi emozionati.
«Che domande adesso! Adesso! Adesso! Anche io ho qualcosa per te, te lo do ora perché non posso aspettare di arrivare al ristorante», risposi entusiasta.
«Prima tu», disse Jun.
Così dalla mia borsetta in pelle marrone tirai fuori un piccolo pacchettino sigillato da un intreccio di nastri con un fiocchetto al centro, anche la mia amica tirò fuori dalla borsa un morbido pacchetto ben chiuso da un nastro rosa.
La nostra regola, quella mia e delle mie care amiche, era niente regali pomposi, lussuosi e costosi, ma pensieri semplici e bizzarri, qualcosa di buffo che ci avrebbe fatto ridere, o un oggetto comprato al mercatino dell'usato, semplice e autentico.
In un Natale passato ci scambiammo i regali che ci erano stati regalati da altre persone, e che non ci piacevano affatto, così decidemmo di sbarazzarci del brutto regalo regalandolo all'altra, a caso scelsi quello di Ye-ri, e tutto sommato non mi andò male, si rivelò essere una vestaglia rosa cipria con sopra disegnate due gru che si baciavano avvolgendosi con le loro ali, e fiori di ciliegio tutt'intorno, ne ero davvero soddisfatta.
"Ma vi rendete conto? Sono andata a letto con quel cretino per tre mesi, e cosa ho ricevuto in cambio? Una vestaglia che fa venire il diabete solo a guardarla, cioè, voglio dire, mi vedete andare in giro per casa con in dosso una cosa simile? Già potrei capire se erano due gru che combattevano con qualche spruzzo di sangue qua e la...", Ye-ri aveva ricevuto in cambio da me un libro sulla guerra, di cui non ricordo nemmeno più il nome, anche lei ne rimase più che felice, "Oh! Finalmente un po' di sangue e azione, dovrei venire a letto con te, tu almeno mi conosci bene da farmi regali interessanti", poi Sun che ricevette da Jun un paio di scarpe provenienti dall'Europa, di ottima fattura, peccato per il colore, come dire, acceso, fin troppo acceso per tutte ma non per Sun, color rosa shocking, "So già come posso abbinarle, gli darò il mio tocco con un bel vestito", infine il regalo più imbarazzante toccò proprio a Jun, che ricevette da Sun un CD audio con una playlist di canzoni rap, creato dal ragazzo del momento di Sun, un rapper emergente, ogni canzone era piena di parolacce e parole sconce.
A ripensarci ora, quello si che fu un momento esilarante e caloroso.
Scartai il regalo di Jun e dentro vi trovai un meraviglioso paio di calzini ricamati con figure natalizie, erano molto elaborati, pesanti e già al tatto si sentiva che avrebbero tenuto bene al caldo i miei piedi, «Sono bellissimi Jun, grazie infinite li adoro"
«Sapevo che ti sarebbero piaciuti, appena li ho visti ho pensato subito a te, e li ho presi».
Poi arrivò il suo turno, strappò la carta delicatamente e dentro vi trovò un delicatissimo bracciale in ottone, semplice senza fronzoli, dorato ed esile con un piccolo ciondolo pendente, mi guardò emozionata, «Ma che bello, è proprio come piace a me, c'è anche un ciondolo..», lo girò e lesse le nostre due iniziali.
«L'ho trovato mesi fa mentre me ne andavo in giro al mercato, è vintage e ci ho fatto incidere le nostre due iniziali, anche io come te appena l'ho visto mi son detta che doveva essere tuo».
Noi quattro eravamo l'una per l'altra una casa in cui rifugiarsi e passare tutta la vita insieme fino alla fine.
Uscimmo di casa e ci incamminammo verso il ristorante quando alle nostre spalle ci sentimmo chiamare a gran voce, erano Joon, Seon e la sua ragazza, «Voi due aspettateci!»
«Ei ma che ci fate qui!», urlai.
«Abbiamo pensato di passare da te per andare tutti insieme», rispose Seon, «Amy ma quella è una gonna? E' la fine del mondo ragazzi»
«Smettila Seon», rispose la sua adorabile ragazza mollandogli una gomitata, «Scusalo Amy davvero, è un gran maleducato»
«Non ti preoccupare ci sono abituata, grazie per averlo picchiato al posto mio».
Joon visibilmente in imbarazzo era straordinariamente bello quella sera, lo vestiva un soprabito in tessuto nero pesante e lungo fino alle caviglie, ne esaltava la sua altezza notevole, delle scarpe lucide eleganti, alle mani dei guanti in pelle anch'essi neri, ed una sciarpa avvolta attorno al collo, i capelli lisci tirati indietro dalla cera ne metteva in mostra le linee dure e spigolose del viso bianco come il latte.
«Da-mi non viene?», chiesi a Joon.
