Il Joker non provava amore. Sin da quando era nato, o meglio, sin da quando era caduto nella vasca di acido, non ricordava di aver mai provato amore. Le uniche cose che gli davano gioia erano i suoi scontri con Batman, il piacere sadico che traeva dalle sofferenze che infliggeva agli altri, le proprie battute e l'ossessione che provava per il rapporto malato che aveva con Harley. Nessuna di queste cose potevano considerarsi vere e proprie emozioni, ma a lui andava bene così. Che bisogno aveva di provare sentimenti quando aveva il divertimento e la follia?
Tutti sapevano che l'uomo non era in grado di provare amore e a lui andava bene così. Eppure, nonostante questa consapevolezza collettiva, tutti coloro con cui entrava in contatto, nemici, aiutanti, supereroi e dottori gli facevano sempre le stesse domande: 'Davvero non provi niente?' oppure 'Non c'è nessuno a cui tieni?' e altre stupidaggini simili. A lui queste domande davano solo un po' fastidio, non ci dava peso. Eppure, certe volte capitava che qualcuno gli facesse un'altra domanda, o meglio, un'osservazione: 'Sei pur sempre un essere umano. Ci sarà almeno un attaccamento per qualcosa'. Era un'affermazione bizzara, fatta per lo più dai dottori e ogni volta che la sentiva, rimaneva un po' perplesso, probabilmente perché effettivamente, essendo un'osservazione scientificamente vera, lo faceva riflettere. Non rifletteva molto in realtà, ma quelle poche volte che lo faceva, cercava nella sua mente qualcosa che si avvicinasse ai sentimenti umani. Ed era in quei momenti che finiva per pensare a quella cosa. Quella cosa a cui cercava di non pensare per non distrarsi. O per paura.
Era una cosa diversa dalla sua quotidianità, qualcosa che si distaccava completamente dalla sua vita e dai suoi crimini. A dire il vero, nemmeno lui sapeva che esistesse, o almeno, non lo sapeva fino a due anni prima. L'aveva scoperta per puro caso, durante una notte passata con Harley. Avevano combattuto per un po', cercando di uccidersi a vicenda come sempre, per poi finire nel letto del suo covo. "Ti devo dire una cosa Mister J" aveva detto. Il Joker aveva pensato che volesse prenderlo in giro come al solito, anche se il suo tono sembrava un po' troppo serio per i suoi gusti. E poi glielo disse. Lui inizialmente pensava che scherzasse "Non puoi essere seria, Harls" aveva detto con aria divertita. Ma l'espressione impassibile della donna lo colpì come un fulmine a ciel sereno.
Per la prima volta, dopo anni di follia, sentì una strana sensazione allo stomaco. Paura. Incertezza. Incredulità. Doveva essere uno scherzo, o forse un sogno strano prodotto dal suo inconscio e dai suoi ricordi passati. Ma non lo era.
Harley gli disse che voleva conoscerlo, ma che non era obbligato a farlo. In fondo, lui non avrebbe mai fatto parte della sua vita. Non aveva tutti i torti, era pur sempre un pazzo psicopatico, certi ruoli non erano adatti a lui. Ciononostante, la rivelazione di quel segreto lo inquietava e scaturiva in lui una forte curiosità, curiosità alimentata probabilmente da un istinto primitivo. Così, senza essere sicuro al cento per cento di cosa fare, accettò di incontrarla.
La prima volta che la vide aveva quattro anni. Era identica ad Harley, o meglio, assomigliava alla dottoressa Harleen Quinzel prima che venisse buttata nell'acido. L'unica differenza era la pelle bianca e le labbra rosse, dovuti probabilmente alla genetica che aveva ereditato. Il suo nome era Lucy, Lucy Quinzel.
Sua figlia. Sua e di Harley. Quell'informazione sembra fin troppo surreale nella sua testa.
La bambina lo guardò con curiosità. Non sembrava spaventata, solo... curiosa. Si avvicinò a lui e il clown si abbassò alla sua altezza. Il calore di un due manine piccole sulle guance lo fece sussultare "Non fai paura. Sei solo bizzarro. Come me!" disse allegramente, mostrandogli con orgoglio una macchinina giocattolo infilata su un tutù da ballerina per bambole. Quelle poche parole, pronunciate da una bambina, una creatura che per natura non poteva mentire, insieme alla totale mancanza di paura nei suoi confronti, lo lasciarono spiazzato e aumentarono la sua curiosità. Così, spinto da uno strano desiderio di voler conoscere meglio quella creatura, trascorse il pomeriggio ad osservare e studiare la bambina, ritrovandosi ad interagire con lei e ad ascoltare i suoi strampalati ragionamenti.
Quella non fù l'unica volta che la vide. Ci furono altri incontri, più o meno lunghi, durante i quali, per qualche motivo, il re del crimine non riusciva a immaginare o escogitare crudeltà nei confronti di quella bambina. Non sapeva perché, ma per qualche motivo in quei momenti la sua mente malata sembrava meno caotica. Il Joker non sapeva se quella sensazione gli piaceva: ogni volta che ci pensava ignorava il pensiero, nonostante la sua testa continuasse a memorizzare quegli incontri e a proiettarli nei suoi sogni. Era una sensazione strana, una cosa martellante nel suo cervello che aveva affondato le proprie radici nel suo inconscio accanto ai ricordi della coppia sposata. Una cosa che però, per qualche ragione, sembrava di gran lunga più piacevole rispetto ai suoi vecchi ricordi.
Jack, no, Joker non sapeva definire questa specie di attaccamento, questo legame così strano e in qualche modo diverso da quello che condivideva con tutte le altre persone che conosceva oltre a Lucy. Sua figlia.
O forse lo sapeva, ma non si ricordava più la sensazione di provare quel sentimento, l'affetto.
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Le sette riflessioni del Joker
Teen FictionQuesta storia va ad esplorare il punto di vista del Joker riguardo a sette persone particolari, le sue aiutanti e delle donne che hanno influenzato la sua vita. (Questa storia non è al cento per cento fedele ai fumetti ed è una storia basata sulla f...