CAPITOLO 11

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Ero sola, i ragazzi erano andati a fare le loro commissioni, e devo dire che era da tutto il giorno che speravo di restare solo. Erano passati solo due giorni da quando me ne ero andata da Detroit, e due giorni che la mia vita era cambiata. Non ero più la gangster spietata di prima, ero una semplice ragazza. Mi piaceva fare la ragazza normale, ma si sentiva che la mia vita era incompleta. Si, incompleta. Sentivo come un vuoto dentro.
-No! Levatelo dalla mente! Non é mai stata la vita che avresti voluto. Hai sempre sognato di vivere come una ragazza normale senza il bisogno di dover scappare o nasconderti. Sei in una nuova città! Puoi ancora cambiare!-
Si, posso ancora cambiare, ma una parte di me non vuole...
E poi che significa quella frase che mi ha detto Justin: "É solo che odio il pensiero che qualcuno ti abbia avuto prima di me."
Mio Dio... sono stanca.
Istintivamente mi sedetti a terra e mi massaggiai le tempie. Gli occhi mi si chiudevano da soli.
Nella mia testa continuavo a ripetermi quella frase cercando di capirne il significato.
"É solo che odio il pensiero che qualcuno ti abbia avuto prima di me." Senza nemmeno accorgermene mi addormentai sul pavimento della cucina.

***

Mi svegliai di soppiatto totalmente indolenzita. La schiena e le chiappe mi facevano malissimo. Ci misi qualche secondo prima di realizzare di essere ancora seduta sul pavimento della cucina. Vicino a me c'era un foglietto bianco, e dopo averlo messo a fuoco, lo lessi.
'Tesoro oggi stai a casa. C'é il pranzo nel frigo. Baci. -Mamma.'
Oh meno male!
Lentamente mi alzai dal freddo pavimento e, cercando di non cadere, andai davanti al frigorifero. Lo aprii, sempre con la lentezza di un criceto con tre zampe rotte, e presi il "pranzo". Insalata e-
*Driin!*
Mi presi un colpo per l'inaspettato rumore, e per sbaglio feci cadere la ciotola di vetro con il mio pranzo.
"Cazzo." Sibilai guardando i pezzi di vetro mischiati con l'insalata sparsi per la cucina.
*Driin!*
"Arrivo!" Gridai cercando in tutti i modi di evitare i pezzi di vetro.
Senza nemmeno chiedere chi fosse, aprii la porta.
"Justin!" Esclamai appena lo vidi tutto sorridente appoggiato allo stipite della porta.
"Hey, come mai non sei venuta a scuola?" Chiese entrando in casa.
"Potrei farti la stessa domanda..." Dissi chiudendo la porta.
"Ti sei appena svegliata, vedo." Sorrise maliziosamente squadramdomi dall'alto al basso. "Mi piace il tuo 'pigiama'." Disse mimando le virgolette sulla parola pigiama.
"Sono solo una maglietta e delle mutande!" Mi indicai, alzando gli occhi al cielo.
"L'hai fatto ancora." Sibiló a denti stretti. -Beh, considerando che l'ultima volta che l'hai fatto, stava per baciarti, se fossi in te lo rifarei altre cento volte...-
"Hey! Ma che hai fatto alla gamba?" Chiese indicando la mia gamba.
"I-io..." Guardai dove lui aveva indicato e... "Cazzo!" Un pezzo del vetro della ciotola dell'insalata che mi era caduta prima, mi si era conficcato nello stinco, e non me ne ero neanche accorta.
"Andiamo, ieri sera mi hai curato tu, oggi ti curo io." Sorrise tendendomi la mano.
Vedendo che io ero rimasta ferma, sbuffò e poi mi prese per mano, trascinandomi in bagno.
"Justin, davvero. Non ce n'è bisogno." Lo supplicai.
Non fece neanche caso alle mie parole e continuò a camminare. Mi prese da sotto le braccia e mi posò sulla lavatrice. Mi guardò per qualche secondo prima di spostarsi per prendere il disinfettante. "Ti farà un po' male." Sussurrò chinandosi per curarami la ferita.
"Ahi!" Mi lamentai ritraendomi dal suo tocco.
"Hai delle bende o qualcosa di simile?" Chiese cercando di distrarmi.
"Nel cassetto." Sibilai tentando di controllare il dolore.
Le prese e lentamente cominciò a fasciarmi la parte ferita dello stinco.
"Fatto." Sorrise fiero alzandosi e prendendomi in braccio.
Strinsi le gambe intorno alla sua vita e mi lasciai andare tra le sue braccia.
"Stai ferma qui." Disse posandomi su uno degli sgabelli della cucina. "Io sistemo un po' il disastro che hai combinato." Sorrise.
"Guarda che é stata colpa tua!" Lo rimproverai.
"Ahahahahahahah, scusa..." Iniziò a pulire e a raccogliere i pezzi di vetro.
"Come mai sei venuto qui?" Chiesi guardandolo indaffarato e concentrato su quello che stava facendo.
"Sono andato a scuola, e quando ho visto che non c'eri, ho pensato che ti fosse successo qualcosa e sono venuto da te." Disse finendo di pulire.
"Mmh." Lo guardai alzando un sopracciglio.
"Mmh?" Chiese avvicinandosi a me.
"Ti fa ancora male il labbro?" Domandai sfiorandoglielo con il pollice.
"No, non molto." Rispose con voce bassa e roca. I suoi occhi fissarono le mie labbra per qualche secondo, chiedendo implicitamente un contatto. Ma non ci fu. Dal suo sguardo si poteva capire che non poteva, ma voleva. "Vieni, ti porto di la." Disse cambiando argomento.
Annuii ancora distratta dalle sue labbra così vicine alle mie.
Mi prese in braccio e mi portò sul divano, poggiandomici sopra con delicatezza e premura. "E tu? Come mai non sei venuta a scuola?" Chiese sedendosi accanto a me.
"Mi sono addormentata sul pavimento della cucina." Sorrisi innocentemente.
"Ahahahahahah. Solo tu puoi addormentarti per terra." Rise.
"Justin? Posso farti una domanda?" Gli chiesi dolcemente.
"Si, certo." Rispose girandosi verso di me.
"Perché fai quello che fai?"
"É una storia lunga." Cercò di chiudere il discorso.
"Abbiamo tutto il giorno."

My Trouble // Justin BieberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora