"Elijah."Una voce roca e familiare mi chiamò interrompendo i miei pensieri.
Di scatto mi girai per trovare Noah, il mio migliore amico, steso sul terreno del campo minato in cui combattevamo, ormai da mesi.
Mi inginocchiai affianco al suo corpo, schivando altri cadaveri nelle vicinanze.
"Cosa ti è successo?" Quasi gridai. La vista mi si annebbiò e gli occhi cominciarono a pizzicarmi, vedendo il sangue accerchiarsi alla ferita sul suo petto.
"L'ho ucciso." Rispose con un filo di voce, poco prima di chiudere gli occhi, per non riaprirli più.
Una singola lacrima mi rigò il viso.
Non posso crollare adesso, sono in battaglia. E' già successo troppe volte, ripetei a me stesso.
Asciugai di fretta la lacrima e rialzai il fucile, pronto ad attaccare di nuovo.
***
Quando il sole tramontò, mi venne dato il cambio, dopo settimane.
Mi recai nella vicinanza delle trincee dei combattenti adulti dove, qualche volta, noi piccoli riuscivamo ad ottenere un po' di cibo.
Come mi ero ripromesso, presi un pezzo di pane e tornai verso la zona delle brande.
Passai una mano sui miei capelli sporchi, prima di stendermi e chiudere gli occhi per un po'.
Ero in quella cucina, piccola ma graziosa, le pareti rovinate e gonfie e l'ordine che vigeva. Racchiudeva tutti ricordi della mia infanzia bruciata.
Gli occhi blu oceano di mia madre mi fissavano, un cipiglio occupava il suo viso. C'era qualcosa che mi stava nascondendo, ne ero assolutamente certo.
"Qualcosa non va?" le domandai con dolcezza.
"No."disse tutto d'un fiato; "beh, in realtà si." abbasso' lo sguardo a fissare il pavimento, il cipiglio costante sul suo viso.
Ricordai il nostro patto di raccontarci sempre la verità e per un momento ne fui felice. Annuii, aspettando che mi raccontasse cosa stava accadendo.
Si schiarì la voce. "Piccolo." cominciò, "L'esercito ha bisogno di te."
Rilasciò un profondo respiro e di conseguenza un singhiozzo smorzato.
"L'e-esercito?"Balbettai incredulo; '"ma io sono solo un bambino, mamma." scoppiai in un pianto isterico. Lei avvolse le sue braccia familiari attorno alle mie spalle, tirandomi in un abbraccio caloroso.
I nostri volti erano rigati dal pianto, gli occhi iniettati di sangue e un cipiglio contornava la scena.
Mi risvegliai con gli occhi bagnati e, il corpo immerso nel sudore.
Era solo un sogno, lo stesso di sempre.
Si ripeteva ogni notte, in cui mi era permesso dormire, dal mio arrivo in questo posto.
E ogni volta, sentivo sempre più nostalgia verso mia mamma, la mia famiglia e la mia città.
Mi sedetti sulla branda, scuotendo la testa per mandare via i pensieri nostalgici che mi tormentavano.
Scorsi una bambina, si trovava nel lato opposto della stanza.
Stava singhiozzando, le mani le coprivano il volto e i capelli biondi le cadevano in onde sparse sulla schiena ricurva. Mi diressi verso di lei.
Le poggiai una mano sulla spalla, come conforto. Lei sussultò al mio tocco, prima di spostare le mani via dal suo viso.
Aveva dei profondi occhi verdi e il viso umido.
Forzò un piccolo sorriso alla mia vista; picchiettò con una mano il pavimento davanti a lei facendo cenno di sedermi.
"Non piangere." La pregai, pur non conoscendola affatto.
Mi sedetti di fronte a lei e iniziai a studiare il suo sguardo perso.
"E' difficile." Sussurrò con voce roca. Fallendo nel tentativo di smorzare un sorriso e di conseguenza, accigliandosi.
"Lo so, fidati." Le dissi avvolgendo le braccia intorno a lei, come faceva mia mamma per consolarmi mentre piangevo, nei momenti di sconforto.
"Vuoi parlarne?" Le domandai con dolcezza.
"Si." Annuí dolcemente, annuii anche io, facendola continuare.
"Ho l'AIDS." Disse con fermezza, "Potrei morire a breve, come tutti i bambini qua, del resto. I generali obbligano me e le altre bambine a svolgere servizi accessori, come cucinare, pulire. E poi siamo costrette a subire violenze da loro." La sua sottile voce si spezzò a causa di un singhiozzo.
Le mie braccia erano ancora attorno a lei. Sentivo le sue lacrime calde scendere sulla mia spalla nuda, nel punto dove la mia divisa da 'Piccolo Soldato' era strappata.
"Dovresti curarti." Le sussurrai all'orecchio.
"Non c'è cura per la mia malattia." Disse passando delicatamente una mano sotto i suoi occhi bagnati.
Mi sciolsi dall'abbraccio e presi le sue minuscole mani nelle mie,fissandola dritto negli occhi.
"La speranza è la nostra cura. Ognuno di noi vive la giornata,puntando alla sopravvivenza. E facciamo completamente affidamento alla speranza; la speranza di un futuro migliore." risposi fermamente, mantenendo i il contatto fra le nostre mani.
Fece un sorriso, non più forzato come il precedente.
Ci alzammo entrambi e l'accompagnai al suo dormitorio.
"La speranza, ricordalo sempre." Le sussurrai e prima di tornare indietro mi avvicinai al suo viso e le stampai un piccolo bacio sulla guancia, lei annuì in risposta.
Dopodiché,mi incamminai nel freddo sentiero verso i dormitori maschili.
Per l'intero tragitto riflettei su ciò che la bambina mi aveva raccontato, non potevo concepire che la gente potesse essere tanto crudele, lei ora era malata e da qua a poco sarebbe morta, per quello che sapevo.
In questo luogo terribile nessuno si occupava di noi bambini, venivamo solamente sfruttati per soddisfare gli ideali di Vittoria e Potenza di questo paese malato.
Si divertivano a bruciarci l'infanzia, i sogni e la vita intera.
Fin dai miei primi anni di vita, il mio sogno era diventare un cuoco famoso, per poter sfamare tutte le persone che, come me, non avevano nulla.Ho sempre desiderato studiare e diventare qualcuno, ma sarà difficile realizzarlo.