«Non ci sarà stasera, è stata invitata all'ultimo momento da non so chi, ad una super festa, qualcuno di famoso come al solito, perciò ha dato buca a noi comuni mortali», rispose sbuffando.
«Ah! Va bene.. Vorrà dire che potrai fare compagnia a Jun a tavola, giusto Jun?»
«Eh? Si.. Credo di si, si dai perché no», rispose Jun biascicando.
«Con immenso piacere», concluse l'altro abbozzando prima un sorriso piacevole a Jun, ed uno che sapeva di morte a me.
Mentre ci dirigevamo verso il ristorante gli altri chiacchieravano allegri, Seon come al solito era il pagliaccio di turno, al suo passaggio si portava con se un gran baccano, il braccio di Joon si avvinghiò attorno le mie spalle,
stringendo notevolmente, «Come l'hai capito», bisbigliò.
«E' da quella sera in camera tua che non faccio che pensarci, e poi ho pensato che fosse la mia adorata Jun la ragazza di cui mi hai parlato, e il tempo mi ha dato ragione sciocchino..»
«Non chiamarmi sciocchino mi fai venire i brividi»
«Cosa aspetti a dichiararti? Potevi benissimo farlo la sera della prima neve, sei un cretino! Quello era il momento migliore in assoluto, così romantico, mentre cadeva la neve, voi due soli soletti, il freddo e la notte.. E poi vai con il limone!»
«Eh? Un cosa? Che c'entra ora il limone?»
«Ah.. No, niente.. A volte dimentico che non sono in Italia, volevo dire vai con un bel bacio..», dissi strizzando le labbra come per dare un bacio all'aria, il mio entusiasmo svanì appena mi diede un colpetto sulle labbra con la mano, «E tu Amy che aspetti a dire a Jun di "tu sai chi"»
«Touché», risposi.
La tavola imbandita a festa ci stava aspettando, c'erano già appoggiati tantissimi contorni e spuntini da stuzzicare, una sorta di aperitivo per accogliere gli ospiti, non era usanza fare una cosa simile in Corea, questa cosa Ye-ri l'aveva appresa da me, le luci all'interno del locale erano soffuse, e sopra ogni tavolo vi erano tantissime candele di varia altezza accese, lunghe ghirlande avvolte da lucine colorate, il ristorante che era da sempre caotico e ricolmo di gente, quella sera aveva un'aspetto del tutto diverso, era intimo e accogliente.
Ye-ri e Sun erano già sedute a tavola e stavano bevendo allegramente, anche la band di Ye-ri si era unita per il cenone, Sun si era portata alcuni collegi di lavoro che non sapevano dove passare il Natale, anche i familiari dei camerieri erano giunti al locale per festeggiare insieme ai loro cari che quella sera avrebbero lavorato.
La mamma di Ye-ri era un po' la mamma di tutti, una donna dal cuore grande, era riuscita a ricreare in quel piccolo locale una festa per tutti noi persi e dispersi nelle vite separate dai cari.
Così con il nostro arrivo il gruppo era bello che al completo.
«Ben arrivati, accomodatevi, fa freddo fuori, presto entrate ragazzi, presto datemi i soprabiti»
Così piacevole e familiare, avevo dimenticato cosa volesse dire riunirsi tutti insieme con del sincero affetto.
Solo in occasioni come questa ne sentivo la forza, questa era per me, la mia seconda famiglia, quella che mi ero scelta, bizzarra e strampalata quanto basta.
«Ma che hanno quei due? Sono strani..», mi chiese Sun con la bocca piena, riferendosi a Joon e Jun seduti proprio difronte a lei.
«Mah proprio non saprei, chissà forse si piacciono Sun»
«Chi, chi, di chi parlate? Chi si piacciono?», si intromise Ye-ri.
«Shhh! Ho detto "forse" si piacciono, mi riferivo a Joon e Jun»
«Oh...», risposero in coro le mie due amiche.
Rimanemmo tutte e tre imbambolate a fissarli, mentre i due chiacchieravano tra risatine, ammiccamenti sottili e sorrisi sommessi, fin quando fu inevitabile e si accorsero dei nostri sguardi su di loro, a quel punto abbassai di scatto il capo ed iniziai ad addentare il cibo, Sun attaccò un discorso dal nulla col suo vicino di posto che rimase interdetto guardandola come una pazza, e Ye-ri urlò al suo batterista seduto dall'altro capo del tavolo di attaccare a suonare.
L'esibizione di Ye-ri e del suo gruppo fu imbattibile, avevano riscritto tutte le canzoni natalizie in versione punk-rock, e già di per se questo bastava per farci ballare come pazzi, poi la quantità di alcol a disposizione aggiunse quel tocco in più, così dopo aver mangiato spegnemmo tutte le luci del locale, lasciando solo le lucine natalizie e le candele accese per il concerto improvvisato.
Fu magico.
«Se avete richieste sparate un titolo ed io canterò per voi», urlò Ye-ri.
«Let it be», le urlai senza pensarci due volte.
«Andata, siete pronti per piangere? Bene! Questa sarà dura perciò sedetevi e lasciatevi trasportare! Un, due, tre..»
Eravamo tutti seduti, e quando la sua voce attaccò con la prima strofa, fu inevitabile, sentimmo tutti quel brivido salire dalla punta dei pieni e arrivare fin sopra i capelli.
Ascoltando quella splendida canzone fu impossibile non commuoversi, e per alcuni non fare "un passo", vorrei poter dire che fu merito mio, e forse un po' lo era stato, ma fu l'atmosfera e la splendida voce di Ye-ri a completare la magia, così vidi Joon cercare la mano della mia dolce amica Jun e stringerla nella sua, l'aveva fatto, ci era riuscito, e il mio cuore saltò di gioia.
Lei girò il capo verso di lui e sorrise senza vergogna alcuna.
Assistetti alla nascita di un sentimento, proprio quella sera, proprio lì, i miei due più cari amici si erano trovati l'uno per l'altra.
Ed ecco, che l'altra parte del mio cuore, quella che stava viaggiando oltre oceano mi stava cercando, il mio telefono iniziò a vibrare.
Leggere il suo nome era come averlo lì vicino a me.
« E' Jay...»
«Vai, corri, rispondi», mi sorrise Sun.
Mi alzai e corsi fuori dal locale, in tutta fretta, in preda ad un'emozione troppo forte, e mentre Ye-ri cantava guardò Sun sorridendole.
«Jay, finalmente..»
Risposi con affanno, la corsa, il freddo, il desiderio di sentirlo, uscii senza pensare a nient'altro che lui.
Dall'altro capo del telefono non udivo che il silenzio.
Silenzio.
Dei forti respiri, e ancora profondi respiri.
Lui stava cercando di schiarirsi la voce, stava provando a parlare ma non ci riusciva.
Aveva bisogno di me, e in preda ad una emotività che nemmeno lui sapere di avere, aveva fatto il mio numero, perché aveva bisogno, un bisogno che portava il mio nome.
In preda ad un istinto che non poteva controllare non riuscì a non sentire la mia voce, nemmeno lui era sicuro di sapere se sarebbe riuscito a parlare ma anche lui, come me, imparò che non tutto nella vita può essere controllato, non i forti sentimenti almeno.
«Jay va tutto bene?»
Stavo iniziando a preoccuparmi, sentivo che era lì, dietro quel maledetto telefono, ma immaginai che per un qualche motivo non riuscisse a parlare.
«Dì qualcosa, mi stai facendo preoccupare..»
«Amanda..»
Fu la prima volta che lo sentii piangere.
Riuscì solo a pronunciare il mio nome, con la voce rotta dal pianto, e poi più nulla.
Silenzio.
Percepii il tonfo del telefono a terra, sentivo il pianto, i suoi lamenti, i singhiozzi lontani.
Rimasi pietrificata mentre lo sentivo piangere, iniziai ad avere un groppo in gola, sempre più grande, fino a quando sentirlo così fece piangere anche me, fu un riflesso del tutto naturale e umano.
Non sapevo perché era in quelle condizioni, ma il forte ragazzo che avevo conosciuto, quello impavido, quello sempre pronto a tutto, quello che non aveva paura di niente si era frantumato
in mille pezzi, ed io ero dall'altra parte del mondo, non avrei potuto consolarlo e questo mi straziava l'anima.
Dovevo essere con lui.
Come lui era stato sempre per me.
«Che ti succede parla ti prego..»
«Mi manchi.. Mi manchi da morire..»
Quelle parole mi distrussero.
Lo immaginavo in altro modo, ma non così.
«Sono lontano da casa da tanto ed oggi che è Natale.. Vorrei.. Vorrei essere lì con te»
«Lo so Jay.. Lo so..»
«Sono così stanco..»
«Lo so..»
«Ogni giorno penso che vorrei prendere la macchina e raggiungerti a casa, vorrei vederti aprire la porta, vorrei baciarti e poi.. Mi ritrovo qui in questo letto da solo.. Ti ho sognata, poco fa, ti ho sognata, eri nei miei dannati sogni, ed era così bello, tu lo eri, eri bellissima sai? E quando mi sono svegliato non so per quale assurdo motivo mi sentivo di essere nel tuo letto.. Mi sono girato per cercarti e quando non ti ho trovata ho capito che non era quel letto, e che tu non c'eri, e il solo pensiero di affrontare un altro giorno uguale a ieri, mi fa sentire male perché a volte sono stanco.. Sono davvero stanco.. E mi manchi, tu, mi manchi»
Cosa avrei mai potuto dire di abbastanza caloroso per poter consolare un animo tanto distrutto dalla stanchezza e dalla mancanza?
Sentii una stretta al cuore così prorompente e prepotente, mi mancò l'aria, e la parola.
Tra le mie lacrime e le sue, nel nostro silenzio fatto di sospiri e singhiozzi, guardai all'interno del locale, in quel piccolo spazio familiare c'era tutto l'amore che entrambi volevamo, e che nessuno dei due in quel momento poteva avere.
«Sarebbe stato bello poter vivere la prima neve insieme, e passare anche solo un piccolo momento di questo Natale con te, immagino quanto ti manca la tua famiglia, io lo so bene, perché anche la mia famiglia è lontana, tanto lontana. Quindi, vedi? Non sei solo in questo, ma siamo insieme in questo, entrambi siamo lontani senza la nostra famiglia e senza avere l'altro vicino. Perciò non sentirti perso e stanco. Dove sei ora?»
«Sono in hotel.. Nella mia camera..»
«Hai mangiato qualcosa?»
«Non ancora.. Gli altri sono usciti per cenare.. Io sono rimasto in camera»
«Ordina qualcosa da mangiare e ci sentiamo tra venti minuti esatti va bene?»
«No ti prego.. Non mi lasciare..»
«Fidati di me va bene? Fai come ti ho detto e tra venti minuti esatti richiamami»
Entrai nel locale e raccontai a Sun tutto quello che era appena successo, salutai tutti dicendo che dovevo incontrare una persona, tutto sommato non era una bugia, notai la perplessità di Jun ma non mi chiese niente, si limitò a sorridermi e a darmi un lungo abbraccio.
Agguantai il soprabito e corsi fuori in cerca di un taxi.
Amaramente scoprii che a quell'ora in strada ce n'erano pochi, e quei pochi trasportavano già qualcuno.
«Andiamo per la miseria!»
«Taxi!»
«Fermo! M'addai.. Accidenti!»
«Taxi qui! Qui! Fanculo..»
Alla fine, nella disperazione del momento, quasi mi buttai in mezzo alla strada per riuscire a fermarne uno, «Fermo!»
Il taxi mi lasciò al minimarket del mio quartiere e se ne andò, entrando comprai velocemente del cibo, gettando nel cestino cose a caso, prendendo qua e la ciò che mi capitava sotto gli occhi, lasciai i soldi al bancone della cassa e iniziai a correre per tornare a casa.
Il freddo si era insinuato nella mia gola, avevo la sensazione di avere degli spilli piantati nei polmoni che pungevano ad ogni respiro, una sensazione dolorosa ed orribile, dovetti arrestare la corsa sul ciglio delle scale gelate, tanto lucide che potevo specchiarmi dentro.
Arrivata cautamente alla soglia di casa il mio telefono iniziò a vibrare di nuovo, era lui, lui solo in quella camera di hotel che aveva bisogno di me.
Passammo il resto della serata insieme, dopo così tanto tempo riuscimmo finalmente a vederci, il suo viso un po' emaciato e pallido era in contrasto col mio, arrossato dal freddo e dal caldo improvviso che avvampò sul mio corpo dopo la folle corsa.
Parlammo per ore, mangiando insieme e ridendo, scherzando su ciò che avevo afferrato in fretta e furia al minimarket.
Lo ascoltai parlare, aveva bisogno di sfogarsi delle fatiche che stava affrontando, e come sempre rimasi incredula a tutto ciò, era troppo persino ascoltare figurarsi vivere come viveva lui.
Lo rassicurai e lo incoraggiai, fino a quando finii per addormentarmi e la chiamata cadde.

𝓢𝓮 𝓲𝓵 𝓬𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 𝓽𝓲 𝓮' 𝓹𝓲𝓪𝓬𝓲𝓾𝓽𝓸 𝓬𝓵𝓲𝓬𝓬𝓪 𝓵𝓪 ☆
𝓤𝓷𝓪 𝓼𝓽𝓮𝓵𝓵𝓪 𝓹𝓾𝓸 𝓲𝓵𝓵𝓾𝓶𝓲𝓷𝓪𝓻𝓮 𝓲𝓵 𝓶𝓸𝓷𝓭𝓸!
⊱𝓞𝓰𝓷𝓲 𝓶𝓮𝓻𝓬𝓸𝓵𝓮𝓭𝓲 𝓿𝓮𝓻𝓻𝓪' 𝓹𝓾𝓫𝓫𝓵𝓲𝓬𝓪𝓽𝓸 𝓾𝓷 𝓷𝓾𝓸𝓿𝓸 𝓬𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 𝓭𝓮𝓵𝓵𝓪 𝓼𝓽𝓸𝓻𝓲𝓪 ⊰

𝙸𝚕 𝙵𝚒𝚘𝚛𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚊 𝙻𝚞𝚗𝚊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora